The Enemy

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L'unica cosa che funzionava per me in un momento come quello, era stancarmi tanto da essere troppo confusa per capire qualsiasi cosa.
Il terzo edificio, come ben ricordavo, era adibito all'attività fisica e appena fuori, c'era il campo di atletica. Entrata negli spogliatoi scelsi un armadietto, buttandoci la borsa e i pantaloni della tuta. Mi allacciai le scarpe in modo che le stringhe non mi intralciassero nella corsa, chiusi l'armadietto con una botta e scesi in palestra, camminando verso la postazione da boxe. Una volta di fronte al sacco bianco diventato ormai grigio dopo anni di uso, strinsi le fascette intorno ai polsi, tanto per evitare di rompermene uno. Poi passai le mani nella polvere di gesso, schiaffandomi le cuffiette nelle orecchie. Alzai il volume della musica al massimo e alzai la guardia. Il primo pugno. Ian che sorrideva in macchina. Il secondo. Ian che cantava a squarcia gola con il vento nei capelli. Destro, sinistro. Ian che mi stringeva mentre piangevo. Il primo calcio. Ian che mi diceva di smettere di farlo ridere. Un altro calcio. La prima sbandata. Le mani serrate, i denti talmente stretti che pensai di romperli da un momento all'altro. Volevo solo che tutte le immagini che avevo in testa se ne andassero, che si cancellassero ad ogni pugno ben piazzato, che si dissolvessero nel dolore dei colpi sul sacco che tornava indietro, ma più forza mettevo in ganci e calci, più sembrava che i ricordi affiorassero, che il pianto spingesse per risalire agli occhi. Provai a concentrarmi sulle parole di Billie Joe Armstrong che urlava nelle mie orecchie.

Do you Know your enemy? Do you know your enemy?

Il mio nemico? Il mio peggior nemico? Facile.

Me stessa.

***

Una volta al terzo edificio, mi fermai. Non ho idea del perché, ma i miei piedi s'inchiodarono all'asfalto del vialetto che portava in palestra. Dal punto in cui ero potevo chiaramente vedere l'interno della palestra, con tutte le postazioni agli angoli e gli attrezzi immobili. Tutti, tranne uno. Il sacco da boxe dondolava pericolosamente verso qualcuno che, con pugni e calci lo respingeva di continuo. Mi sembrava impossibile, ma avrei riconosciuto quei contorni ovunque: Grace era l'avversario del sacco da boxe. Solo a quel punto ebbi il coraggio di muovermi verso le vetrate. Appoggiai le mani a tettuccio sul vetro, avvicinando di seguito la testa, per ottenere una visuale più nitida. Con le mani alzate a coprire il viso, la ragazza si apprestava a colpire il sacco ogni volta che tornava verso di lei. Cominciava ad essere stanca, perché ora le capitava di permettere al sacco di toccarla, destabilizzandola. D'un tratto, poi, la vidi allargare le braccia, lasciando che il sacco la colpisse interamente, per richiuderle su di esso e fermarlo.
Doveva averne avuto abbastanza per quel giorno. Altrettanto velocemente spinse via il fantoccio dal proprio corpo, raccogliendo la salvietta dalla panchina dietro di lei, per poi dirigersi agli spogliatoi. Mi resi conto solo in quel momento di dove mi trovavo, se fossi rimasto lì, passando per il corridoio, mi avrebbe scoperto. Così, a malincuore, mi staccai dal vetro, ormai appannato dal mio respiro, tornando sui miei passi.

Una volta in stanza, accesi lo stereo, alzando il volume al massimo. Mi buttai sul letto, cercando di liberare la mente dall'immagine di Grace che non smetteva di sferrare pugni e calci alla postazione di boxe. C'era qualcosa che non andava in lei, me lo sentivo. Era come se mancasse qualcosa, come se non avessi il numero giusto di tasselli per risolvere l'enigma. Doveva esserci per forza una spiegazione per tutte quelle cose. E' un camaleonte - perché ha bisogno di cambiare così spesso? Invece di fare jogging, per tenersi in forma fa boxe - Si sfoga. Ma il punto è.. perché? E in tutto questo, caro Alex, non sei ancora riuscito a vederle completamente il viso. Già. Questo era un problema che doveva essere risolto in fretta. Come conosci una persona se non sai nemmeno che aspetto ha il suo viso? Ma io la conosco, conosco il suo corpo. saprei disegnarla senza doverla guardare. Dopo la lezione di copia dal vero, non avevo fatto che disegnare, scarabocchiare, colorare, il corpo di Grace. Forme meravigliose, tanto armoniose da incantare chiunque avesse il senso della bellezza. Ho fotografato ogni particolare della figura di Grace e ho conservato ogni immagine nella mia mente. Qualcosa sfugge.  la mia coscienza diceva la verità. Resta soltanto da capire quale parte di quel corpo assurdamente bello rimaneva offuscata, che cosa mi avesse incuriosito  tanto quando l'ho vista scendere dall'autobus quel primo giorno di scuola.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 17, 2016 ⏰

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