Sleepwalking

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Alle 7.00 la sveglia suonò prepotentemente nelle orecchie mie e di Bobbie.
Io spensi la mia con una manata, mentre quella di Bobbie cominciò a saltare a destra e a manca per la stanza, giù dal comodino, su per lo scendiletto e sul mio piede. Perché gliel'avevo regalata? In tutto quel casino comunque non la spensi. Io ero in piedi e lui no. Nel marasma generale arrivai al bagno buttandomi in faccia una buona dose d'acqua gelida. Non mi svegliai affatto- fatta eccezione per quei dieci secondi in cui il freddo polare artico ti sembra una bazzecola in confronto a quello che stai provando. Passai le mani tra i capelli scombinati dal cuscino, cercando di conferirgli un aspetto più ordinato, rinunciandoci dopo poco. Dall'armadio presi una camicia pulita, infilai i pantaloni della divisa, la giacca e, con una scarpa ancora da allacciare, uscii da quel girone infernale. Mentre finivo di sistemare i libri buttati a caso nella cartella, riuscivo ancora a sentire la sveglia che suonava e il rumore dei suoi rimbalzi sul pavimento. Poi Bobbie che imprecava e la spegneva. Gli studenti cominciavano a far capolino dalle camere, dirigendosi alla mensa o a uno dei chiostri per fare colazione. Si. Un caffè era proprio quello che mi serviva.

***

Grazie al cielo il martedì non si tenevano corsi di disegno, perché prima delle due di pomeriggio non riucii a svegliarmi. I fantasmi della notte passata mi tormentavano ancora. La sensazione di vuoto che avevo provato la sera di 3 anni prima mi chiudeva lo stomaco e stringeva la gola. Non ero io quella che doveva uscire viva da quella macchina... 
Mi guardai allo specchio del bagno. Avevo gli occhi gonfi di pianto, dai contorni arrossati.
La cicatrice risultava violacea sul pallore del resto del viso. Per un momento ebbi la sensazione di trovarmi di nuovo all'ospedale, con ancora i punti a tirarmi la pelle del viso. Chiusi l'occhio buono. Non vedevo quasi nulla. Solo aloni di luce. Non potevo crederci. Il mio cristallino si era spaccato in due, c'era mancato un soffio perché il mio nervo ottico non si recidesse, ma la pupilla on funzionava più come doveva. La luce non veniva filtrata correttamente, le immagini non erano nitide, l'unica cosa decifrabile era la luce. Distinguere tra luce e buio. Il mio occhio sinistro sapeva fare solo questo. Le mie assenze al college non erano passate inosservate e, al mio ritorno, capii che il preside Gilles non era stato capace della discrezione promessa.
Entrai in doccia dopo poco, cercando di lavare dalla mia pelle tutte quelle sensazioni che credevo aver seppellito per sempre. Gli sguardi curiosi, quelli schifati, quelli canzonatori. Volevo che l'acqua li portasse con sé giù per lo scarico, staccandomeli di dosso definitivamente.
Uscii dalla doccia dopo una buona mezzora. Mi sentivo leggermente meglio, ma incredibilmente goffa, come se mi trascinassi appresso un peso da almeno 50 libre. Una volta vestita sedetti di nuovo sul letto. Lo sguardo corse istintivamente al comodino, mentre la mia mano apriva il cassetto con lentezza. La foto di Raphael giaceva sotto il raso che la proteggeva da possibili graffi. Scostai le altre cose, prendendo la cornice tra le mani. Il mio fratellone.. era sempre stato bello, con quegli occhi verdi e i capelli di un mogano scuro che gli incorniciavano il viso in boccoli perennemente disordinati. Se non fosse stato per quella foto, credevo che avrei dimenticato la sua faccia. Da che mi mancava avevo guardato quella foto di rado, solo e soltanto quando si verificavano episodi come questi. Dovevo limitare i danni, evitare di risentire il senso di colpa sulle mie spalle. il più delle volte però, non ci riuscivo.

***

Dopo i corsi di quel giorno ero esausto e il corso di matematica mi aveva dato il colpo di grazia. Avevo passato un'ora e mezzo cercando di decifrare le parole della signorina Martins, senza capirci comunque niente. Per quel giorno decisi che ne avevo avuto abbastanza. Volevo solo dormire. Il caffè delle 7.00 e quello delle 12.00 avevano funzionato alla grande, ma il mio desiderio ora era quello di stendermi su una qualunque superficie piana e scivolare nel mondo dei sogni. Arrivai al dormitorio ciondolando, nonostante fossero solo le 6.30 del pomeriggio. Cercai nelle tasche dei jeans le chiavi della stanza e proprio mentre stavo per infilarle nella toppa, la porta della 121 si aprì, rivelando la figura snella di Grace uscire. Restai immobile per qualche secondo, ad osservarla. In spalla teneva una borsa sportiva, mentre una tuta copriva il suo corpo perfetto. Quando si voltò verso il corridoio, non si accorse nemmeno che ero di fronte a lei, perché mi sorpassò lentamente, dirigendosi al terzo edificio. Palestra. Mi aveva detto di non seguirla.

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