1º Capitolo

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Mercy sospirò davanti all'ennesima tazza di caffè caldo. Quella sera il pronto soccorso era strapieno di gente e i familiari non facevano altro che gridare per attirare l'attenzione dei medici. I colleghi correvano da una parte all'altra dell'ospedale aiutando i feriti e sostenendo emotivamente i parenti in panico. Era un lavoro doppio quello del medico e Mercy ne era orgogliosa. Di solito non si prendeva pause, l'adrenalina in circolo era sempre un buon metodo per restare svegli e vigili. Ma dato che quella notte il sonno la stava facendo crollare, Mark aveva preso momentaneamente il suo posto. Buon santo Mark, il suo collega era sempre pronto per aiutare tutti, feriti e non.
Davvero un santo.
Fortunatamente in quei quaranta secondi a disposizione era riuscita a prepararsi del caffè per affrontare quella lunga nottata. Entrare in medicina era sempre stato il suo sogno fin da bambina; quando era entrata in traumatologia il suo sogno si era realizzato e ogni giorno salvava quello dei suoi pazienti facendo l'impossibile per salvarli. Posò la tazza sul tavolo e si avviò in reparto. Un collega arrivò in tutta fretta verso di lei e le lasciò la cartella di un paziente in mano borbottando qualcosa.
<Sarà proprio una lunga nottata.> Si disse aprendo la porta della stanza.
Mercy sospirò e si preparò a salvare vite, come ogni notte.

<Che nottata! Sono esausta.> Sbuffò Mercy sbattendo lo sportello della sua auto. Si strinse nelle spalle mentre l'aria fresca di primo mattino le faceva venire la pelle d'oca.
Percorse il vialetto del suo giardino e girò le chiavi nella toppa della porta. Il suono metallico degli ingranaggi la metteva sempre di buon umore. Spalancò la porta e gettò il cappotto a terra nell'ingresso, lo avrebbe messo a posto quando si fosse svegliata.
Salendo sulle scale, Mercy sentì nel silenzio solo il miagolio di benvenuto del suo gatto e istintivamente sorrise. Era abituata alla solitudine, ma i suoi genitori odiavano sapere che la loro unica figlia non faceva altro che lavorare in ospedale, senza preoccuparsi di dare loro un nipotino. Per di più, odiavano che Mercy non volesse nessun compagno.
La ragazza non sentiva semplicemente la necessità di una famiglia e in fondo le andava bene così. Non capiva l'accanimento dei suoi genitori, come loro non capivano il suo disinteresse. Arrivata all'ultimo gradino percorse il lungo corridoio e arrivò alla sua camera da letto. Senza spogliarsi e né togliersi le scarpe, si buttò a pancia in giù sul materasso. L'ultima cosa che sentì fu il pelo morbido del suo Tom strusciarsi contro il suo fianco, poi si addormentò.

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