3º Capitolo

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Mercy controllò l'orologio a cucù di legno antico appeso alla parete del salone.
Le 3 di mattina.
Tutto giaceva immobile nel buio della casa e il silenzio veniva spezzato solamente dai respiri impazienti della ragazza.
Era una di quelle poche notti in cui Mercy non era di turno all'ospedale, inutile dire che non riusciva nemmeno a rilassarsi. Solitamente in quelle ore, se era a casa, se ne stava sveglia a guardare la tv o a preparare un dolce in cucina. Ma quella notte c'era qualcosa che non la convinceva.
L'ennesimo sbuffo la convinse ad alzarsi e a perlustrare nuovamente le stanze deserte.
Il corridoio d'ingresso, la sala da pranzo, la cucina, il bagno, le scale; il corridoio, la camera da letto, il bagno, lo studio, la porta dello scantinato...
Mercy si bloccò e guardò la porta malandata, apparentemente la più vecchia e consumata. La serratura non chiudeva bene da fuori e la ragazza, dopo essersene accorta, aveva provveduto da sé con un pesante catenaccio. Solo un piccolo spiraglio era visibile, ma il buio offuscava del tutto la visuale. Mercy non ci andava mai là sotto. L'unica ed ultima volta era stata durante il trasloco per mettervi le poche cose inutili che si era portata nella nuova casa.
Quella stanza era in fondo al corridoio e lei non ci passava neppure davanti. Aveva il terrore degli scantinati e, talvolta, perfino del buio. La sua era una paura infantile, forse dovuta a qualche trauma del passato. Ma Mercy faceva di tutto per assecondarla, dimenticandosi perfino di avercelo, uno scantinato.
Ma non quella volta. Quella notte se n'era ricordata e se i piedi l'avevano condotta fino a quel battente di legno ammuffito, beh, allora era ora di entrarvi.
Mercy allungò le dita tremanti al catenaccio e lo slegò. Aprì la porta che si spalancò scricchiolando e sporse la testa dentro. L'unica cosa che riuscì a vedere in quel buio fu il primo ed il secondo scalino di legno. La ragazza scese i due scalini con passo tremante dandosi della stupida per le sue paure infondate.
Accese la torcia dal suo cellulare e si fece luce scendendo una lunga e precaria scalinata di legno. Arrivata giù ruotò il getto di luce intorno a lei. La stanza era come se la ricordava: vuota, a parte un armadio con quattro scaffali rotti su sei e tre scatoloni.
Mercy si avvicinò cautamente al primo scatolone e vi sbirciò dentro. Era colmo di libri di favole di quando era bambina. Ne prese uno rimpiangendo di non poter più credere a cavalieri, principesse e a draghi parlanti.
Passò al secondo e notò che erano per lo più vecchi abiti, mai più messi. Un lembo della stoffa gialla e delicata del vestito che aveva indossato alla festa della scuola, sbucò sotto ai suoi occhi. La ragazza però non ci fece caso e aprì, incuriosita, il terzo scatolone. Quest'ultimo era praticamente vuoto e Mercy prese l'unica cosa presente: una vecchia bambola di stoffa.
<Strano...> Disse rigirandosela tra le dita <Non ricordavo di averla messa qui.>
Sentì una voce sussurrare debolmente <Perché non l'hai messa tu...>
Mercy sussultò, stringendosi la bambola al petto e chiese allarmata <Chi c'è?! C'è qualcuno?...Non è divertente!>
L'oscurità era l'unica cosa presente con lei e Mercy cercò di calmarsi, sentendosi una cretina.
Corse velocemente verso l'uscita, ma quando appoggiò il piede sul primo scalino, si immobilizzò sentendo una risata nel buio dietro di lei.

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