3. Quel Maledetto Giorno

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Erano appena passate le 3.30 del mattino quando ricevetti una chiamata, non feci in tempo a parlare che Marta disse: "Sarah è andata via, il suo calvario è finito. E ora finisce il mio. È durato meno che il suo, ovvio, ma io non so cosa fare senza lei. Lo so, sono una delusione, ma capitemi. Vi ho sempre voluto bene!!" .

La chiamai più volte senza avere una risposta, andai a casa loro ma non c'era nessuno, avevo paura, non poteva andarsene anche lei. Avevo troppa paura. Non sapevo dove cercarla. Dove poteva essere andata? Di certo non in un luogo pubblico, sarebbe stato troppo difficile compiere un gesto simile in luoghi simili. Come sapete Milano non è un paese di campagna, gira gente a qualsiasi ora del giorno.
Ero nel loro garage, vidi che l'auto non c'era. Che idiota, dovevo controllare prima quello, magari avrei fatto qualcosa, sarei potuta arrivare prima. Vidi un post-it giallo sul pavimento. Speravo ci fosse scritto qualcosa di bello, ad esempio "sto venendo a casa tua", oppure "Ho bisogno di stare sola, ho preso l'auto e ho fatto un giro, non voglio farmi male" ma, ma, ovviamene non poteva esserci scritto una cosa simile, era impossibile, dopo tutto, non poteva scrivere qualcosa di bello! Infatti aveva scritto "Al mondo non ci sono eroi, c'e chi è più bravo ad aiutare le persone e chi meno, e non voglio darti altro peso, se vuoi vedermi sono ai Giardini Pubblici, lo sai che li di notte non c'è quasi nessuno."

È inutile dire che ci sono andata e come l'ho trovata, questo lo potete immaginare voi. Non avevo speranze, la prima cosa che feci dopo essere crollata in un pianto assurdo è stata quello di prenderla in braccio, abbracciarla e sussurrale per l'ultima volta quanto bene le voglio. Poi ho chiamato l'ambulanza che arrivò dopo pochissimo e la portarono all'ospedale, più precisamente all'obitorio, insieme a Sarah, chiamai mio marito Federico e gli chiesi se poteva tenere d'occhio i bambini e chiamare i miei genitori dicendoli di venire all'ospedale. Gli aspettai all'entrata, fumando qualche Marlboro rossa nell'attesa. Ero così stremata che non riuscivo neanche a piangere o parlare, non sapevo cosa fare all'arrivo dei miei genitori. Mi ricordo che al loro arrivo erano le 4.47 della stessa mattina. Avevano uno sguardo abbastanza cupo, non riuscivo a capire se era per le ore di sonno mancate o perché sapevano già tutto. Non esitai ad abbracciare mia madre appena la vidi. Avevo seriamente il timore di dirglielo. Per prima cosa gli accompagnai, insieme al medico di turno, in una stanza buia rispetto le altre. Ero troppo sconvolta per ascoltare, mi chiedevo anche perché dovevo ascoltare, tanto sapevo già tutto. Non avevo bisogno di altre spiegazioni. Allora mi misi vicino alla finestra, e guardai i comportamenti dei miei genitori, avevo terrore delle loro reazioni. Mio padre guardò tutto il tempo per terra e continuava a fare un gioco strano con le mani, come se fosse incredulo e infastidito dalle parole del dottore.  Vidi mia madre sull'oro di crollare in un pianto lunghissimo, come mai aveva fatto prima e mio padre in preda ad un esaurimento. 

"Basta" - urlò mio padre -" La smetta di dire le solite frasi fatte prese dai film." - continuò con una voce più bassa, quasi stesse per piangere - "La vita reale non è così. Tutte quelle frasi non aiuteranno a placare il nostro dolore. La perdita di un figlio non è facile da gestire. Era giovane, aveva a malapena 35 anni. Aveva tante cose da fare, doveva girare il mondo, voleva avere una famiglia. La smetta di dire frasi poco rassicuranti, perché queste non lo sono per niente". In tutti questi anni di vita, non ho mai visto mio padre alzare la voce e piangere. Mia madre aveva troppa paura per parlare, piangeva e basta. Quando mio padre uscì da quella stanza, mia madre non riusciva neanche a reggersi in piedi, la aiutai ad alzarsi e uscimmo insieme verso papà. Papà si toccava frequentemente la fronte quando aveva paura o era stressato, era da tempo che non faceva più così, la cosa mi fece ricordate tutte le volte che io e mia sorella lo prendevamo in giro da piccole, ma non potevo ricordare a tutti questo particolare. Appena usciti dall'ospedale, fumai un'altra sigaretta, stranamente me la chiese anche mio padre, che di norma non fumava, e questa cosa mi fece capire quanto fosse perso in quel momento. Mentre finii quella sigaretta, mamma abbracciò mio padre, cosa che non facevano da anni, li guardai con sguardo abbastanza scioccato e cubo. Volevo solo tornare a casa, abbracciare mio marito e i miei figli, Sebatian, di 6 anni, e Deborah, di 4, e  dormire. Volevo staccare la mente, non volevo pensare a cosa fosse successo quella drammatica notte, non volevo essere cattiva e insensibile, volevo solo avere tempo e solitudine per elaborare il tutto. Ma appena finita la sigaretta chiesi ai miei genitori se volessero venire a casa nostra e stare un po con i loro piccoli nipoti, non volevo lasciarli soli.  

Subito dopo essere arrivati a casa preparai una tazza di caffè per me, mio marito e i miei genitori, mentre una tazza di cioccolata calda ai miei figli. In tanto che i miei figli giocavano con i nonni io e mio marito parlammo in cucina:

Come stai? - chiese mio marito mentre mi abbracciò

Sono stata meglio! - dissi con voce stanca

Federico si guardò intorno, come se avesse paura di parlare davanti ai miei genitori o ai nostri figli.

Non so se ti ricordi quella giacca blu scuro che ti imprestò qualche giorno fa tua sorella? Per caso oggi l'ho presa, la stavo mettendo insieme alle altre giacche e per caso ho trovato questa lettera, non l'ho letta, e sono sicuro che è intestata a te. - disse  con voce fiacca, come se fosse una agente sotto copertura. 

"Cara Marta, 

inizio subito con dirti che ti voglio bene, sono felice del rapporto che abbiamo avuto. Adesso ascoltami bene, ho bisogno del tuo aiuto. Quando faranno il funerale, ti supplico fate il mio insieme a quello di Sarah, dovete fare tutto insieme, anche le bare, mettetele vicine per favore, è l'unico diritto che mi rimane. Poi, la casa non vendetela, usatela voi quattro, quella casa era perfetta per una famiglia. Per il resto delle nostre cose potete fare quello che volete, ma queste sono le cose più importanti. Sai, sei una sorella fantastica, ma soprattutto una persona. Qualunque cosa io voglia che tu faccia, so che la farai, so che lotterai per noi. Non ho parole per ringraziarti e dire quanto sei fantastica. Posso solo dirti che ti voglio bene, sei una persona con un cuore immenso, Federico ha fatto bene a sposarti. Statemi tutti bene!!

Amelia."

Cercai di non piangere, di non far vedere quanto stessi male ai miei genitori ma soprattutto ai miei figli che erano ancora ignari della situazione. Andai a giocare con i miei figli e facendo finta di niente la giornata finì, più lentamente che mai, come se volesse ricordarmi filo e per segno ogni dettaglio straziante. 

Ecco cosa successe quel giovedì di fine febbraio. Il giorno più brutto della mia vita.

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