Gennaio 2015
SeattleDopo aver udito quelle parole pronunciate dalla giornalista dal suono così titubante, osservai lo schermo spegnersi e cercai con lo sguardo William che nel frattempo appoggiava il telecomando sul bancone di legno di quercia ormai usurato dal tempo.
Il suo volto, incorniciato dalle rughe dell'inevitabile invecchiamento, aveva assunto un'aria scettica, quasi come se non credesse a quelle parole."Signori per favore liberate l'ingresso se non siete intenzionati a comprare." Comunicò William alla calca di persone che ostacolava l'entrata della libreria.
Molti uscivano senza proferire parola, altri imboccavano l'uscita confabulando sulla notizia da poco acquisita.
Un uomo però, si fermò al bancone di William appoggiando il suo capello di feltro grigio su di esso. Era Peter, il proprietario del negozio di giocattoli all'angolo della strada e di tutti quelli presenti in città. Odiavo quell'uomo con ogni fibra del mio corpo dato che aveva fatto passare quattro anni infernali al povero William. Quest'ultimo aveva chiesto un prestito a Peter per aprire il suo negozio di libri, all'epoca erano ancora amici, avevano fatto le scuole assieme e le volte in cui Peter passava i pomeriggi a casa di William ormai non erano più in grado di essere contate. Col passare degli anni, grazie a varie eredità, quell'uomo fece fortuna e diventò ricco sfondato, ma allo stesso tempo l'avarizia si era annidata nel suo corpo, caratteristica della quale William non era ancora a conoscenza. Scoprì col tempo che sarebbe stato meglio chiedere quel prestito alla banca dato che non c'era stato giorno in cui Peter non andasse a mettere in difficoltà il suo "amico" chiedendo come andassero gli affari per riavere al più presto quella cifra che non avrebbe di certo cambiato la vita al suo portafoglio. Ricordavo ancora il sorriso sul volto di William quando saldò il suo debito, tant'è che portò me ed Evan a cena fuori, fu un evento importante visto che William odiava cenare fuori casa."William, la tua voglia di lavorare mi sorprende, metti da parte i soldi per farti un viaggetto?" Disse Peter con un ghigno beffardo.
"Non sei il benvenuto, vattene." Intervenne all'instante Evan che aveva assunto uno sguardo di sfida.
"Eppure, questo buco pieno di carta rilegata l'ho finanziato io! Come potrei non essere il benvenuto?" Schernì Peter.
"Si, quattro anni fa era così, ma il debito è stato saldato, quindi non hai più nessun privilegio qui dentro." Disse Evan indicando la porta.
La risata roca di Peter risuonò in tutto il negozio quasi come se si stesse impregnando nelle mura dell'edificio.
Il cipiglio sul volto di William si faceva sempre più corrucciato alla vista di quell'uomo che si beffava di lui.
"È come ha detto mio nipote, Peter. Fammi la cortesia di uscire." Asserì William con un tono pacato che non rispecchiava affatto la sua espressione.
Peter lanciò uno sguardo pregno d'odio infondato a William, uscì senza dare risposta e fece sbattere violentemente la porta d'ingresso seguita dal tremolio del vetro blu presente su di essa.Avevo osservato tutta la scena immobile nello stesso punto da quando avevo varcato la soglia. Sbuffai infastidita dal comportamento di quell'essere sgradevole, mi tolsi il giubbotto e lo appoggiai distrattamente all'attaccapanni in vimini, mentre Evan sbatteva gli ultimi libri da catalogare sul bancone.
"Ragazzi non pensateci, ormai sapete anche voi com'è fatto Peter, ha sempre bisogno di avere il suo piccolo momento di gloria."
Ci rassicurò William.
"Dovremmo affiggere un cartello a caratteri cubitali con su scritto: Vietato l'ingresso a Peter Anderson, gli animali sono ben accetti."
Disse Evan seguito da una risata, la quale fu subito accompagnata dalla mia e da quella di suo zio.
Mi avvicinai al bancone e riposi al di sotto del tavolo la mia borsa, afferrai un bicchiere di plastica e facendo partire la macchina del caffè, dissi: "Cosa ne pensate di quella strana notizia?"
L'espressione di Evan cambiò da sorridente a perplessa, evidentemente se ne era scordato."Avranno combinato nuovamente qualche casino, come ormai succede da anni, non c'è da preoccuparsi." Sbottò William indifferente.
"Potrebbe anche essere qualcosa di grosso, che senso avrebbe annunciarlo alla tv altrimenti?" Chiesi.
"Hazel, cosa mai potrebbe succedere?" Disse quasi divertito.
"Non ne ho idea William, ma quella giornalista sembrava molto preoccupata." Risposi.
"In effetti non sembrava una cosa da poco." Bisbigliò Evan.
"Vedrete che qualunque cosa sia verrà sistemata velocemente e ci scorderemo presto di questa notizia. Ora mettiamoci a lavoro, questi libri non si vendono da soli." Sentenziò William dirigendosi verso il suo ufficio al secondo piano.
Presi il secondo caffè della mattinata e ripensai a quello che aveva detto. Nonostante conoscessi William da diverso tempo il suo comportamento mi era parso strano. Era sempre stato un uomo aperto a varie tematiche e non aveva mai troncato un discorso a metà, fuorché non si trattasse di un discorso con Peter."Stai tranquilla Hazel, vedrai che sarà come dice lui, non preoccupiamoci inutilmente adesso." Mormorò Evan.
Quelle parole erano dovute dall'espressione che avevo in volto ovviamente, chiunque poteva notare che ero turbata.
"Si, forse hai ragione." Dissi mentre volgevo lo sguardo verso di lui e sorridevo.
In verità fingevo, perché dentro di me ero allarmata. Forse gli davo troppo peso, ma non vuol dire che se una cosa succede a tantissimi chilometri di distanza allora non deve toccarci, pensai irritata.La mattinata passò tranquillamente, forse anche troppo. Le persone entravano nel negozio, acquistavano e felici se ne uscivano. Come potevano essere così spensierati? Mi domandai tra me e me.
"Hazel, andiamo?" Mi annunciò Evan riportandomi alla realtà.
Non mi diede neanche il tempo di rispondere che continuò dicendo: "Dai forza, Caleb e Sophie ci aspettano per il pranzo, siamo in ritardo!"
"Sisi, andiamo. Spengo il computer, aspettami in auto." Avvisai io.
Evan afferrò il suo giubbotto, salutò suo zio a gran voce per farsi sentire dal secondo piano e dopo aver ricevuto risposta, uscì dalla porta.
Compilai velocemente l'ultimo ordine e spensi il computer. Mentre afferravo borsa e giubbotto, mi accorsi che lo schermo installato all'altezza delle scale era rimasto spento per tutta la mattinata. Vagai velocemente alla ricerca del telecomando, ma non trovandolo pensai che William l'avesse portato con se per evitare di sentire ancora, per lui, inutili sciocchezze.
Ripetei il gesto di Evan, salutai suo zio a gran voce e dopo aver ricevuto anch'io risposta, mi lasciai la porta alle spalle."Eccomi." Dissi entrando goffamente nell'auto di Evan con la quale ero arrivata a lavoro.
"Allora, dove andiamo? Sophie non mi aveva accennato il posto stamattina." Continuai dopo essermi allacciata la cintura di sicurezza.
"Non ne ho la più pallida idea, Caleb mi ha solo scritto l'indirizzo." Disse Evan.
Alzai gli occhi, conoscevo troppo bene Caleb e sicuramente non sarebbe stato un ristorante che serviva pietanze comuni.
Evan accese la radio in cerca di una stazione che passasse canzoni orecchiabili e dopo averla trovata mi afferrò la mano in una forte morsa, adoravo questo suo gesto, mi faceva sentire sua.
Il telefono di Evan squillò, il quale dopo essere stato messo in viva voce, annunciò la voce di Caleb.
"Ma vi siete persi?" Disse scocciato.
"No, siamo imbottigliati nel traffico amico! Dacci una quindicina di minuti." Rispose Evan.
"D'accordo, allora ordiniamo noi per voi!"
Urlò Caleb.
"Cosa? No! Cal-" provò a dire Evan, ma la chiamata era già stata agganciata dal suo amico.Parlammo del più e del meno lungo il tragitto accompagnati dalla musica, fino a quando un'insegna color ocra ornata da ghirigori damascati ci provocò un sussulto.
"Ristorante indiano, davvero?" Sbuffò Evan.
"Conosci Caleb, per lui un piatto di pasta è troppo banale." Risposi divertita.
Evan parcheggiò l'autovettura in prossimità di un laghetto, dopo aver cercato inutilmente un posteggio più vicino, ed insieme ci apprestammo a scendere.
Camminavamo mano nella mano, come alle nostre prime uscite, lungo il vialetto che ci separava dai nostri amici.
Ancor prima di entrare, provai ad immaginarmi i sapori e gli odori con cui di li a poco sarei venuta a contatto e l'idea non mi allettava per niente, ero più il tipo da pizza o hamburger.
E fu esattamente in prossimità dell'entrata che udimmo un urlo straziante. Il tempo rallentò nella mia testa, il vento invernale mi pungeva e abbracciava con tutta la sua essenza. Mi girai in cerca della sorgente dalla quale proveniva quel suono acuto e ciò che vidi, mi gelò il sangue nelle vene._____
Grazie infinitamente per essere giunti fino a qui! Questo capitolo ha molto lavoro dietro anche se non sembra, ci stiamo davvero impegnando.
Bacini a tutti 🌸
Gaia e Giulia
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The Deadly Mistake
Science FictionLa vita è breve, si sa. Viene sempre insegnato a non dare nulla per scontato, ad amare senza paura, a perdonare in fretta, a non dover rimpiangere niente... Ma cosa succede quando l'esistenza di miliardi di persone viene sconvolta e distrutta dall'e...