Secondo capitolo

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Gennaio 2015
Seattle

Un ticchettio fastidioso, seguito da un suono assordante, mi fece sobbalzare dal letto. Mi resi velocemente conto che quel rumore era provocato dalla sveglia, che per tutte le vacanze natalizie era rimasta in silenzio in attesa di tornare al proprio lavoro.
"Ed io che mi stavo abituando al risveglio spontaneo." sbuffai assonnata.
Il piumone mi avvolgeva quasi come se fossi un bruco in attesa della metamorfosi in farfalla, ma in questo caso per me non c'era nessuna trasformazione in positivo, bensì il ritorno alla quotidianità tanto odiata.

Svogliatamente scostai il piumone, allungai il braccio verso il comodino e spensi la sveglia, il rumore cessò e cominciai ad apprezzare il silenzio che avvolgeva la stanza, anche se di lì a poco le mie povere orecchie sarebbero state straziate dall'inquinamento acustico della metropoli.
Mentre aprivo lentamente gli occhi mi accorsi che il letto non aveva subito altri movimenti oltre ai miei, mi parve strano che Evan non si fosse svegliato in seguito al trambusto causato da me e dalla sveglia. Volsi lo sguardo verso la parte sinistra del letto e al posto di trovare il corpo del mio ragazzo trovai un biglietto posto sul cuscino.

"Ha chiamato William, aveva bisogno di aiuto in negozio. Il caffè è pronto, a dopo." Erano le parole impresse, con una penna sbiadita, sul foglio.

William era lo zio di Evan, l'unico parente a cui era davvero mai importato qualcosa di lui.
I suoi genitori lo avevano abbandonato subito dopo la nascita, perché i soldi scarseggiavano e a malapena riuscivano a sfamare due bocche, le loro.
Quando William lo venne a sapere, mi raccontò che sua sorella April e suo cognato Christopher avevano fatto tutto in gran segreto. Sparirono per circa un anno alla volta del viaggio che gli avrebbe cambiato la vita, dicevano, ma in realtà si erano semplicemente rifugiati in una casetta in montagna ereditata dal padre di William ed April ad aspettare il rimorso che li avrebbe seguiti come un'ombra per il resto della loro esistenza.
Lo zio di Evan lo scoprì in seguito ad una visita inaspettata che fece ai due, quando dopo essersi sbarazzati del peso che portavano e aver fatto trascorrere un po' di tempo, riapparvero nella cittadina in cui abitavano. William trovò semplicemente la cartella dell'orfanotrofio lasciata distrattamente in bella vista in mezzo alle bollette scadute che soggiornavano sulla credenza in cucina. Decise, dopo aver ascoltato le futili giustificazioni dei due, di dirigersi all'orfanotrofio dove Evan viveva da ormai due anni in attesa di una vera casa. Lo prese con se e lo tirò su come se fosse figlio suo, senza mai fargli mancare niente e soprattutto donandogli l'affetto che non aveva mai ricevuto.

La luce del sole, che penetrava dalle persiane, mi allontanò dolcemente dai pensieri e ricordi che danzavano nella mia mente. Distrattamente lanciai uno sguardo alla sveglia che segnava le 8:15, ero decisamente in ritardo, il negozio di William dove lavoravo anche io apriva al pubblico alle 9:00 e dopo essere stato chiuso per le festività aveva bisogno di una sistemata.

Saltai velocemente giù dal letto, senza sistemarlo, afferrai dei jeans e un maglione dall'armadio e corsi in bagno a darmi una rinfrescata.
Dopo aver provato a rendermi più o meno presentabile con un filo di mascara e un rossetto color borgogna, la mia prossima tappa era la cucina, non sarei mai riuscita a guidare se prima non avessi mandato giù quello che era ormai il mio carburante, il caffè.
Lasciai la tazza vuota sul tavolo di legno scuro, infilai velocemente gli scarponcini ed afferrando borsa e giubbotto mi chiusi la porta alle spalle.

Mentre salivo in macchina mi resi conto di quanto fosse sporca e incasinata: i sedili posteriori erano ricoperti dai fogli dell'università, i quali avevo giurato di mettere a posto una volta iniziate le vacanze.
Sbuffai alla vista di quel caos e infilando la chiave nel cruscotto mi immersi nel traffico. Quel poco sole che era spuntato era già stato risucchiato dalle nuvole grigie che abbracciavano il cielo.
Dopo neanche aver percorso due chilometri, mi arrivò una chiamata da Sophie e dopo aver nervosamente messo gli auricolari mi feci accompagnare dalla sua voce lungo il tragitto.
Una volta arrivata al parcheggio che sovrastava il negozio di libri di William, salutai Sophie che mi diede appuntamento alle 13:00 per pranzare assieme e discutere dell'imminente rientro all'università.
Afferrando la borsa e chiudendo la macchina, diedi un'occhiata al mio telefono, segnava le 8:54. Mentre percorrevo la strada, speravo con tutta me stessa che Evan e William fossero riusciti a sistemare in tempo per l'apertura del negozio nonostante il mio ritardo.
Accompagnata dal suono delle foglie che scricchiolavano sotto ai miei piedi, notai la folla di gente in strada, ogni negozio e attività erano circondati da persone in assoluto silenzio che si guardavano sbigottite tra di loro. Allungai il passo e una volta varcata la porta di vetro blu della libreria, volsi lo sguardo verso lo schermo posto all'ingresso dato che tutte le persone presenti nel negozio avevano gli occhi puntati su di esso. Il quale però non passava i soliti servizi sulle trame dei libri ma bensì un servizio del telegiornale, dove una donna ansiosa e sconvolta, ripeteva costantemente le stesse parole: "Il Giappone è stato messo in quarantena."

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Ed anche il secondo capitolo è stato sfornato, speriamo che vi piaccia! Un vostro parere ci farebbe molto piacere.
Gaia e Giulia 💕

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