Capitolo IV

29 7 0
                                    

Ormai erano due giorni che Janine stava rinchiusa in camera sua. La sua mente, assillata dai pensieri, vacillava tra la sanità e la follia, e senza la via di sfogo che gli animali le garantivano, la situazione stava lentamente degenerando. Neanche la felpa di Jeff le dava più sollievo, non le bastava più semplicemente annusarla e stringerla, come se fosse stata un orsetto di peluche. Voleva Jeff lì con sè, voleva sentire la sua voce. E al contempo, voleva uccidere, voleva il sangue.
Sentì bussare alla porta.
"Tesoro?" Sua madre si affacciò dalla porta, poi entrò seguita a ruota dal marito.
"Abbiamo una notizia da darti" tentò di accennare un sorriso, ma era evidente che provasse paura di fronte allo strano comportamento della figlia: era rimasta tutto il tempo immobile, lo sguardo fisso di fronte a lei, immersa in chissà quali pensieri. La madre non disse nulla per qualche secondo, aspettando una risposta, prima di riprendere nuovamente parola. "Ci trasferiamo". Finalmente Janine reagì, voltando la testa nella sua direzione, lo sguardo a metà tra il sorpreso e il furioso. Incespicò un po', fino a riuscire a pronunciare un semplice: "cosa?". "Abbiamo già una nuova casa" intervenì il padre ignorando completamente ciò che Janine aveva appena detto. "È in un paesino in montagna, di a malapena mille persone. Vedrai, ti troverai bene" concluse lapidario. Janine boccheggiò un po', senza sapere cosa dire. Che i suoi non fossero i classici genitori protettivi ed amorevoli, almeno nei suoi confronti, lo sapeva già. In più, come se non bastasse, l'assenza di Christopher aveva peggiorato la situazione. Lanciò un'occhiata carica d'odio verso le persone di fronte a lei, maledicendole in cuor suo. "Questo è quanto" concluse il padre, alzandosi e dirigendosi verso la porta, seguito a ruota dalla moglie. Janine, invece, restò sdraiata nel letto fissando insistentemente la serratura, nella speranza che qualcuno abbattesse ogni barriera: tra lei e il mondo esterno, certo; ma anche tra lei e i suoi genitori, tra lei e Jeff, tra Jeff e gli altri. Non riusciva più a sopportare la sua vita.
Fu in quel momento che Janine si ricordò un particolare.
I suoi genitori, uscendo, non avevano chiuso a chiave la porta.

***

La notte avvolgeva tutto nel suo nero vellutato. Un silenzio ovattato, rotto solamente dal latrato di cani in lontananza, permeava l'aria. Jeff evitava accuratamente di pestare ogni foglia secca, ogni rametto, che avrebbe potuto produrre il benché minimo suono. Estrasse il coltello sporco di sangue secco dalla tasca della felpa, non appena la casa di Janine fu visibile appena fuori dalla boscaglia. Si leccò le labbra prima di entrare senza esitazione nella finestra che, sapeva già, affacciarsi nella camera dei suoi genitori. Un letto matrimoniale occupava quasi interamente l'ambiente, lasciando spazio solamente ad una scrivania posta alla destra di Jeff, mentre la parete sinistra della stanza era occupata da un gigantesco armadio. Numerosi quadri e foto erano appesi ai muri, tuttavia nessuno di essi raffigurava in alcun modo Janine. C'era soltanto un bambino, o un ragazzo, dipendeva da quando era stata scattata la foto. Jeff strinse i denti, mentre strappava una cornice dalla parete in un moto di rabbia, scagliandola a terra. Il rumore di vetri rotti svegliò immediatamente i coniugi, che voltarono nervosamente la testa a destra e sinistra, spaventati. I loro occhi si spalancarono dal terrore non appena si resero conto che era stato Jeff a produrre quel suono. La donna emise un gridolino soffocato, l'uomo si mise subito seduto, nel tentativo di proteggere l'altra. "Voi..." il tono di Jeff era minaccioso, carico di rabbia. Alzò la testa scoprendo il volto, fino a quel momento nascosto dai capelli corvini, mentre lacrime di rabbia  rotolavano lungo le sue guance. "Voi non potete neanche immaginare cosa abbia passato vostra figlia" scosse lievemente la testa, coprendosi gli occhi con una mano. Sentì la mano del padre di Janine spostarsi in cerca del telefono, e Jeff allargò le dita scoprendo un occhio. Un ghigno di follia si allargò sul suo viso, seminascosto dalla sua stessa mano, mentre raccoglieva una penna stilografica posata sulla scrivania di fianco a lui. Si scoprì il volto, stappando la penna e lanciandola con precisione verso l'occhio dell' uomo, in cui si conficcò provocandogli un urlo di dolore. Il ragazzo si avventò sulle due vittime, e il rumore delle sue risate sovrastava le urla dei malcapitati. Quando tornò il silenzio, Jeff ansimava. Stava seduto diritto sul letto, sovrastando i corpi martoriati. Voltò la testa verso la porta della camera, e quando intravide l'occhio di Janine attraverso lo spiraglio che era stato lasciato aperto, per un attimo la sua follia si spense. Ma fu un attimo fuggevole. La porta si richiuse di scatto, mentre Janine correva verso la cucina. "Jeff non è un mostro", si ripeteva, "Jeff non è un mostro." Prese un coltello dal cassetto della cucina, dirigendosi poi verso un bagno. "IO, sono un mostro".

Lei. Janine Black.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora