Capitolo I

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La luce gialla dei fari lo illuminò violentemente, subito seguito dal suono delle sirene. Dannazione, l'avevano visto. Cominciò a correre imprecando, incurante del vento che gli abbassava il cappuccio e arrufava la sua chioma corvina, già normalmente spettinata. Svoltò l'angolo, subito seguito dall'auto, la luce che illuminava gli schizzi di sangue, sia fresco che secco, sulla sua felpa bianca. Si tuffò in un vicolo troppo stretto per la macchina, poi accelerò, incentivato dal suono degli sportelli che sbattevano. "Fermo dove sei!" Urlò qualcuno, ma lui continuò a correre. Si arrampicò velocemente sopra il muro che chiudeva la strada, mentre una pallottola per poco non gli colpiva la spalla. Voltò un attimo lo sguardo verso gli sbirri prima di saltare giù dalla parete. Ruzzolò un po', poi uscì dal cortile interno in cui si trovava, e corse ancora verso il confine della cittadina. Rallentò, pur mantenendo un'andatura spedita, fino ad arrivare al bosco limitrofo. Si avventurò nella vegetazione, riconoscendo ogni singola foglia, pietra, roccia che si ritrovava davanti. Era tornato dopo due anni, e la polizia si ricordava ancora di lui. Si calò il cappuccio sulla testa, prima di proseguire oltre. "...oggi ho preso quattro e mezzo di storia" il ragazzo si immobilizzò. Di chi era quella voce? E che ci faceva qualcuno in un bosco, nel cuore della notte?
"Però non è colpa mia, la prof ha interrogato a sorpresa" proseguì la voce. Si nascose nei cespugli, spiando ciò che accadeva. Una ragazza, con una felpa nera e dei pantaloni dello stesso colore, era appollaiata su un ramo. Da quel punto d'osservazione non riusciva a vedere molto altro, ma continuò ad ascoltare. "Comunque, per sfogarmi ho ucciso un gatto" affermò soddisfatta, prima di lanciarsi nella minuziosa descrizione di ciò che aveva fatto all'animale. "Bello" rispose semplicemente una seconda voce. Il ragazzo sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene. Non era umana. Era tremendamente rauca, ridotta ad un sussurro; ma ben udibile a causa del silenzio della notte. Passarono un paio di secondi in cui nessuno parlò. "Devo andare" disse lei tutt'ad un tratto. "Ciao Chris" salutò. Chris? Christopher? Non capiva. Lui era morto. Com'era possibile che quella ragazza ci parlasse, e per di più che qualcuno le rispondesse? Chi era lei? Una domanda dietro l'altra, in breve la sua mente fu assillata dai dubbi. Una figura bianca che atterrava sul terreno distolse la sua attenzione dai propri pensieri. Lo osservò camminare lentamente, per poi scomparire nella boscaglia. Solamente in quel momento si accorse che aveva trattenuto il fiato da quando era arrivato. Si sedette a terra, appoggiando la schiena ad un albero, lasciandosi scappare un sospiro di sollievo. Tuttavia il suo volto sbattè contro il tronco di fronte, il collo inchiodato da una mano a lui sconosciuta. Tentò di liberarsi, ma la punta di un coltello si posò sulla sua tempia. "Sai, basta spingere un pochino" era stata la voce rauca a parlare. "Ti ho visto. Ci spiavi. Cosa vuoi da lei?" Gli disse ancora, avvicinandosi al suo orecchio. Il ragazzo cominciò ad annaspare in preda al nervosismo.
"Parla!" La voce, normalmente appena udibile, si era trasformata in un urlo. "Cosa vuoi da Janine?"
Janine.
Quel nome.
Dunque era lei.
La rabbia cominciò a ribollire dentro di lui, ma si contenne.
"Niente."
"Niente?"
"Niente."
Sentì la mano schiacciargli ancora il collo, prima di essere lasciato andare. Si voltò, osservando le spalle del ragazzo che fino a poco fa lo teneva inchiodato: felpa bianca, capelli neri. Estrasse il coltello dalla tasca. Lo lanciò verso di lui. Si sarebbe conficcato con precisione nel suo cranio, se lui non si fosse girato all'improvviso e non l'avesse afferrato. Con un colpo secco la lama si conficcò nel tronco dietro al ragazzo, a pochi millimetri dalla sua mano. Ma lui stava osservando incredulo il volto dell'altro, in piedi a pochi passi da lui. Le avrebbe riconosciute ovunque quelle guance tagliate, quegli occhi privi di palpebre. Boccheggiò per un attimo senza trovare le parole.
"Tu... tu sei..." indietreggiò impaurito, senza sapere cosa dire. "Ti prego" cominciò l'altro, "Non imitarmi". La sua bocca si increspò in sorriso tirato e stanco, ammiccando all'abbigliamento del suo interlocutore.
"Non farlo" disse soltanto, prima di andarsene.
Gli occhi del ragazzo vagavano ancora sulla sagoma del killer che, fino a pochi secondi prima, era in piedi di fronte a lui. Aveva cominciato ad emularlo quasi per scherzo, per una serie di coincidenze insensate: aspetto, nome... e adesso scopriva che non era una semplice invenzione.

Jeff the killer era una persona, esistente, viva; e parlava ogni notte con la persona che più odiava al mondo.

Lei. Janine Black.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora