Capitolo II

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"Mi sembri strano stasera" Janine stava seduta sul solito ramo, come ogni sera, anzi, notte, di quegli ultimi due anni. Dalla morte del fratello era andata ogni sera a quell'albero, e parlava ogni volta di ciò che le era accaduto durante la giornata. Poi, una notte, aveva sentito una voce. "Non ti voltare", le aveva detto, e quasi non ci credeva. Era stato Christopher? Oppure no? In ogni caso, le piaceva il pensiero che lui, in qualche modo, le potesse parlare. Al contrario, Jeff era felice che qualcuno, per una volta, non si spaventasse al solo suono della sua voce. Aveva imparato presto a conoscere quella strana ragazza. Da quel che era riuscito a capire, i bulli la stavano finalmente lasciando in pace. In parte per i sensi di colpa, in parte perché lei era diventata più aggressiva. Janine faceva paura agli altri, e questo a lui piaceva, perché sapeva che esisteva qualcun altro come lui. Qualcun altro a cui piaceva uccidere. Tuttavia, dopo un po' aveva smesso di introfularsi nelle case altrui per soddisfare la sete di sangue, ma solamente per rubare quanto gli bastava per vivere. Insomma, quella ragazza l'aveva cambiato. Gli aveva fatto capire che per i suoi omicidi la gente soffriva, come soffriva lei per la mancanza di Christopher. E alla fine, aveva smesso. Sospirò, ripensando al ragazzo della sera prima. Davvero lo aveva pregato di non imitarlo?
"Tranquilla, tutto bene" mentì a Janine. Temeva per lei, che l'altro Jeff sarebbe arrivato presto a farle del male. Si era accorto che, a sentire il suo nome, il ragazzo si era arrabbiato.
"Sei sicuro? Non sem-"
"Sto bene" ribadì, calmo.
"Mh. Va be'. Sai, oggi ho rivisto uno dei miei vecchi professori, quello di matematica" cominciò a dire, ma fu subito interrotta dall'ululato delle sirene della polizia, subito seguite dal latrato di cani e dai fasci di luci delle torce elettriche.
"Cosa succede?"
"Corri!" Fu l'unica risposta alla domanda di Janine. La ragazza si sentì afferrare la manica della felpa, e venne costretta e cadere ruzzolando dal ramo. Si rimise in piedi rotolando, mentre si sforzava di correre dietro al ragazzo di fronte a lei. Era la prima volta che lo vedeva. Tra di loro c'era sempre stato un tacito accordo: lei non si sarebbe mai voltata a vedere il volto di chi le parlava ogni notte, e lui non l'avrebbe mai lasciata sola. Ma adesso, tutto stava andando in frantumi: Janine fissava quel corpo magro, fasciato dalla felpa bianca, che si stava macchiando di fango durante la corsa; osservava i capelli corvini, Lunghi fino a metà schiena, sporchi e poco curati; guardava la mano pallida che le stringeva convulsamente la manica della felpa. Si nascosero in un cespuglio, ma Jeff sapeva che era inutile. Se avevano i cani, li avrebbero trovati ugualmente.
Si voltò verso Janine, e la fissò dritto negli occhi. Voleva dirle addio.
"Janine, mi spiace. Non doveva accadere. Sono uno stupido. È colpa mia. Ma ti prego, perdonami. Non sono la persona buona che tu credevi io fossi, non sono tuo fratello. Mi..." lei lo interruppe.
Lo abbracciò.
Jeff era incredulo: non solo quella ragazza aveva davanti a sé un serial killer, non solo non aveva paura, ma anzi, lo stava abbracciando. "Sapevo che eri vero" disse. "Senti" si staccarono, e stavolta fu il turno di Janine di parlare. "Possiamo salvarci, o almeno recuperare un po' di tempo. Scambiamoci le felpe" e, senza aggiungere altro, si tolse la sua. Jeff la guardò indeciso, prima che il rumore dei cani si facesse ancora più vicino. Si tolse la felpa, e si mise quella di Janine. "Ci vediamo" disse lei con un sorriso, mentre si metteva a correre in una direzione casuale. Si tolse l'elastico che le legava i capelli, lasciandoli sciolti mentre correva. Doveva somigliargli il più possibile se voleva almeno provare a ingannare la polizia. Si diresse in una parte del bosco a lei ben conosciuta, mentre sentiva il latrato dei cani affievolirsi. Il trucco non aveva funzionato? Il suo odore non era stato sufficiente a coprire quello di Jeff? Il suono di motori che si accendeva in lontananza le fece sperare che Jeff fosse salvo. Si sedette a terra, sfinita dalla corsa. La sua schiena venne illuminata da un fascio di luce, costringendola a voltarsi. Un poliziotto, con in mano una torcia e il distintivo, stava diritto di fronte a lei. "Signorina, la pregherei di seguirmi fino in centrale" disse.
"A quanto pare, anche lei è coinvolta in una lunga serie di omicidi".

***

Si guardò intorno, dispersa. Era stata la prima volta che entrava in commissariato, e ne stava già uscendo, al contrario di Jeff. Lui era già stato condotto alla propria cella: i suoi tentativi di ribellione erano stati vani.
"Non sono stato io ad uccidere quelle persone!" Aveva detto. Alla persona di fronte a lui era bastato tirare fuori una cartella clinica. "Schizofrenico" aveva letto, alzando un sopracciglio. "Non si può guarire da tale condizione" dopodiché aveva gettato i documenti sul tavolo, per farglieli leggere.
La porta di fronte a lui si aprì, rivelandogli l'ambiente ostile in cui sarebbe dovuto vivere per chissà quanto tempo. L'agente che lo scortava lesse un foglio che teneva un in mano. "Ah, guarda un po'!" Esclamò. "Jeffrey Alan Woods e Alan Wood, stessa cella. Be', ti auguro buona permanenza" disse chiudendo la porta alle spalle di Jeff e andando via ridacchiando. Il ragazzo abbandonò le braccia lungo il corpo fasciato dall'uniforme arancione della prigione. Il suo sguardo vagò per un istante prima di fissarsi sul corpo sdraiato su una delle brandine attaccate ad una parete. Al contrario di Jeff, non sembrava affatto disturbato dalla presenza dell'altro. Anzi, Lo fissava, sdraiato, da sotto le palpebre. "Allora, come va la vita?" Lo provocò sorridendo. A quel punto Jeff non riuscì più a trattenere la rabbia: si avventò su di lui, sbattendolo contro la parete, stringendo più forte che poteva la mano intorno al suo collo. "Ti ammazzo! Giuro che ti ammazzo!" L'immagine del ragazzo che fissava sgomento e spaventato il suo volto si fuse con quella della persona di fronte a lui. Com'era stato così ingenuo? Come aveva potuto fare un errore così stupido?
Le lacrime cominciarono a riempirgli gli occhi, mentre la sua forza si affievoliva. Alla fine, Alan fu libero e Jeff era scivolato fino ad un angolo della cella accovacciato su se stesso, le spalle scosse sporadicamente da un singulto. Il suono del suo pianto colmava la cella. Alan ricordava solo poche delle volte in cui aveva pianto così: la prima era stata quando la sorella del suo migliore amico gli aveva ucciso il cane, la seconda quando lei aveva ucciso suo fratello. La terza, invece, era stata quando lui era scappato nel bosco, dopo aver accoltellato i suoi genitori. Voleva vendicarsi, e i suoi lo avrebbero ostacolato. L'avrebbe voluta morta dopo un paio di giorni, invece era stato costretto a scappare, e a ritornare dopo due anni. Erano cambiate troppe cose, a parer suo. In primis, Jeff. Era evidentemente che fosse cambiato, altrimenti Janine sarebbe già morta da tempo. Strinse i pugni. La sua vendetta doveva ancora compiersi.

Lei. Janine Black.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora