"Non è male come pensi," dalla sua posizione accovacciata Logan inclina la testa per studiarmi meglio. "O come può sembrare all'inizio."
Pianto i miei occhi verdi, gli unici in grado di mantenere ancora un certo contegno, nei suoi, azzurri come una zolla ghiacciata abbandonata in mezzo all'oceano. Nonostante tutto l'odio con cui cerco di schiacciare un briciolo della sua coscienza da giorni, il suo sguardo funziona esattamente come il ghiaccio: raffredda ogni cosa, una lastra invalicabile. Si passa una mano pallida e solida fra i capelli scompigliati, neri come la notte dei miei incubi, e subito ricordo la sua presa ferrea sul mio braccio, dove ancora non è sbocciato nessun livido. Nonostante tutte le cadute,nonostante le mie unghie impazzite contro la mia stessa pelle chiara e fragile.
Una grotta. Non so dove. Non so più né il dove né il quando. Sono rannicchiata in una rientranza e appiattisco la schiena contro il freddo umido della roccia, come se, semi staccassi anche solo di un millimetro, spine appuntite potessero bucarmi la faccia. Stringo le ginocchia al petto convulsamente e ci premo sopra la fronte. Mi sento spossata e sudata, i capelli rossi mi circondano le spalle come una ragnatela di sangue, ma esattamente come i lividi, la mia pelle non produce più nessun liquido. Non la riconosco più nemmeno al tatto, vorrei strapparmela di dosso, ma fa male. Fa tutto male.
Logan mi solleva il mento con l'indice e il pollice, e anche se a prima vista può sembrare che lo faccia come se fossi fatta di piume, io sto opponendo la resistenza di un elefante. Cerca di mettermi le mani addosso il meno possibile, di non parlarmi e di starmi lontano quei rari momenti in cui non tento di scappare, ma ogni volta che si avvicina e le sue dita mi sfiorano, mi sento alienata. C'è qualcosa di sbagliato in lui. Credo abbia la mia età, qualche anno di più forse. Sembra che non ne abbia affatto. Lo fisso.
"Mi fa impazzire," ringhio. "Ho uno stramaledetto deserto in gola."
Dice di avermi portato in questa grotta perché isola all'esterno i suoni, suoni che possono ricondurmi agli odori. Addentrandoci nel bosco senza che potessi ribellarmi, piegata in due dai dolori, avevo sentito gli zoccoli di un cerbiatto attraversare un ruscello, e, prestando più attenzione, la lingua ruvida di qualche animale immergersi nell'acqua. Mi ero focalizzata su quei suoni, come se da ciò fosse dipesa la mia vita, e allora avevo sentito anche l'odore del pelo, della terra bagnata, del... sangue? Ogni volta che mi sono tagliata accidentalmente, fin da quando ero piccola, ho sempre sentito l'odore ferroso e dolciastro del sangue. Ho sempre creduto fosse normale, non mi ha mai fatto né caldo né freddo. Ma ora... mi si è rivoltato lo stomaco, si è inacidito selvaggiamente, facendomi sgorgare in bocca un sapore disgustoso e rendendomi il palato bollente. Senza contare che qui siamo avvolti dalla semi oscurità e il ticchettare delle gocce d'acqua in lontananza mi fa dare di matto. Così come lo zampettare dei ragni, lo strisciare dei vermi. Credo che più in là ci sia un pipistrello che batte le ali, o forse è solo il mio cuore. Sono impazzita completamente.
"Ti ho dato l'occasione di stare meglio, ma ti sei rifiutata. Ora, o affondi i denti nel pelo sporco di qualche bestia o... beh, muori," dice con noncuranza. Odio la sua voce, così limpida e bassa, priva di ogni emozione o sensibilità. Non gliene frega niente di niente e nessuno. Raggrumo tutte le mie forze in un impeto di rabbia. "E allora lasciami morire! Vattene! Fammi tornare a casa, che diavolo vuoi da me?" gracchio allungando il collo verso di lui, pur sapendo che non otterrò nessuna risposta. Ho perso il conto delle volte in cui gli ho rivolto questa frase. Mi ha risposto una sola volta, la prima, quando mi sono svegliata in una lurida stanzetta di un motel, in preda agli spasmi: "Non ci puoi più tornare a casa, presto ti accorgerai di non essere più chiunque credevi di essere". Stava seduto sul bordo dall'altra parte del letto privo di molle, voce neutra e sguardo fisso altrove. In se stesso, probabilmente, poiché l'arredamento era completamente assente o quasi. Un postaccio vecchio e triste, abitato solo dalle tarme.
Stringe la mascella, si solleva con un unico movimento fluido e svanisce nel nulla. Sbatto le palpebre, attonita, perché è qualcosa a cui non mi abituerò mai. Puff, e per qualche secondo il mio respiro e il mio cuore diventano selvaggi e irregolari, perché lui sparisce nel nulla.
Non c'è cosa più schifosa e logorante del voler piangere ma non poterlo fare. Gli occhi restano secchi e un nodo ti prende a pugni la gola.
Perdo la cognizione del tempo, stringendo gli occhi quasi a voler spremere questo sentimento agonizzante a tutti i costi, sperando che il sole rovente che mi passeggia sulla lingua, cali. Sento voci, sussurri. La risata di Tati, la mia migliore amica, di mamma. Coco che abbaia, con il suo manto nero e marrone immerso nella penombra, poi si alza e corre su per le scale per appropriarsi del mio letto. Del cuscino, per la precisione sui miei vestiti, lasciando ovunque i suoi peli. Spesso Tati mi prende in giro, chiamandomi gatto spelacchiato, e ora non so perché sto pensando a tutte queste stupide cose. Spalanco gli occhi.
In questo buco non mi vedrà più nessuno.
A quell'idea, un profondo senso di smarrimento e vuoto, mi spinge a gattonare. Esco dalla rientranza e mi sollevo su un ginocchio. Il soffitto della grotta diventa un circolo irregolare di montagne russe in azione.
Non puoi restare qui. Non puoi restare qui.
Un passo, due, tre... sbatto contro pareti di roccia, inciampo. Vado sempre dritta, ignorando i pugni allo stomaco e i morsi alla bocca, gli insetti che sembrano diventare giganti. Tendo le mani, afferro l'aria, il mio ginocchio e la mia spalla si scontrano nuovamente, improvvisamente e disastrosamente contro il suolo, ma mi aggrappo alla parete affondando le dita nel muschio e mi rialzo. Acutizzo la vista, ma non mi sarei mai aspettata niente del genere: ho l'impressione di guardare attraverso una lente di ingrandimento appannata. Ma vedo una luce e avanzo a tentoni ancora di qualche metro, finché non sento l'aria farsi più fresca e movimentata; lascio che diventi tutt'uno con la mia pelle, che mi strappi quell'afa maledetta, e mi lancio in uno scatto. Sono fuori, un lampo di luce aranciata mi acceca. Vengo travolta dal mondo e da tutte le sue colonne sonore. Respiro, finalmente sento che l'aria riesce ad attraversare la gola, e mi concedo un sorriso. Un debole e flebile sorriso. Con dita tremanti e sporche cerco con movimenti stanchi l'elastico che sono sicura di portare al polso, e dopo un tentativo un po' goffo riesco a raccogliermi i capelli sulla nuca. Mi guardo il maglione allargando le braccia, sgualcito e macchiato, poi la gonna corta fino alle ginocchia, chiazzate di terra e chissà che altro. È strappata. Ho perso le ballerine da qualche parte nella grotta, ma io là dentro non ci torno. Riacquistando un briciolo di lucidità, fisso l'entrata della grotta, un buco nero che sembra volermi risucchiare.
Cosa mi sta succedendo?
Cosa vuole Logan da me?
Che cos'è, Logan? Dov'è ora?
Dove sono? Da quanto manco?
Eppure, non è di questo che ho bisogno ora, perché le risposte mi fanno paura e la mia mente è troppo scombussolata per pensare. Ho solo bisogno di qualcosa di rassicurante, come il fatto che mamma e papà hanno bisogno di me, e non posso dimenticare l'amore con cui mi guardano ogni giorno. E Tati, con chi va al cinema poi, timida com'è? Alzò lo sguardo, appena sopra la roccia e i rami secchi.Fisso il sole attraverso le foglie, o meglio, le lame che mi trafiggono gli occhi. Il dolore si sostituisce alla rabbia, una rabbia che avevo sperato di non riprovare mai più.
Io non morirò qui.
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Hybrid - L'altra me (In libreria!)
VampireLa vita della giovanissima Scarlett Hill cambia per sempre una sera come tante all'uscita da un cinema. Un attimo è in compagnia della sua migliore amica, un attimo dopo si sveglia in un'auto, in preda a dolori lancinanti, sviene e si risveglia di n...