Lui se ne va.
Mi lascia sul pavimento sporco del bagno, senza pensarci due volte.
Probabilmente se la stava facendo sotto sul serio.Chiudo gli occhi, e qualche secondo dopo li riapro, attirata dalle sue parole.
<Ecco> non appare minimamente preoccupato o a disagio mentre mi disinfetta i tagli aperti e mi avvolge i polsi nelle garze candide, accarezzando con meticolosità ogni singola traccia delle mie vecchie cicatrici.
<Ok, questo sarà fastidioso, ma mi perdonerai più tardi.>
Mi fa inginocchiare con fatica, mia scosta i capelli dal viso e mi ficca due dita in gola.
Brutale, ma necessario.
Finalmente vomito le pillole, e riprendo un po' di conoscenza, tanto da rendermi conto dell'imbarazzante situazione in cui mi sono cacciata.
Mi porge una bottiglietta d'acqua, e trovo il coraggio di rivolgergli la parola, per la prima volta dal nostro incontro.
<Mi dispiace,> dico indicando me stessa <per tutto questo>.
Mi rialzo, barcollando, cercando un appoggio sulla parete piatta del bagno.
Cerca di aiutarmi, ancora.
<Non sei obbligato.> continuo.
<Ma mi piace> mi blocca, e io non sono più in grado di spiccare una parola.
<Comunque io sono Vince >
<Amanda> cerco di sembrare distaccata.
<Dovresti essere più gentile con me, ti ho appena salvato la vita dopotutto.> sembra scocciato.
<Non ti ho chiesto io di fare l'eroe, a quanto pare non volevo essere salvata>. Mi pento di quelle parole pochi secondi dopo, ma non sembrano toccarlo.
Annuisce e se ne va, facendo un cenno di saluto col capo, gli occhi spenti, lo sguardo basso.
Ci sono un sacco di modi per suicidarsi senza morire, e uno di quelli era guardarlo camminare lontano, lontano da me.