Il cassetto dei fancazzisti

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If I had listened what Mama said,
I'd 'a' been at home today.
Being so young and foolish, poor boy,
Let a rambler lead me astray.

-Maestro, lei ha sogni nel cassetto?
-No, solo calzini.
Corrado Guizzanti



Per far imparare gli aggettivi, la maestra Brianna aveva dato ad ogni suo alunno un foglio. Ogni studente aveva scritto su questo foglio il nome di un altro studente. Ciascun bambino avrebbe dovuto scrivere un aggettivo che rappresentasse al meglio il compagno di classe e passare il foglio ad un altro compagno, che avrebbe fatto la stessa identica cosa.

Dopo un po' di trambusto, finalmente ad ogni nome erano riusciti a corrisponderci diciassette aggettivi. La maestra Brianna prese tutti i fogli e pian piano, sorridendo, iniziò a leggerli uno ad uno ad alta voce. Il clima della classe era spassoso.

Quando la maestra lesse "bellissima" nella lista di aggettivi attribuiti a Hailey Body, Nicholas Boyle diventò rosso come un peperone e la classe si mise a ridere. Questo fu un po' spiacevole, ma nel complesso quella giornata stava iniziando ad essere gradevole per tutti.

Ad un certo punto, però, la maestra Brianna prese il foglio di Alyssa Shellenberger. Stava per iniziare a leggere, ma si bloccò a metà aggettivo.

All'improvviso si agitò e con grande stupore della classe strappò il foglio. Imbarazzata, disse che non era possibile che in una classe di quarta elementare si facessero degli errori di spelling con parole che non sbagliavano nemmeno i bambini di sei anni.

Disse poi che avrebbero dovuto subito rimediare. Alyssa Shellenberger, molto scocciata che per l'ignoranza dei compagni non fosse toccato il suo turno, alla fine della lezione prese dal cestino i pezzi del foglio strappato e cercò di ricomporli sul banco.

Tre volte era stato scritto spiona, due volte falsa e altre due volte snob, poi c'era suora, so-tutto-io, santarellina, irritante, associale, isterica, grassona, perfettina, pomposa, spaccona, palla di lardo e matta dalle gare.
Appena finì di decifrare tutti gli aggettivi, Alyssa pensò che la maestra Brianna avesse avuto ragione a non leggerli davanti alla classe. Intanto, c'erano parole che non erano aggettivi, poi associale andava con una sola esse e chiunque avesse scritto matta dalle gare era così dannatamente stupido.

*

Buford non era ancora entrato nella Casa che si bloccò. Delle voci dentro bisbigliavano. Cercò di decifrare le loro parole. Ma non sentiva niente, se non uno spiccato "Alyssa, io non ce la faccio", che veniva ripetuto spesso.
Dalla stessa porta inesistente su cui il giornalista si era tentato di appoggiare uscì, poi, un prete. Per un attimo, Buford incrociò il suo sguardo. I suoi occhi verdi di ghiaccio erano sbarrati, impauriti. Ma il prete li abbassò subito, sistemandosi il colletto. Era tutto sudato e ansimava. Se ne andò impassibile.

Buford si schiarì la voce ed entrò. Per un attimo, vide quella casa in modo diverso.
Agli occhi del giornalista, una casa era sempre stata una casa, un sasso un sasso e una pietra una pietra. Nessun legame affettivo, nessun ricordo, nessun mistero. Niente di niente.
Quello che scriveva? Un mucchio di cazzate.
Ma ci fu una frazione di secondo, appena entrato, in cui quella casa non gli era più apparsa come una semplice casa. Non erano quattro mura sporche. C'era qualcosa nell'aria che lo incuriosiva, che lo spingeva in avanti.
Nessuno poteva dare pathos a quella casa. Né Buford né Stephen King. Era la casa la suprema creatrice di passione, di mistero.

«Charles, ti aspettavo.»

Alyssa non si fermò nemmeno a guardarlo. Come se l'avesse riconosciuto dai passi.
Teneva lo sguardo sui fascicoli. In quel momento lo sguardo indaffarato e l'aria di strafottenza della donna stavano facendo rivivere al giornalista le chiacchierate con Muffuletta.

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