Trappole per topi

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-Consideri per un momento il mondo in cui vive un ratto. È un mondo ostile. Se un gatto uscisse dalla sua porta d'ingresso, proprio adesso, non lo caccerebbe forse con ostilità? Eppure, ha mai il ratto fatto qualcosa per meritarsi l'animosità che sente nei suoi confronti?
-I ratti portano malattie. I ratti sono stati la causa della peste bubbonica.
-Suppongo che tutte le malattie che portano i ratti le portano anche gli scoiattoli. Però penso che Lei non nutra la stessa animosità per gli scoiattoli quanta ne ha per i ratti, non è vero? Ma sono entrambi roditori, no? E a parte per la coda, si somigliano anche, non trova?
Ma in ogni caso, non le farebbe nessuna differenza. Se un ratto arrivasse qui, proprio adesso mentre parlo, le offrirebbe un po' del suo delizioso latte? Non credo proprio. Non le piacciono. Non sa nemmeno perché non le piacciano. Sa solo che li trova repellenti.
Bastardi senza gloria (parafrasato)







Non c'era anima viva che sopportasse Alyssa Shellenberger. E, questo, in realtà, è anche un modo abbastanza carino per cercare di farvi afferrare il concetto. Quasi un eufemismo.

Non è che fosse una persona che non si sopportava. Sopportare significa avere pazienza. Di conseguenza logica, i pazienti dovrebbero sopportarla. Ma non era così.
Pure i pazienti non la sopportavano. Paradosso? Allora riiniziamo da capo.

Alyssa Shellenberger stava sul cazzo a tutti.

A questo pensava Buford, rientrando nella casa la mattina seguente. Sebbene le stesse sul cazzo, aveva una terribile voglia di rincontrarla, di ridiscuterci. Alyssa sarebbe stata la miglior compagna da litigio, la miglior compagna da mandare a 'fanculo.

Forse Alyssa e la casa avevano qualcosa in comune. Nonostante fossero entrambe ripudianti, tutte e due invogliavano a tornare.
Alyssa era il formaggio dentro alla trappola per topi. O, forse, il contrario, chi lo sa. Forse era la casa ad essere il formaggio e Alyssa ad essere la trappola.

«Non mi hai nemmeno detto il tuo nome» disse Buford appoggiandosi al muro dopo una lunga pausa di silenzio.

«Perché, tu sì, Charles?»

Bufford sorrise, Alyssa continuò.

«Sai, penso che i nomi servano a poco. Ti puoi chiamare Charles, John, Mark, Jean-Pierre o quel cazzo che vuoi, ma la mia opinione su di te non cambia.»

Il giornalista osservò la donna, che con una scopetta spolverava i cassetti. Addosso aveva una larga vestaglia a fiori che le nascondeva il corpo. Anche se proprio "fiori" non erano. Erano diversi da come uno se li immagina sentendo la parola "fiori". Erano scuri, sul blu. Cupi. Una via di mezzo tra i fiori che uno regalerebbe ad una principessa e quelli che uno regalerebbe ad una emo.
Ai piedi aveva dei sandali che andavano di moda ai tempi d'oro di Gesù e appoggiati all'estremità del naso degli occhiali piccoli e neri che la facevano assomigliare ad una civetta.

Eppure Alyssa, pur essendo destinata ad una totale assenza di fascino, aveva una tale pienezza di sé che non c'era traccia d'insicurezza nel suo animo di ferro. Niente avrebbe potuto ostacolare la sua fermezza di carattere.

Nessuno si azzardava a ribattere. Alyssa aveva sempre ragione. E mai avrebbe avuto torto. E se per caso un giorno si fosse resa conto di avere sbagliato, cosa fino a quel giorno mai successa, il suo orgoglio avrebbe subito una fitta talmente dolente che... Che...
Che? "Che" che cosa? Non avrebbe senso nemmeno pensarci, tanto, che Alyssa si fosse sbagliata, non sarebbe mai capitato.

«Ma se proprio lo vuoi sapere, io mi chiamo Alyssa Shellenberger.»

«Alyssa Shellenberger... Suona bene.»

La donna alzò le spalle.

«Quindi, Alyssa... Vuoi dirmi che queste storie non hanno niente di interessante?»

«Mai detto questo. Pensavo fossi uno che ascoltasse, mentre gli altri parlano.»

«Non riesco a capire. Perché la gente dovrebbe confessarsi con te? Niente di personale, eh. Sembri una a posto, affidabile, per carità. Ma perché dovrebbero parlare di cose personali ad un estraneo? Perché correre il rischio? Non ha senso.»

«È un punto interessante. Ma se vai ad analizzare meticolosamente il senso delle cose, nessuno farebbe più nulla. Tu, Charles, sei una persona intelligente. Ma non tieni conto che a volte alcune cose si fanno così e basta. Senza motivi di fondo e senza logica nemmeno. Non so se tu sia un appassionato di gialli... Fatto sta che sul libro della Christie, "Dieci Piccoli Indiani", l'assassino viene scoperto perché viene trovata da un peschereccio una lettera dentro ad una bottiglia in mezzo al mare. Nella lettera veniva descritto l'omicidio nei minimi dettagli. E sai da chi era scritta? Dall'assassino stesso. Assurdo, dirai. Un assassino che si fa la spia da solo. L'ha fatto per senso di colpa? Macché, era fiero di quello che aveva fatto. Anzi, era così fiero del suo delitto perfetto, della grande maestria con cui l'aveva condotto, della sua ingegnosità, che voleva urlarlo ai quattro venti. Ma, non potendolo fare per ovvi motivi, voleva provare comunque quel brivido che gli veniva pensando che forse qualcuno, in là nel tempo, l'avrebbe scoperto.
Mi spiego meglio, Charles?»

«Io ho tanti altri dubbi ancora, Alyssa»

Adorava pronunciare quel nome, da quando l'aveva imparato.

«Capita.»

«Non mi chiedi quali?»

«Tutti ce li hanno.»

Buford fece un sospiro e continuò.

«Sai, dopo la nostra discussione mi sono fatto tante domande. Quando sono tornato a casa, ieri sera, ho notato con piacere che mia madre mi aveva affettuosamente preparato il brodo. Ma era freddo. E quindi l'ho dovuto riscaldare. E mentre era lì, nel microonde, ho avuto tempo per pensare. Perché, ti do una notizia: anche i fancazzisti, ogni tanto, quando proprio non hanno niente da fare, pensano. E quindi mi sono chiesto, ma solo per poco eh... Che cazzo ci fa una donna intelligente e arguta dentro ad una casa ripudiante a raccogliere confessioni di gente ciarlatana di basso rango che le sta, per lo più, altamente sui coglioni?
Ma di questo ci ho pensato proprio qualche secondo. Perché alla fine questa è tutta teoria e, come sai, io sono uno terra terra, a me interessa la pratica. Come a te non interessano i nomi, a me di come passi il tuo tempo, di quello che ti piace, di quello che detesti, del prodotto per capelli che usi o della serie tv che ti guardi il sabato sera non me ne fotte un cazzo. Ma c'è un'altra questione invece di cui mi fotte. Eccome se me ne fotte.»

Buford le si avvicinò, cercando di raggiungere l'orecchio di Alyssa, ma lei fece un passo indietro.

«Che farebbe una donna intelligente e arguta dentro ad una casa ripudiante se con delle confessioni di gente ciarlatana ci potesse guadagnare?»

Angolo della svampita
Rieccomi.
Notizia su di me: sono una persona alquanto irregolare.
Non scrivevo da settembre.
E ora che ho riniziato, lo faccio in continuazione. Ieri sono stata fino alle due di notte.
Ma dico... Si può? Non ci può essere una via di mezzo? Succede anche a voi?

Comunque, so che arrivo in ritardo e che avrei dovuto chiedervelo un po' prima... Ma ditemi, per conoscervi meglio.... In che categoria dei cassetti credete che Alyssa vi avrebbe messo?
Perché io mi sto chiedendo in quale categoria possa aver messo me... Bah.
Difficile catalogare noi stessi, non trovate?

Dai, ditemi che poi vi studio un po' per prendere ispirazione per i prossimi personaggi!

Ah, come al solito vi ricordo che qualsiasi commento, positivo o negativo, mi farà piacere e ringrazio chi ha votato la mia storia o ha deciso di seguirmi.
A presto!

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