Capitolo 2 - Let me out

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Capitolo 2 - Let me out

«Sei veramente una vergogna. Non posso crederci che hai osato disobbedirmi cosí in pubblico.» continuó a sputare fuori infuriato mio padre mentre tirava fuori le mie tre valigie nere dal portabagagli.
«Non osare farlo mai piú.»

Come se ne avrei piú avuto l'opportunità, pensai ironicamente mentre osservavo la mia vecchia casa. Non era cambiata di una virgola.

Era una villa di legno a due piani con ai lati una quercia e una betulla per fare ombra, circondata da un immenso giardino verde.
A delimitare quest'ultimo c'era una recinzione di legno bassa, percorsa da alloro e da alcune siepi.

«E guardami quando ti parlo, dannazione!» esclamó notando la mia indifferenza.
Gli rivolsi un'occhiata rabbiosa ma mi ritrovai subito a distogliere lo sguardo, attirata da un rumore proveniente dalla casa accanto.

Non mi ricordavo che ci abitasse piú qualcuno. Era abbandonata da prima che mi trasferissi e lasciassi la mia casa, ma i rumori e le voci provenienti dal suo interno facevano capire che la situazione era cambiata.

All'improvviso la porta si aprí, rivelando la figura di un ragazzo. Mi immobilizzai sul posto, sentendo la paura farsi strada nelle mie viscere.

Lo stomaco iniziò a contorcersi e prima che me ne potessi rendere conto mi ritrovai con il bisogno di appartarmi in un angolo e vomitare.
Ma i piedi non si muovevano, sembravano incollati al suolo con una colla super potente.

Il ragazzo imprecó qualche volta prima di richiudersi la porta alle spalle. Aveva addosso una maglietta nera a maniche lunghe da cui spuntava sul collo un tatuaggio ritraente una piuma.

A completare l'abbigliamento c'erano dei jeans stretti e delle scarpe dello stesso colore. Sembrava muscoloso, ma non troppo e nonostante ció bastó a far crescere il panico in me.
Lo vidi sedersi sul gradino di fronte alla porta ed estrarre una sigaretta ed accenderla.

D'un tratto alzó lo sguardo e fissó i suoi occhi color ghiaccio nei miei. Aveva un viso candido e i suoi capelli color pece e gli occhi azzurri producevano un contrasto incredibile con esso.

Due piercing d'argento luccicavano rispettivamente sul suo labbro inferiore e sul naso. Il ragazzo continuò a guardarmi senza il minimo imbarazzo, come se la cosa fosse del tutto normale per lui.

Mi analizzó dalla testa ai piedi, per poi riconcentrarsi sui miei occhi.
«Driss!» urló una voce femminile all'interno della sua abitazione.

Distolsi lo sguardo infuriata per la sua impudenza e spaventata piú che mai. Era da tanto che non provavo piú una sensazione del genere e non ero per niente preparata. Non che lo sarei mai stata.

Afferrai il manico dell'ultima valigia rimasta e percorsi il vialetto tapezzato di mattoncini rosso ocra.
«Su, muoviti!» sbraitó mio padre alla porta. Mi stava aspettando con la valigia in una mano.
Lo raggiunsi sbuffando per il tono di voce da lui usato.

Quando entrai nell'enorme corridoio principale notai che mia madre era giá dentro e aveva posato l'altra valigia per terra.

Mi fermai anche io lì, non sapendo cosa fare.

«Forse è meglio se andiamo a posare le valigie in camera tua.» disse con voce insicura mentre per la prima volta in quella giornata mi guardava negli occhi.

Aveva il volto pallido e delle enormi occhiaie che invano aveva cercato di coprire. I capelli biondi le ricadevano lisci sulle spalle e sembrava addirittura dimagrita.
Il contatto visivo non duró molto peró, perchè subito si voltó a chiedere consenso al marito.

Il suo gesto non fece altro che infliggere un altro colpo al mio cuore devastato, ma non lo feci notare e mi limitai ad indossare la mia solita aria indifferente.

«Sí, andiamo.» concordó mio padre, prendendo la sua valigia ed iniziando a salire al secondo piano dove si trovavano le tre stanze da letto.

Lo seguii anch'io, guardandomi intorno con aria smarrita. Le pareti avevano cambiato tonalità, limitandosi a un grigio spettrale.

Nell'intera casa risuonava un ticchettio metalicco e nell'aria si sentiva un odore pungente di polvere, come se non ci avesse mai abitato nessuno.

Le scale di legno scricchiolavano sotto il mio peso e dietro di me mia madre mi seguiva in silenzio. Quella strana quiete inizió ad incutermi una certa paura.

Non che prima fossimo una famiglia in cui si parlava molto, ma dopo quell'incidente in cui tuttó cambiò radicalmente, tra di noi si era creato come un recinto.

Appena arrivati al pianerottolo del secondo piano notai che la situazione non era affatto cambiata. Anzi quest'altra parte della casa sembrava ancora piú buia e tenebrosa, il ché mi procuró degli intensi brividi lungo la schiena.

Ciononostante continuai a camminare, guardandomi intorno circospetta, esplorando quel luogo spettrale con gli occhi intrisi di paura. La mia stanza non era molto distante.

Quando mio padre aprí la porta ed entrammo, notai che tutto era nella stessa e medesima posizione in cui l'avevo lasciata.

«Come vedi la tua camera è in ordine e non abbiamo cambiato nulla.» mi fece notare. Come se non riuscissi a vederlo con i miei occhi.

Mi limitai a scrollare le spalle e a guardarmi intorno.

«Abbi almeno la decenza di rispondere. Non mi sembra che ti abbiamo educata cosí.» mi riprese arrabbiato.

«Non mi ricordo neanche di come mi abbiate educata.» mentii. Non volevo parlare e non sarebbe di certo stato lui a farmi cambiare idea.

«Sei veramente una ragazzina insolente.»

«Come vuoi.»

Scrollai un'altra volta le spalle, prendendo in mano una delle foto situate sul comodino accanto al letto. Sullo sfondo era stato catturato un piccolo pezzetto di giardino ed in mezzo alla foto c'erano una me undicenne e Lucky.

Accarezzai la sua immagine, sentendo i ricordi riaffiorare. Era un cane cosí dolce e affettuoso che, dalla prima volta che lo vidi al negozio di animali, me ne innamorai subito.

Non era stato affatto facile convincere i miei genitori a prendermelo, ma dopo le mie innumerevoli suppliche erano ceduti e me l'avevano comprato. Era il mio compagno di giochi, il mio amico piú fidato. Finchè un giorno, durante un forte temporale, fu colpito in pieno da un fulmine e morí per arresto cardiaco.

Posai nuovamente la foto al suo posto, guardando i miei genitori ancora in piedi davanti alla porta.

Alzai un sopracciglio interrogativa.

Cosa stavano aspettando ancora lì?

Mio padre si schiarí la voce. Come al solito era sempre lui a parlare. Mi voltai per guardare qualcos'altro, in attesa che dicesse ciò che aveva in mente e se ne andasse.

«Per quanto riguarda il college ti abbiamo mentito.»
Sentii il fiato fermarsi e il sangue gelare. Mi voltai lentamente guardando con orrore e incredulità la persona dalla cui bocca erano uscite quelle parole.

Papà era appoggiato allo stipite della porta e aveva impressa sulle labbra la soddisfazione di aver attirato la mia attenzione.

«Non andrai in nessun altro college.» si spiegó meglio «La gente inizia a dubitare di noi e di te, per cui abbiamo pensato che rimarrai qui nella tua stanza finchè non avremo deciso cosa fare.»

Lo shock mi aveva immobilizzato gli arti e forse anche il cervello, visto che non capii il senso delle sue parole fino a quando non lo vidi scuotere mia madre che aveva la testa china.

Lo sguardo di quest'ultima si posó sul mio e con un misto di tristezza e rassegnazione mi sussurró «Scusa.»

«C-cosa?» mormorai con labbra tremanti, cercando di avvicinarmi a loro. Ma fu troppo tardi, i due erano giá usciti e con un gesto rapido avevano chiuso la porta a chiave.

Con gli occhi sgranati ed il respiro irregolare iniziai ad urlare piú che potei.

«Fatemi uscire!»

Ma l'unica risposta fu lo stesso ticchettio metallico che continuava a battere incessantemente.

Androphobic [#Wattys2016]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora