Capitolo 6 - You have to go

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Capitolo 6 - You have to go

Sostenevo che la vita fosse solo una questione di attimi. Ne bastava uno e ti sentivi così felice da toccare il cielo con il cuore. Non con un dito. Perchè diversamente da come era comune pensare, io ero convinta che solo dal cuore si potesse veramente toccare il cielo.
E poi bastava un altro attimo per ritrovarti sconquassata, come una rondine che volava troppo in alto e si ricordava all'improvviso di avere paura dell'altezza.

Era così la mia vita. Semplicemente una questione di attimi. Ma stranamente non riuscì a catalogare quello che vivevo in quel momento.

Lo sguardo di Driss si posò sul mio. Eravamo faccia a faccia e la cosa mi faceva tremare le gambe. Sembrava che mi scrutasse a fondo, come se fosse alla ricerca di qualcosa che ero restia a mostrare. Non mi piaceva affatto come mi guardava, mi faceva sentire completamente nuda ed esposta.

Ero come impietrita, il mio corpo non reagiva più agli impulsi. O forse, semplicemente il mio encefalo non stava mandando nessun impulso.

«Finalmente sono riuscito a sentire la tua voce.» commentò all'improvviso, ignorando il mio sguardo terrorizzato.
«Anche se per poco tempo, è stato piacevole. Sai, non mi piace parlare con me stesso.»

Continuai semplicemente a guardarlo, ricevendo come risposta da parte sua un'alzata di sopracciglio.

«Se continui così non mi aiuti affatto.» constatò.

E in cosa lo dovevo aiutare? Io non volevo ritrovarmi neanche lì. Desideravo semplicemente sparire, ritornare alla mia vita di prima. Chiedevo forse troppo?

Il mio silenzio però sembrava lo stesse facendo veramente innervosire.

«Come ti chiami?» chiese invece.

Abbassai lo sguardo, cercando un modo di svignarmela da quella situazione.

«Io sono Driss, Driss Collins.» si presentò, ignorando nuovamente il fatto che non rispondevo.
«Tu?» insistè.

Iniziai a giocare con le mani in attesa che si stancasse e finalmente mi lasciasse perdere.

«Ok, ho capito.»
Alzai il volto stupefatta. Si era veramente arreso?
Eppure non provai del tutto sollievo dopo la sua risposta e non capì il perchè. Forse ero veramente una persona strana e gli altri avevano ragione.

«Dimmi l'iniziale almeno.»

Lo squadrai perplessa. Stava scherzando, vero? Doveva essere veramente una persona testarda per rimanere ancora lí dopo il mio comportamento.

«Va bene. Sai una cosa? Tenterò di indovinarlo.» si arrese infine sventolando in aria la mano.

Poi, senza preavviso, lo vidi voltarsi e inizare ad allontanarsi dalla finestra. Continuai a fissare le sue spalle larghe ancora per un po' finchè un impulso sconosciuto mi fece aprire di nuovo bocca.

«B.» gli urlai dietro. Driss si fermò di nuovo, ma diversamente dalla prima volta, voltó solo la testa. Un dolce sorriso gli faceva risplendere il volto pallido. Guardandolo, mi resi conto che non sembrava poi così minaccioso. Ciò non voleva dire che la sensazione di pericolo dentro di me fosse svanita, semplicemente si era attenuata un po'.

«Va bene, B.» disse con tono allegro. «Ti vengo a prendere domani alle 18.00 per farti vedere la città.»

Rimasi sbigottita. E stranamente non dal fatto che mi avesse "obbligata" ad uscire, ma perchè pensava veramente che fossi straniera. I casi erano due. O lui era nuovo in città, oppure i miei genitori erano stati veramente abili a cancellare ogni mia traccia. Di colpo mi rattristai. Anche se Driss fosse stato nuovo, prima o poi sarebbe venuto a conoscenza dei segreti delle varie famiglie che aveva come vicini. Non c'era niente che potesse sfuggire alle famiglie del luogo. Per cui l'unica opzione valida era che i miei genitori erano stati dei bravi manipolatori. Mi avevano cancellato dalle menti delle persone in un batter d'occhio. E la cosa faceva veramente male.

Mi risvegliai dai miei pensieri, ma quando posai lo sguardo sulla finestra di Driss, lui era già sparito. E io non avevo fatto in tempo a fargli capire che non volevo e potevo uscire.

Doveva essere veramente un ragazzo determinato visto che alle 17.55 del giorno dopo, lo vidi uscire con calma dalla sua casa diretto da me. Non mi sfuggì il fatto che fosse vestito ancora di nero. Forse era il suo colore preferito.

Avevo i palmi delle mani sudate e un'incontrollabile voglia di vomitare. Il solo pensiero che stesse veramente per venire a casa mia mi faceva mancare il fiato. E non per la felicità. Io avevo paura.
Potevo anche riuscire a guardarlo dalla finestra senza morire per insufficienza cardiaca, ma non avrei mai sopportato il fatto di averlo accanto per non so quanto tempo.

Incominciai a camminare su e giù per la stanza smarrita, finchè a un certo punto mi resi conto di un dettaglio. I miei genitori non avrebbero mai lasciato che uscissi con lui. Sennò per quale motivo mi avevano rinchiusa nella mia stanza?

Certo, sarebbe stato di certo così. Lui sarebbe arrivato, avrebbe chiesto loro di me e loro avrebbero trovato una scusa per mandarlo via e non farmi uscire con lui. Semplice.

Stavo iniziando finalmente a calmarmi quando all'improvviso qualcuno aprì la porta.
Era mio padre. Mi guardò inespressivo per qualche secondo, dopodichè richiuse la porta alle sue spalle.

«C'è un ragazzo di sotto che chiede di te. Non so come abbia fatto a conoscerti.» si fermò e mi rivolse uno sguardo inquisitorio.
«Fatto sta che ci devi uscire. Sennò tutta la nostra copertura svanirà e penseranno di nuovo che sei strana.»

Sgranai gli occhi terrorizzata. Non poteva essere vero. Non mi stava chiedendo sul serio una cosa del genere. Sperai con tutte le forze di aver sentito male ma il tono grave che stava usando mi fece capire che non ammetteva obbiezioni.

«Lo sai bene che non posso.» risposi a denti stretti, stringendo al contempo con forza i pugni.
Il lieve dolore che sentì nell'infilzare le unghie nella carne mi fece sentire un po' meglio.

Non ci volevo andare. Le mie paure erano riemerse dal profondo sonno in cui erano cadute e adesso si erano scatenate più che mai.
Ma questo nessuno voleva capirlo. Io ero per loro solamente una ragazza strana che doveva rimettersi in riga.

«Non mi interessa.» controbattè freddo mio padre.

«Lo devi fare e basta. Per una volta pensa a noi, invece che solo a te stessa.» asserì aprendo la porta e indicandomi di uscire.

Non mi mossi. Lo guardai semplicemente in cagnesco. Non sopportavo l'idea che mi ritenesse un'egoista, quando gli unici ad esserlo erano sempre stati lui e mia madre.

E soprattutto, volevo che la finisse di comandarmi a bacchetta ogni volta che ne aveva bisogno.

«Bryana, muoviti.» mi ordinò, rimandendo immobile a guardami torvo.

Non lo ascoltai. Come per risposta la sua mano mi afferrò saldamente il braccio e mi trascinò con forza verso le scale.

Iniziai a strattonare in modo tale che mi lasciasse, ma era del tutto inutile.

In men che non si dica mi ritrovai di fronte all'entrata principale, con gli occhi di tutti incollati su di me.

Il panico era salito alle stelle, volevo solamente scappare o scomparire.

Driss guardò corrucciato la mano che mi teneva ancora ben saldo il braccio. Notandolo, mio padre la tolse velocemente con un finto imbarazzo dipinto in volto.

«È una ragazza molto timida.» si giustificò, grattandosi sorridente la nuca.

Driss ricambiò annuendo il sorriso.
Ma io ero ancora concentrata sul mio "cosidetto" padre.

Il suo atteggiamento falso me lo fece odiare ancora di più. Stavo per scoppiare a piangere quando vidi una mano avvicinarsi a me.

In preda al panico, sentì una molla scattare dentro di me.

«Non toccarmi!» urlai di scatto, tappandomi poi la bocca con entrambe le mani. Ma ormai il danno era fatto. Tutti mi stavano guardando.

Androphobic [#Wattys2016]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora