Amelia.

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Mi sveglio con un pò di mal di testa, sarà dovuto al pianto di ieri sera. comunque mi alzo, mi faccio una breve doccia e vado al campetto, dove ci aspetta per fare gli esercizi. Oggi lavoro più del solito, e John lo ha notato.

Una volta finiti gli allenamenti andiamo a pranzare, nessuno parla nel mio tavolo, oggi sono tutti stranamente silenziosi. E così passa anche il pomeriggio. Deve essere successo qualcosa, c'è troppo silenzio oggi, o almeno sono tutti silenziosi con me. E così passa anche l'allenamento pomeridiano. Appena finiamo vedo John avvicinarsi, col suo solito sguardo impassibile, non lascia trapelare le emozioni. Mi prende il braccio e mi dice -Seguimi. C'è qualcuno che ti vuole parlare.- Lo guardo, sconvolta, ma me lo aspettavo. -Non ti preoccupare, ci sono io con te.- dice sussurrando, avvicinandosi al mio orecchio.

Ci avviamo verso il cortile centrale, mi preparo per le urla di mio padre. Ho paura. Ho paura che mi porti via. Ho paura che mi porti via da John e dai miei amici. ho paura e basta, ma ricordo le sue parole. "Se vuole portarti via da qui, prima dovrà vedersela con me." e mi risollevano un pò il morale. Cerco la sua mano e le sue dita si intrecciano alle mie, questo mi da coraggio, come se mi trasmette un pò del suo.

Lo vedo, è li, ad aspettarmi, mi guarda, il suo volto è un misto di emozioni, felicità, delusione, tristezza e rabbia, e la paura riprende il sopravvento su di me. Gli stringo la mano con tutte e due le mani, come per avere un altro pò di coraggio, ma niente. Il suo sguardo passa a John, e nota la poca distanza che ci separa e il suo volto si tinge di una nuova emozione, gelosia. Me ne rendo conto anche io, ma non mi importa, a me va bene così. Appena siamo vicini a lui dice -Preparati, ti riporto a casa.- Non un saluto, non un semplice "come stai?" no... solo quello sa dire, e la paura si trasforma in rabbia. -No.- dice John, con il suo tipico tono impassibile. -Non lascerò andare Amelia, a meno che non sia lei a deciderlo.- Lo guardo, contina a tenere gli occhi puntati sui suoi mentre mio padre lo guarda, incredulo. Li stacca un attimo per rivolgerli a me, come per ricordarmi della sua promessa, per poi girarsi e continuare. -Chi sei tu per dire questo?! è mia figlia, e verrà con me.- dice mio padre. -Non vuole venire con lei, signore. Vuole restare qui, da quanto mi risulta.- dice John con una calma straordinaria. -Chi sei tu per parlare?! Non hai il diritto di decidere cosa deve fare o cosa non deve fare!-.-Prima di tutto si calmi, seconda cosa, io sono il suo istruttore, è sotto mia responsabilità, e quindi me ne prendo cura.- mi stringe la mano ancora più forte ma non mi fa male. -IO sono suo padre. TU non sei nessuno. Su, forza, preparati che ce ne andiamo.- rivolgendosi a me. John sta per dire qualcosa, ma io lo fermo, lasciandogli la mano e facendo un passo avanti. -No. Non voglio venire con te, papà. Mi piace stare qui, e qui resterò. Non mi importa quello che pensi. Accettalo, ora mai sono grande e le decisoni le prendo io.- fa come se mi volesse tirare uno schiaffo, ma John mi si para d'avanti, difendendomi. -Si calmi, qui non usiamo le mani per risolvere le cose.-.-Spostati! Non sei nessuno per decidere su mia figlia.- -Le ripeto che è sotto mia responsabilità e- lo interrompo - Papà! Smettila! Da quando è morta la mamma ti comporti in questo modo! Smettila, non sono più una bambina! Lo vuoi capire!? Lasciami in pace! è questo che voglio! Quindi non verrò a casa con te!- le lacrime stanno incominciando a salire, ma non voglio, non posso, non qui, con mio padre. -Bene. Visto che non vuoi venire, con me hai chiuso. E non venirmi a cercare nel momento del bisogno! Io non ci sarò!- dopo queste parole scappo, il più lontano possibile, mi volto, e vedo che John sta parlando ancora con lui, ma io non ce la faccio, non ho il coraggio. Mi nascondo, e finalmente posso sfogarmi, posso piangere, mi manca l'aria, non riesco a respirare, credo di morire, ma dentro. Come può aver detto una cosa del genere! come... come può averlo fatto...

Oggi non voglio andare a cena, non voglio che mi vedano così. Continuo a piangere nel mio letto quando sento qualcuno percorrere il corridoio. Non mi curo nemmeno nell'asciugare le lacrime, sarebbe inutile, uscirebbero comunque. Mi giro, è lui, John, si inginocchia accanto al mio letto. -Ho parlato con tuo padre, non vuole saperne di cambiare idea. Mi dispiace..- Mi guarda, ha uno sguardo triste questa volta, è strano vederlo così. Noto che ha le nocche della mano destra fasciate. -Cosa ti sei fatto..?- dico, afferrandogli con dolcezza la mano. Freme al mio contatto, non so perché. -Dopo che tuo padre se ne era andato ero così arrabbiato che ho tirato un pugno contro il muro e.. E mi sono sbucciato le nocche..- Dice. Avvicino le sue nocche fasciate alle mie labbra, poggiandole. Mi guarda e per la prima volta non riesco a capire i suoi sentimenti. Lo guardo a sua volta, rimaniamo per un pò così. Si alza, senza distogliere lo sguardo -Vieni a mangiare, dai.- dice -Non ho voglia, grazie..- -Ma se non mangi come farai domani?- -Domani è domenica, giorno libero.- dico tirando su col naso. -Ma domani avrai più fame. Dai alzati, andiamo.- Mi porge la mano, non riesco a resistere, dopo tutto, si ho fame. Prendo la sua mano e a parte la benda, il contatto con la sua pelle mi da una scossa che mi percorre tutta la schiena. Questa volta non la lascio, e lui fa altrettanto, percorriamo la strada dal dormitorio alla mensa mano nella mano, con le dita intrecciate, non so perchè, ma non ci dispiace. Lui fa strada, non gli importa se qualcuno ci vede.

Arrivati in mensa gli lascio la mano e lui fa altrettanto. Andiamo a prendere la cena e ci sediamo al solito tavolo. Senza rivolgere la parola a qualcuno, troppo pensierosi per parlare. Oggi sono successe troppe cose, in così poco tempo.

Aspettando.. (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora