Benvenuto sull'isola dei giocattoli difettosi

302 6 0
                                    

SPAZIO AUTRICE:

Questa storia potrebbe, in futuro, contenere scene non adatte ai più sensibili e facilmente impressionabili, in ogni caso metterò un'avvertenza all'inizio di ogni puntata. Enjoy!

-----------------------------------------------

Erano le 7 di sera di una gelida giornata d'ottobre, la pioggia cadeva fitta sull'asfalto bagnato.

All'improvviso nel cielo muto echeggiò il rombo di un tuono, seguito immediatamente da un lampo che illuminò per un attimo la strada deserta. Un albero morente, scosso dalle intemperie lasciò cadere tutte insieme le sue ultime foglie, che fluttuarono nell'aria umida sotto la luce giallastra del lampione accanto.

Sedevo tremante sul seggiolino di metallo della fermata dell'autobus, avevo gli abiti fradici e l'aria pungente faceva penetrare il freddo fin dentro le mie ossa.

Cercavo di concentrarmi sulla voce di Kellin Quinn che cantava:" If you can't hang then there's the door baby, if you can't hang then there's the door! ..." per distrarmi dal tremore delle mie ginocchia, per cercare di far in modo che i denti smettessero di battere. La mattina seguente sarei stata malata, ne ero certa, ma non mi importava, anzi ne ero contenta, almeno avrei saltato un giorno di scuola. Odio il lunedì con tutte le mie forze. E poi, l'ultima persona di cui mi importa sono io stessa.

Così guardavo la pioggia scorrere al lato della strada, e le foglie dai colori autunnali raccogliersi sui tombini, ostruendoli. Amavo l'autunno quasi quanto amavo la pioggia, ma non come quella di quel giorno, io amavo la pioggia primaverile, sottile e delicata, che faceva profumare la terra, quello di quel giorno, invece, era un acquazzone acido, che sapeva di inquinamento e impregnava i vestiti di un odore nauseabondo.

Sebbene non fosse tardi le vie erano deserte e il cielo ormai nero, le poche persone che si incontravano ancora in giro si affrettavano verso casa.

Ben presto mi ritrovai sola, infreddolita e al buio, ma nemmeno questo mi faceva voler tornare a casa. Avrei preferito dormire lì che tornare là dentro, ma quali altre possibilità avevo? Dopotutto avevo solo 14 anni, non avevo soldi in tasca, né un tetto che mi potesse ospitare. Tutto quello che avevo era un cuore spezzato e un'anima abbattuta. Così aspettavo l'autobus per tornare a casa, triste, rassegnata, come tutte le sere.

Anche quel giorno non ero riuscita ad ottenere niente, ad essere niente, a fare niente. Mi ero svegliata come tutte le mattine, avevo messo sù la mia maschera da ragazza felice e divertente e avevo passato la giornata a rivolgere alla gente sorrisi vuoti. Ancora una volta non ero riuscita ad essere sincera, ad essere me stessa. Avevo lasciato che le ore scorressero sul mio corpo, immobile.

Mentre la mia mente si perdeva tra gli infiniti e bui antri della mia coscienza, avevo percorso la strada verso casa. Mi resi conto di dov'ero solo quando lo scatto della chiave nella serratura mi risvegliò dalla mia veglia. Mi stavo volontariamente introducendo all'inferno.

тоскаDove le storie prendono vita. Scoprilo ora