Valigie e ricordi

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Spazio autrice:

Dato che avevo scritto un capitolo davvero troppo lungo ho deciso di dividerlo in due, quindi li pubblico entrambi oggi. In questo non ci sono avvertenze, direi. Ah, e vorrei ringraziare chi ha votato la mia storia, grazie davvero, non me lo sarei aspettato. Enjoy!

Mi accorsi che era sera solo quando dovetti accendere la lampada per continuare a leggere. In quel momento entrò mia madre. 

"Ciao" le dissi, incurante del fatto che mi avesse sentito o meno attraverso la porta chiusa della mia camera e le stanze che la dividevano dall'ingresso. Pochi attimi dopo spalancò la mia porta senza alcun motivo, come faceva spesso, giusto per guardare dentro la mia stanza, alzai lo sguardo e la fissai con uno sguardo a metà tra l'interrogativo e il rassegnato, su cui si poteva leggere il pensiero che mi attraversò la mente in quel momento 'scommetto che non hai niente da dire, solo che ti viene naturale cercare di infastidirmi'. Bingo. Infatti non mi guardò nemmeno, si limitò a lasciare la porta aperta e andare in un'altra stanza. Girai gli occhi, poi mi alzai e richiusi la porta. Chiusi il libro e mi infilai in bagno. Entrai nella doccia e aprii l'acqua, gelida, come al solito, la pelle mi si coprì di brividi e cominciai a tremare visibilmente, ma non mi importava, 'adesso mi abituo' pensai, ma sapevo che non era vero. Mezz'ora dopo chiusi l'acqua. Uscii e mi coprii velocemente con l'accappatoio, cercando di non posare lo sguardo sullo specchio appeso proprio di fronte a me. Una volta, quando uscivo dalla doccia mi fermavo a fissare il mio corpo e nel riflesso e piangevo. Ancora una volta fui felice della scelta di non guardarmi, l'ultima volta che l'avevo fatto pesavo 7 chili in più e affogavo la mia tristezza nel cibo, era cambiato molto in quel periodo, ma non era abbastanza. Mi odiavo ancora e mi sarei odiata per sempre.

'Sono 250 calorie in meno, no?'. 

Mi asciugai e vestii, mettendomi direttamente il pigiama. Quando uscii dal bagno mia madre mi chiamò a cenare. Mangiai solo quello che avevo nel piatto, ignorando tutto ciò che non fossi costretta a ingoiare. Avevo il vizio di mangiare lentamente, masticando molto il cibo prima di mandarlo giù e bevendo ogni due o tre forchettate, giusto per non aggravare il danno. Durante tutto il pasto non pronunciai una sola parola, mi limitai a fissare in basso e ad ascoltare le poche parole che si scambiarono mia madre e mio fratello. Scossi impercettibilmente la testa, abbozzando un sorriso con un solo angolo della bocca quando mi colpì il ricordo di quando ero piccola, mi rividi in terza persona, una bambina di nove anni magrolina, bassa, con i capelli di un colore indefinibile, che non si capiva se fossero biondi o castani, un taglio disordinato, vispi occhi marroni che osservavano tutto, i piedi che penzolavano dalla sedia di legno della sala da pranzo, mentre di nascosto dava le sue verdure ad un gattino di nemmeno un anno e non stava zitta un momento, che aveva sempre un'opinione su tutto e appena la conversazione ricadeva su un argomento che non conosceva cominciava a fare domande su domande su domande, venendo puntualmente ignorata. Improvvisamente dentro di me cominciò a montare una nostalgia ingombrante, che dal cuore salì su per la gola e mi serrò i denti. Appoggiai la forchetta al lato del piatto, me ne stetti lì, ferma, a percepire le mie emozioni, incapace di muovermi. Volevo piangere. Non avevo le lacrime agli occhi, non mi stavo trattenendo, al contrario. Avevo semplicemente voglia di lasciar andare quel sentimento, avevo voglia di dare fuoco a quella miccia e lasciarlo esplodere, cancellarlo insieme al ricordo di quella bambina, non perché non mi piacesse, amavo quella bambina, la adoravo, era sempre così felice, le altre bambine litigavano per essere sue amiche, perché faceva sempre ridere tutti, piaceva a tutti. Ecco, è per questo che volevo che se ne andasse, perché quella bambina non esisteva più, era come il ricordo di qualche caro ormai morto e mi mancava da morire, avrei dato tutto per riaverla, anche solo per un giorno. Faceva ancora più male sapere che ero stata felice una volta e che ora non mi ricordavo nemmeno più come ci si sentisse. Mi ero svegliata una mattina e avevo dimenticato come essere felice, avevo provato a farlo lo stesso, ma non era più come prima. 

Sparecchiai la tavola silenziosamente quanto avevo mangiato. Appena finii mi chiusi di nuovo in camera. 

Alle nove mia madre entrò in camera mia, senza bussare come al solito.

"Vieni di là a guardare un film con me?" mi chiese.

"Tra un po'" le risposi, "quando ho finito qui".

Stavo cercando di scrivere in cinese tradizionale senza fare errori, ma era già la terza volta che dovevo stracciare il fogli e buttarlo via. In realtà non sapevo con precisione cosa significassero quei simboli, mi ero limitata a impararli a memoria leggendoli su internet. Un minuto dopo mia madre riapparve sulla soglia della mia stanza.

"Allora?!" chiese con un tono leggermente alterato.

"Ti ho detto che devo finire questo, prima." le dissi scocciata.

Mi arrabbiavo facilmente con mia madre, era l'unica persona con cui mi arrabbiassi, solitamente mi limitavo a ignorare le cose che non mi andavano bene e perdonare sempre tutti, subivo le cattiverie e passavo sopra ai torti e agli insulti, li accettavo. Ma con mia madre non riuscivo a fare altro che alterarmi, anche solo la sua vista mi infastidiva, figuriamoci parlarle, non riuscivo a non urlarle contro, era più forte di me, e nemmeno lei si tirava indietro, quando ero piccola mia madre non faceva altro che mettere su polemiche con mio padre e trovava sempre un motivo per litigare o per assillarlo, crebbi in una casa in cui non c'era un dialogo normale nemmeno per sbaglio, mio padre minacciava mia madre di lasciarla ogni tanto e un paio di volte tornando a casa dall'asilo trovavo le valigie pronte accanto alla porta. Poi un giorno lo fece veramente. Avevo appena sei anni e quello fu il peggior anno della mia intera infanzia. Comunque, da quando mio padre se ne andò mia madre cominciò a litigare con mio fratello, ma non durò molto, nemmeno un anno, mio fratello aveva una logica troppo forte e sapeva farsi valere senza urlare troppo, così cominciò a farlo con me ed eccoci, nove anni dopo, che stavamo per cominciare l'ennesimo litigio. 

"MA SMETTILA E VIENI DI LA'! NON SI PUO' MAI STARE UN PO' INSIEME! STAI SEMPRE CHIUSA IN CAMERA, NON PARLI MAI, TE NE STAI SEMPRE AL COMPUTER O CON LA MUSICA NELLE ORECCHIE! NON MI INTERESSA QUELLO CHE STAI FACENDO! SMETTILA DI FARE L'ASOCIALE E VIENI IN SALOTTO!" mi gridò.

'Ed è esattamente così che mi fai venire voglia di passare un po' di tempo con te, mi pare logico' pensai sarcasticamente, ma lo tenni per me. 

"Dopo vengo!" le dissi cercando di non urlare troppo.

Non lo feci. 

тоскаDove le storie prendono vita. Scoprilo ora