Mascara

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Spazio autrice:

Dopo solo un capitolo la mia storia ha raggiunto le 50 letture (yay!), che non sono molte, ma per me sono già un grande traguardo, quindi ho deciso di continuarla e cercherò di pubblicare una volta a settimana, ma non prometto nulla. 

ATTENZIONE:

Questo capitolo contiene riferimenti a disturbi alimentari, ansia ecc. quindi potrebbe non essere adatto a tutti. 

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Passai due ore intere a canticchiare mentalmente la stessa frase, mi rigiravo le cuffiette tra le dita trattenendo l'istinto di infilarmele nelle orecchie e scappare da quella maledetta realtà. Dopo due ore che sembrarono secoli finalmente la campanella suonò, afferrai il mio zaino, già preparato mezz'ora prima, feci partire la musica e mi affrettai fuori dalla classe e su per le scale, facendomi strada in mezzo a un turbinio di ragazzi che scendevano e salivano, tutti, come me, cercando di uscire al più presto da quella prigione che chiamano liceo. 

Percorsi tutta la strada in salita praticamente di corsa, non solo per allontanarmi da quel posto che odiavo, ma per pura abitudine. Sì, mi ero abituata a fare così per sembrare di fretta, in modo che sembrasse che andavo da qualche parte, così da evitare di dover salutare quelle poche persone che conoscevo, perché solitamente non mi rispondevano, ma se ero io a non rivolger loro la parola, allora si sentivano liberi di chiamarmi stronza dietro le mie spalle. In quel modo almeno avevo la scusa di non averli visti, e allora tutti i giorni correvo lungo la salita guardando in basso per non incrociare nessuno sguardo. Preferivo arrivare a casa con il fiatone e i muscoli doloranti che dover subire quell'umiliazione.  Era molto più facile così, preferivo scappare dai problemi, perché alla fine la realtà era che ero debole, forse anche troppo.

Girai la chiave nella serratura e bisbigliai "tac" proprio nel momento in cui scattava. Entrai più silenziosa che potevo, mi dava fastidio il pensiero che i vicini o anche solo la mia famiglia sapesse che stavo entrando ancora prima che fossi io ad andare a salutarli. Più di una volta mia madre mi aveva chiamata al telefono infuriata la sera tardi perché pensava che non fossi ancora rientrata, mentre ero semplicemente chiusa in camera mia e nessuno si era accorto della mia presenza. Mi piaceva da morire. Non potevano disturbarmi se non sapevano nemmeno che ci fossi. 

Pronunciai un "Ciao?" ostentato, nessuna risposta. Lo ripetei più forte, ancora niente. Non c'era ancora nessuno a casa. "Grazie Dio!" mi lasciai sfuggire a voce alta. Lasciai cadere lo zaino e la giacca sul pavimento, senza alcuna cura, entrai in camera di mio fratello, collegai l'ipod alle sue casse e cantando mi diressi verso la cucina. Mia madre mi aveva lasciato il pranzo già pronto in cucina, storsi il naso. Preferivo prepararmelo da sola, cucinarmi qualcosa che mi piacesse piuttosto che mangiare quello che aveva preparato lei, e che per di più era ormai freddo. Afferrai il piatto di pasta, ne versai metà nella spazzatura e cercai di ingoiare il resto senza prestargli troppa attenzione, canticchiando tra un boccone e l'altro. 

Appena finii appoggiai le stoviglie nel lavello, e con il braccio bloccato ancora nel mezzo di quell'azione scorsi un biglietto proprio accanto al rubinetto. Lo lessi. "Lava i piatti". "No" dissi, fissando il fogliettino colorato con disprezzo e lasciai tutto com'era.

Ingoiai senza pause una bottiglietta di acqua fredda che avevo appena tirato fuori dal frigo e subito sentii lo stomaco pieno e pesante, "Perfetto" affermai soddisfatta e andai ad accendere il computer, aprendo immediatamente Tumblr, dopo pochi minuti aprii anche Facebook e Ask per non trovare alcuna notifica su nessuno dei due, alzai le spalle indifferente e mi rivolsi a tutte le facce che sorridevano fintamente, immobili nello schermo, "Ah beh, per me potete anche fottervi tutti" e gli sorrisi con il sorriso più ipocrita che mi veniva. Chiusi le schede e tornai al mio blog, il mio bellissimo, segreto e anonimo blog. Sembrava strano, ma lì c'era gente che sembrava apprezzarmi, anche senza conoscere la mia identità, ma allo stesso tempo conoscendomi meglio di chi faceva parte della mia vita reale. 

Bastarono 10 minuti perché quel pensiero si infiltrasse nella mia mente, come tutti i giorni. Cercai di scacciarlo senza successo e cominciai a mordermi il labbro inferiore, ferendolo coi denti, mentre con le dita della mia mano sinistra mi grattavo l'incavo tra l'indice e il pollice e con quelle della destra tamburellavo un ritmo veloce e preciso contro la scrivania di legno. Rimasi così per un minuto o due, forse, poi cedetti. Mi alzai rapidamente dalla sedia, attraversai l'appartamento e mi chiusi in bagno. Alcuni secondi dopo mi ero infilata due dita in gola e stavo vomitando quello che avevo mangiato poco prima, appena ebbi finito mi sedetti accanto al gabinetto e piansi. Piansi tutte le lacrime che avevo trattenuto durante la mattinata, piansi via il dolore, la vergogna, l'odio verso gli altri, ma soprattutto verso me stessa, piansi perché ero sola, piansi perché ero invisibile.

Più di un'ora dopo ero ancora seduta lì, con gli occhi gonfi, la gola dolorante e mani e braccia coperte di mascara che mi ero pulita dal viso. Presi un respiro profondo,mi alzai e tirai lo scarico. Mi struccai e ritruccai senza nemmeno guardarmi lo specchio perché non sopportavo di vedere la mia immagine, erano mesi che non vedevo la mia figura intera in uno specchio, quando uscivo di casa la mattina non avevo idea di come apparissi, ma almeno non sprecavo il mio tempo ad ossessionarmi su un paio di jeans che mi ingrassavano o su un ciuffo di capelli fuori posto, e mi permetteva di indossare ciò che volevo senza pensare che mi stesse particolarmente  male. Almeno nella mia testa tutto mi stava male allo stesso modo, senza distinzioni. 

Riluttante, salii sulla bilancia, e fissai intensamente il display aspettando un verdetto, ma proprio quando stava per apparire il numero serrai gli occhi, avevo cambiato idea, non volevo saperlo. Nonostante ciò era troppo tardi, mentre le mie palpebre si chiudevano lo scorsi. 55.7. 'Che schifo' pensai. Mi piegai un po' in avanti per guardare il mio fisico. Una smorfia di disgusto mi attraversò il viso. Uscii dal bagno rassegnata, 'Non sarò mai magra'.

Passai il resto del pomeriggio a consumarmi gli occhi sullo schermo del computer o sulle pagine di un libro, con una sensazione di disgustata apatia che mi premeva sul cuore, rendendomi il petto pesante. 

тоскаDove le storie prendono vita. Scoprilo ora