1. Quel giorno

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"Lo vedi il destino? Tutto è già scritto, ma niente si può leggere. O quasi. Conserva questo Diario finché non sarà abbastanza grande da poterlo leggere, e sapere la verità. Questo genere di destino va letto.
Sempre presente,
per voi,
C."


**


D'estate era sempre così: a Raiven, una piccola città dell'Irlanda, la temperatura era sempre molto alta, probabilmente per l'elevata umidità nell'aria. Per fortuna era una città vicina al mare, e Charlotte la adorava.
Quel mattino si svegliò tutto d'un colpo, con la sensazione di cadere nel vuoto.  Aveva spesso il terrore di morire in quel modo, e rifletteva spesso su tale argomento quando le capitava. Secondo Charlotte la morte più difficile era quella che avveniva durante il sonno: dicevano il contrario, ma secondo lei c'era dell'altro. Ha sempre pensato da bambina che ogni notte quando ci si addormenta, venga a prenderti un angelo, ti prenda la mano e ti porta in luoghi lontani; è così che nasce quello che si chiama 'sogno'. Credeva che la morte avvenuta durante il sonno fosse semplicemente la distrazione di un angelo, che lascia la presa della tua mano, e facendoti cadere giù, senza volerlo non riesce a salvarti.

—Stupido Jhoe — disse sbadigliando e aprendo gli occhi. Fu accolta da un'ondata di calore proveniente dalla finestra, quindi si sedette sul letto, sulle coperte attorcigliate.
Jhoe era il suo angelo custode, se così si poteva chiamare. Ha sempre creduto negli angeli custodi; crebbe con la convinzione che qualcuno lassù la proteggeva sempre, o in qualche modo un occhio laggiù lo buttava giusto per controllare che tutto andasse bene.                                               

Lo sperava, insomma.

Lei con Jhoe ci parlava: scriveva lettere che poi leggeva ad alta voce quando era sola in casa, e a volte bruciava nel fuoco del camino subito dopo; ci parlava, anche semplicemente nei suoi pensieri, quando non aveva la possibilità di usare direttamente la voce. La ascoltava, ne era sicura. Era come un amico, e la sua sola compagnia valeva più di quella di cento esseri umani.
Quella mattina di inizio Settembre Charlotte era particolarmente felice, e vedendo che era già ora di prepararsi, scese dal letto a si diresse verso la cucina. Il suo era un miniappartamento, il quale poteva ospitare massimo due persone. Amava l'idea di vivere da sola, è sempre stato uno dei suoi desideri sin da quando era una bambina: vivere in una piccola casa, solo per lei, per studiare e dare il massimo; quando sua mamma però è venuta a mancare, ha sentito molto la sua mancanza. La sua mamma era una donna forte, colma di vita. Viveva solo per la sua bambina, dopo la morte di suo marito. Charlotte non ha avuto la fortuna di conoscerlo, ma sua madre spesso e volentieri parlava di lui come se fosse ancora lì, e la piccola Charlotte non faceva altro che amarlo, ogni giorno di più.
L'appartamento era molto semplice nell'arredamento, essendo in affitto, non la sentiva completamente sua, quindi non poté permettersi di cambiarla. Le pareti erano dipinte di celeste; Charlotte le avrebbe preferite semplicemente bianche, ma con il passare del tempo iniziò ad innamorarsi del suo bellissimo cielo personale. La cucina possedeva i mobili essenziali: un tavolo rotondo al centro della stanza, un piccolo frigorifero, i mobili per la cucina e di arredamento. Accese il gas per riscaldare il latte ed iniziò a canticchiare canzoni inglesi mentre si dirigeva in bagno per lavarsi i denti e raccogliere i suoi lunghissimi capelli rossi in una coda di cavallo. Un tempo erano neri e ricci, fino al giorno in cui decise che era giunta l'ora di cambiare e movimentare di nuovo la sua vita, soprattutto dopo la morte di sua madre.
A scuola non ebbe mai un punto di riferimento tra i suoi coetanei, ha sempre preferito restare sola ed in disparte, contemplando le frasi contorte di Oscar Wilde nei suoi libri.
Dal giorno in cui sua mamma venne a mancare, Charlotte capì che avrebbe dovuto inventarsi qualcosa, qualcosa che l'avrebbe fatta uscire da quel tunnel degli orrori, e che le potesse dare la possibilità di ricominciare a vivere, ma quella volta, come una normale adolescente.
Finita la scuola, si iscrisse all'università, indirizzo scienze della formazione, poiché aspirava a diventare assistente sociale o qualcosa del genere. Le sarebbe piaciuto occuparsi delle famiglie in difficoltà, pensando soprattutto al bene dei minori.
In questo edificio conobbe Diana, la sua migliore amica. Diana era l'amica che tutti volevano, molto estroversa e sicura di sé, con un sorriso sempre stampato sul viso e una gran voglia di feste! Immediatamente Charlotte e Diana si scelsero l'un l'altra e fu subito amicizia. Era così bella! Pelle mediterranea che risaltava i suoi capelli castani con i colpi di sole biondi e gli occhi nocciola.
Un giorno come tanti, durante la lezione di psicometria, Diana presentò a Charlotte un suo amico di vecchia data: Austin. Il classico ragazzo che non passava inosservato nei corridoi, un americano con caratteri australiani: biondo e con gli occhi chiari, sfumati sul verde, a differenza di quelli di Charlotte. Quest'ultima ricordava ancora il giorno in cui si conobbero, e lui che le disse: —Hai l'Oceano Pacifico negli occhi? — e capì subito che loro sarebbero diventati molto importanti nella sua vita.

L'ultimo angelo grigioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora