pov Emilia

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È circa mezzogiorno. Riccardo è sceso di sotto a cucinare il pranzo, mentre io me ne sto impalata a riflettere sui miei problemi, anche se l'unica cosa a cui riesco a pensare è lui. Sembra sincero quando dice di volermi aiutare, e io per quanto mi sforzi di negarlo ho davvero bisogno d'aiuto. La cosa mi sta sfuggendo di mano. I flash sono sempre più frequenti e gli incubi più spaventosi; non so più che fare. Mi sento contesa tra la mente che mi spinge ad allontanarmi da lui e il cuore che al contrario mi dice di fidarmi. Ho paura: paura di rimanere di nuovo da sola, di illudermi che la mia vita possa essere normale; ma Riccardo è così dolce con me, così gentile; quando c'è lui mi sento bene, anche se in realtà tutte le volte che sono svenuta o che mi è successo qualcosa ero sempre con lui. E ciò sinceramente mi fa riflettere e mi spinge ad allontanarmi, ma ogni volta che lo faccio mi sento ancora più male. Mentre sono assorta nei miei pensieri sento a un tratto un rumore cupo. Proviene dalla sotto. Mi alzo e velocemente scendo le scale. Ho il cuore in gola quando vedo che Riccardo non è in cucina. Presa dal panico faccio due passi indietro, ma inciampo al tavolino e cado su qualcosa di abbastanza morbido. Quando mi volto per vedere che cos'è il mio cure smette di battere. Riccardo. Il corpo di Riccardo giace inerte sul pavimento. Lo scuoto con tutte le mie forze, lo chiamo, lo schiaffeggio, ma niente. «No, no, no, ti prego. Andiamo Riccardo rispondimi. Riccardo! –sento le lacrime pizzicarmi gli occhi- per favore non farmi questo, io.... Io ho bisogno di te» sussurro. Gli alzo la testa e me la poso in grembo, gli accarezzo il volto bellissimo e con il dito seguo i lineamenti del suo viso. «Ti prego resta qui con me, ho ancora tante cosa da dirti. Dobbiamo ancora fare tante cose. Dobbiamo vedere sorgere l'alba o il tramonto se preferisci, dobbiamo far...»

«Alba» risponde una voce roca. Quando sento la sua voce quasi non riesco a credere alle mie orecchie. Abbasso lo sguardo su di lui e tra le lacrime noto che si è svegliato. «Preferisco vedere l'alba» ripete.

Il mio cuore riprende a battere «Oh, mio Dio. Riccardo!» grido traboccante di gioia. Lo stringo a me il più forte possibile.

«Si è ribaltata la situazione: adesso sei tu che ti preoccupi per me» dice con un sorriso stanco sulle labbra.

«Mi hai fatto prendere un colpo; non farlo mai più»;

«Tranquilla non ti libererai così facilmente di me» dice continuando a sdrammatizzare la cosa.

«Smettila di scherzare, non è affatto divertente» mi acciglio.

Torna serio «sto bene. Ho avuto solo un capogiro».

Annuisco. «Lo spero perché non voglio più provare quella sensazione»;

«Lo so, fa male. Questa è la sensazione che provo ogni qual volta succede a te». Mi si spezza il cuore a sentire quelle parole.

«Dai su andiamo a mangiare» consiglia Riccardo e entrambi ci accomodiamo al tavolo. Mangiamo in silenzio, nessuno dei due osa parlare chi per un motivo che per un altro. Alla fine Riccardo, nonostante non sia d'accordo, si offre di lavare i piatti per non farmi affaticare. Mi alzo allora dal tavolo e mi butto di peso sul divano dove faccio sprofondare tra i cuscini tutta la tensione che grava sulle mie spalle. Poggio la testa sul bracciolo. Da quella angolazione riesco a intravedere sotto il tavolo un oggetto. Stendo la mano sotto il tavolino e l'afferro. È il barattolo delle mie pillole. "No, non può essere. Il mio non lo avevo mai aperto, era ancora nuovo; invece questo è stato usato e mancano anche delle pillole", penso tra me e me. Cerco allora di trovare una motivazione plausibile e mi ritrovo a pensare a Riccardo svenuto ai piedi del divano. Mi dico che non è possibile, lui ha avuto solo un capogiro, niente di che. Però il dubbio mi corrode.

«Riccardo, prendi per caso qualche pillola?»

«No, perché me lo chiedi» risponde asciugandosi le mani con uno strofinaccio. Mi alzo e mi volto verso la cucina e Riccardo.

«Perché ho trovato delle pillole sotto il tavolino» dico mostrandogliele e nel mentre noto che il suo sguardo vacilla,

«Forse sono le tue -esita un momento- ti saranno cadute quando hai svuotato la borsa a terra»

«Già, ci ho pensato anche io, ma il contenitore era sigillato, non lo avevo mai aperto; invece qui mancano persino delle pillole» osservo. S'irrigidisce.

«Magari ricordi male»,

«no, mi ricordo benissimo» lo guardo e i suoi occhi mi rivelano quella verità che avrei preferito non sapere. Taccio un istante.

«Dimmi che non le hai prese tu, ti prego» dico ancorandomi all'ultimo barlume di speranza, ma Riccardo non risponde e abbassa lo sguardo come un cane bastonato. La verità mi travolge come un'onda anomala che travolge tutti i miei castelli di sabia: la speranza di poter avere una vita normale, l'illusione di poterlo amare tenendolo lontano dai miei problemi orami si sono distrutte. Chiudo gli occhi per scacciare le lacrime.

«Perché –sussurro- perché?» ripeto stavolta gridando.

«Emilia, posso spiegarti» dice avanzando verso di me.

«Spiegarmi cosa? Avresti potuto morire! Dici di tenere a me, di volermi aiutare; beh così mi fai solo dal male, a me e a te stesso» dico correndo verso le scale. Prima di salire però dico un'altra cosa «è per questo motivo che ti ho chiesto di starmi lontano. Io sono un cattivo esempio per te» e scappo su per le scale, lasciandomi la voce di Riccardo alle spalle.


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