Solo un altro mese, un altro fottutissimo mese e basta, poi sarebbe tutto finito. O sarebbe tutto ricominciato: dipendeva un po' dai punti di vista.
A quel punto non sapevo nemmeno se volessi o no superare la prova, ma poi vedevo Frank: era felice, mi amava, voleva stare con me, e io avevo il dovere di aiutarlo. Mancava solo un mese, era vero, e dovevo fare in modo che quel mese fosso il più bello delle nostre vite. Della mia lo sarebbe stato sicuramente.
Avevo promesso a Frank che lo sarei andato a prendere a scuola e che saremmo andati a fare una passeggiata, nonostante il cielo minacciasse pioggia. Ma d'altronde Frank proponeva sempre di andare a fare due passi nelle giornate più fredde e piovose, quindi ci avevo fatto l'abitudine.
Mi preparai lentamente prima di uscire, e alle tre in punto ero davanti alla scuola del piccoletto, con il cappuccio calato sulla testa per il freddo.
Dopo poco che ero lì, una mandria di ragazzi uscì dal portone e io aspettai con pazienza di scorgere Frank fra la folla, quando vidi qualcuno che mi veniva incontro. Ma non era lui.
«Gee!» Rachel mi saltò praticamente addosso e arrivai alla conclusione che le persone piccole a magre, come Frank e Rachel, quando decidono di abbracciarti ti possono uccidere.
«Ehi!» la salutai. «Come va? È un po' che non ti vedo.»
Le scompigliai i capelli e lei mi sorrise. «Io bene» disse felice. «Tu piuttosto come stai?»
«Benissimo» mentre le rispondevo vidi Frank che ci veniva incontro sorridente.
Cercai di trattenermi dal salutare Frank con un bacio e mi limitai a sorridergli.
«Ehi Rachel» fece Frank, «ti va di venire al parco con noi?»
Lei ci pensò un attimo. «Mi dispiace» disse alla fine, «ma domani ho il compito di biologia e non so nulla.»
Ci sorrise dispiaciuta. «Bene» sospirò poi, «è meglio che vada.»
Cominciò a correre e dopo qualche metro si girò verso di noi per farci un cenno con la mano.
Quando si fu allontanata e mi fui assicurato che nessuno ci stesse guardando mi sporsi verso Frank e lo bacia sulle labbra. Appena mi staccai lui mi abbracciò.
«Come stai?» gli chiesi piano all'orecchio.
Lui mi stampò un bacio all'angolo della bocca. «Adesso benissimo» fece sorridendomi.
Forse mi sciolsi, ma poi ricordai che era troppo freddo per farlo.
Gli presi la mano e cominciammo a camminare, senza fretta, in fondo avevamo tutto il pomeriggio.
«Frank» lo chiamai ad un certo punto. «Ti posso chiedere una cosa?»
Lui si voltò verso di me e annuì curioso.
«Lo fai apposta di proporre di uscire nei giorni più freddi?»
Lui mi sorrise come per scusarsi. «Non proprio» ammise, «ma se è freddo il parco è vuoto ed è tutto per noi.»
In effetti in giro non c'era nessuno e quando arrivammo al parco vidi solo una signora imbacuccata che portava a spasso un piccolo cane nero. Ci passò accanto e lanciò un'occhiata alle nostre mani, unite, e poi alzò lo sguardo verso di noi. Non disse nulla.
Mi voltai verso Frank per accertarmi che non si fosse accorto di niente, ma evidentemente aveva visto tutto.
Si fissava le scarpe e non era felice come lo era un momento prima.
Mi misi a sedere sulla prima panchina che trovai e trascinai Frank con me.
«Ehi» gli presi il viso fra le mani e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. «Che c'è?»
Lui cercò di evitare il mio sguardo, ma ogni suo tentativo fu pressoché vano.
«Frankie, per favore» lo supplicai. «È per quella donna?»
Vidi una piccola lacrima che gli scendeva sulla guancia e fui veloce ad asciugarla, poi lui annuì.
Mi sentivo come se qualcuno mi avesse tirato un pugno nello stomaco.
Frank si sistemò meglio sulla panchina e si appoggiò a me. Lo guardai e capii che stava cercando di trattenere le lacrime.
Ma che razza di mondo era quello in cui una donna poteva farti piangere con uno sguardo?
Avvicinai il mio viso al suo e feci combaciare le nostre fronti. Chiusi un attimo gli occhi.
Lui mi accarezzò una guancia e io sorrisi fra me e me.
«Ti amo» mi sussurrò piano. «Ricordatelo.»
Lo baciai. «Posso dimenticarmi tante cose, ma non la ragione per cui vivo.» E per cui morirò, aggiunsi mentalmente.
Feci scivolare la mano sulla sua schiena e cominciai ad accarezzarla. Lui si abbandonò completamente addosso a me e chiuse gli occhi.
Facevo scorrere la mia mano sulle sue vertebre come se dovessi contarle, e lui stava lì, come un bambino.
Risi e Frank aprì subito gli occhi. «Perché ridi?» mi chiese.
Alzai le spalle. «Sei bellissimo.»
Arrossì leggermente e si sporse leggermente per potermi baciare. Gli accarezzai la tempia guardandolo negli occhi.
«Frank, mi prometti una cosa?»
Lui annuì e mi baciò di nuovo. «Non ti deve importare del giudizio degli altri, okay?» dissi. «Non ti devi preoccupare se qualcuno ci guarda male o fa qualche commento poco carino, tu va avanti a testa alta. Promettimi che lo farai?»
Lui mi regalò un piccolo sorriso. «Te lo prometto.»
Gli scompigliai piano i capelli già spettinati e lo baciai sulla fronte.
«Camminiamo un po'?» proposi.
Frank annuì e si alzò. Io feci lo stesso e appena fui in piedi gli cinsi la vita con un braccio e me lo portai vicino. Lui appoggiò le mani aperte sul mio petto e mi guardò come in attesa.
Gli infilai una mano fra i capelli e feci combaciare le nostre labbra. Frank si alzò leggermente sulle punto dei piedi e ricambiò il bacio. Le sue labbra erano un po' screpolate per il freddo ma morbidissime.
Schiusi leggermente le labbra e lui fece lo stesso. Mi staccai un attimo e gli lasciai un bacio sulla mascella, poi tornai alle sue labbra. Erano bollenti e immaginai che anche le mie lo fossero. Assaporai piano le sue labbra e poi approfondii il bacio. Frank cercò ancora di mettersi in punta dei piedi per essere alla mia altezza, ma non ci riuscì. Così, senza staccare le nostre labbra, lo tirai su e lui mi cinse i fianchi con le gambe mentre io lo tenevo con una sola mano per non farlo cadere.
Sorrise contro le mie labbra. Era talmente piccolo che non riusciva nemmeno a baciarmi per bene se stavamo in piedi.
Con la mano che avevo libera gli accarezzavo la guancia mentre lo baciavo e lui mi cingeva il collo con le braccia e ogni tanto mi accarezzava i capelli delicatamente e me li lisciava.
Lasciai scivolare la lingua lungo il suo palato e lo sentii rabbrividire. Sapeva di buono, un sapore dolce ma non troppo, era semplicemente perfetto.
Frank si strinse di più a me per non cascare e io lo abbracciai più forte.
Il mio cervello, che era come spento, non riusciva a pensare lucidamente, l'unica cosa presente nella mia testa era il sapore delle labbra di Frank.
Mi resi conto che qualcosa di freddo cadeva lento sul mio viso. All'inizio non ci feci caso, poi mi staccai da Frank con uno schiocco e mentre lo mettevo giù alzai lo sguardo al cielo; lui fece lo stesso.
Nevicava, nevicava davvero. Grandi fiocchi di neve cadevano lenti per terra e addosso a noi. Un piccolo cristallo mi scivolò sul collo e rabbrividii di freddo.
Frank mi prese la mano e ci rimettemmo seduti sulla panchina, con lo sguardo verso il cielo, a contemplare la neve che cadeva lenta.
Dopo dieci minuti si era giù formata un sottile strato bianco sull'erba del parco e Frank sorrise.
«Amo la neve» disse in un soffio.
Lo guardai e sorrisi, era incantato da quello spettacolo e lo capivo.
Quando cominciò a nevicare più forte e il freddo divenne insopportabile andammo a casa mia e ci riscaldammo come potevamo.
Preparai la mia, ormai famosa, cioccolata calda e ci mettemmo sotto la finestra per vedere la neve.
Frank era assorto nei suoi pensieri e parlava poco. Mi sarebbe piaciuto sapere quali cose gli vagavano nella mente, ma non mi andava di essere troppo invadente, se c'era qualcosa di serio me l'avrebbe detto.
Rimanemmo tutto il pomeriggio distesi sul letto a non fare nulla, ogni tanto Frank si appisolava e io lo guardavo mentre dormiva. Non lo svegliai nemmeno quando alla fine si addormentò seriamente, volevo lasciarlo sognare.
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The Afterglow
RomanceStoria partecipante ai #Wattys2016 Quando ti svegli in un luogo assurdo e non ti ricordi più niente la paura ti attanaglia lo stomaco e le viscere. Però un piccolo ricordo affiora lentamente, un viso, quello di un ragazzo. E se poi scoprissi che sei...