5. Qual è il mio campo?

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Alzo le braccia sopra la testa. Avvicino gli indici e pollici e così le mie dita formano un cuore rovesciato. Federico mi ha spiegato che il palleggio nasce da qui, dalle mani che diventano un cuore. Io non sono molto brava a palleggiare e, a dirla tutta, non c'è una cosa che mi riesca particolarmente bene, però giocare a pallavolo mi diverte. E poi a una bambina che fa la prima elementare non si può certo chiedere di essere una campionessa.
Durante una lezione dimostrativa a scuola, quelli del Settimo mi hanno notata e della mia altezza e hanno convinto mia mamma a portarmi in palestra a provare. Così due volte alla settimana sono qui, insieme un sacco di bambine cui però non rivolgo mai la parola.
«Vale, c'è l'hai la lingua?» mi chiede ogni tanto Federico, per prendermi in giro.
Allora io gli faccio una linguaccia e mi metto a ridere. Sono timida e me ne sto sempre in disparte, però qui sto bene.
Fede è il nostro allenatore, coach Di Toma. A me sembra grande, ma in  realtà ha finito solo da qualche anno l'Isef e da allora ha deciso che insegnare il volley è la cosa che ama di più fare. Ci dedica un sacco di tempo e con me ha molta pazienza.
«Sembri una giraffa che piega le zampe per bere» mi dice mamma Silvia, ridendo, una delle prime volte in cui viene a vedermi giocare. Effettivamente non sono molto agile, faccio fatica a portare in giro per il campo la mia altezza. Federico però mi rassicura, secondo lui sto facendo progressi e mi ripete che va bene così. Non mi mette mai pressione.
Quando poi mi vede un po' giù, perché è un colpo non mi viene bene, mi presta qualche videocassetta da guardare a casa per distrarmi: è la mia videoteca personale. Il Re Leone, Toy Story, e poi ci sono, naturalmente, Mila e Shiro. Tutte le mie compagne di squadra lo guardano: è un anime un cartone animato che i giapponesi hanno interamente dedicato alla pallavolo. Quando sto dai nonni, lo vedo ogni pomeriggio. Insieme al panino che nonna Maria mi prepara, per me è un rito. Sono magra, magra e non mi piace abbuffarmi, ma al panino con il prosciutto e le melanzane sott'olio della nonna non rinuncio. Me ne sto così, masticando, davanti alla televisione e guardo Mila saltare e attaccare, come a me non riesce mai. È incredibile... in difesa  prende anche la battuta volo di rondine di Nami, con quella traiettoria imprevedibile. Perché a lei vengono anche cose impossibili, mentre io quando salto non riesco a colpire neppure la palla?
«Tranquilla, prima o poi ce la farai» mi ripete Federico, ma io sono proprio un disastro: sono perennemente fuori tempo. Non c'è una volta in cui mi trovi dove dovrei essere. E poi la posizione dei piedi: ce n'è sempre uno troppo avanti o troppo indietro rispetto all'altro. Per non parlare del bagher... quando la palla tocca le mie braccia, non trova un piano di rimbalzo ma è come se toccasse uno spigolo: schizza via in ogni direzione.

Con Federico ogni volta ripartiamo daccapo.
Afferra e rilancia la palla...
Afferra e rilancia la palla...
Afferra e rilancia la palla...
... avanti così per cento volte.
Usiamo dei palloni più piccoli e leggeri di quelle che le ragazze grandi utilizzano per giocare. I nostri sono rossi, a forza di tenerli in mano, potrei descriverne ogni singola gradazione di colore. Schierate, una di fronte all'altra, ci tiriamo la palla. E se non c'è una compagna, ci dobbiamo mettere con la faccia rivolta al muro, a palleggiare contro la parete.
Dopo tutte quelle ripetizioni progressi si vedono: poco alla volta noto che ho smesso di essere la più scarsa della squadra.
Le migliori sono tutta un'altra cosa rispetto nei due punti sono più veloci, saltano più in alto e finché non lo fa la più forte. E poi hanno un fanatismo che a me manca: parlano sempre solo di pallavolo. Lo guardano la tv, attaccano le foto dei giocatori delle giocatrici sul diario di scuola e poi nel fine settimana si fanno portare dei loro genitori al palasport a vederli giocare. Maurizia Cacciatori, Francesca Piccinini ed Eleonora lo Bianco sono le loro eroine: copiano il loro modo di tenere legati capelli, arrotolano le maniche della maglietta sulla spalla, per imitare le maglie smanicate della Nazionale.
Per me non è così. A me non piace guardare la pallavolo. Mi piace farla.
In campo mi diverto sempre di più, ma fuori la mia vita non ruota intorno al pallone. Per un po', oltre a giocare a pallavolo, vado anche a nuotare, ma poi mi stanco di passare dalla piscina alla palestra, senza mai una pausa. Voglio il mio tempo, da trascorrere a casa dei nonni, aspettando che la mamma torni dal lavoro. Finiti i compiti, quelle ore le passo disegnando e, crescendo, scopro che non solo mi piace colorare, ma anche dipingere. Un piccolo quadro, una barca che scorre su un fiume, è venuto così bene che mamma decide di appenderlo in cucina, così lo vedo ogni mattina, quando faccio colazione.
Però anche per la pittura c'è sempre meno tempo, ma mano che divento grande.
La pallavolo cresce con me: io aggiungo centimetri alla mia statura e il   volley aumenta il numero di allenamenti e partite.
Per fortuna Federico e tvOS e più buono di Daimon, l'allenatore di Mila, che grida sempre, diventa tutto rosso e arriva a schiaffeggiare le giocatrici che non fanno quello che dice. Il nostro coach invece trova sempre il modo di convincerci a fare le cose senza alzare la voce. Mi mette solo un po' di paura quando ripete una delle sue frasi preferite:«Non esiste una pallavolista senza lividi». L'idea di tuffarmi sul pavimento non mi attira molto, ma lui riesce a persuaderci procedendo per gradi. Cominciamo tuffandoci sopra a dei materassini. Di schiena di, di pancia, di lato... è come se dovessimo lanciarci per prendere una palla, solo che il pallone non c'è, per fortuna, sotto di noi non c'è neppure il parquet, ma della morbida gommapiuma. Per ora, niente lividi.
Più passano i giorni, più lo strato che attutisce le nostre cadute si assottiglia, fino a sparire. A quel punto c'è un altro passaggio: senza materassino.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 22, 2016 ⏰

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VALENTINA DIOUF - Quando sarai grande Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora