Cicatrici

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Alice e Giorgio si trovavano a Tevi, era una notte come tante altre. I bambini dormivano beatamente nei loro letti a Roma, nel lussuoso appartamento di Giorgio, sorvegliati da Luca e Natale che dormivano sul divano leggermente accartocciati.
"Mi spieghi che t'è preso ieri sera?" Le chiese senza alzare il tono, non voleva far nascere un'altra discussione, non voleva che quella bellissima donna si accendesse d'odio e che lo guardasse con quegli occhi caramello colmi d'ira. Non voleva che quelle labbra pronunciassero brutte parole con quella dolcezza che non le apparteneva.
"Che mi è preso ieri sera?" Fece la finta tonta. Guardò il cielo sopra di sé, era lo stesso cielo che aveva a Roma, ma l'aria era diversa, la gente pure. Ad ogni angolo si poteva trovare uno spacciatore pronto a fare degli affari, nei vicoli più bui si regolavano i conti, ogni ora uno sparo; sembrava che scandissero il tempo.
"Ti sei arrabbiata perché ti ho chiesto un bacio."
"Certo, io non posso... capiscimi."
"Se tu non ti spieghi io non lo posso fare."
Si udì uno sparo a poca distanza da loro, Alice sobbalzò spaventata ed indietreggiò di un passo, nelle orecchie sentiva un fischio leggero. Giorgio la guardava leggermente preoccupato, le chiese se stava bene e lei annuì scossa. "Vuoi che andiamo in macchina?"
Scosse la testa. Un altro sparo, più vicino. Chiunque fosse stato a sparare aveva mancato il bersaglio e lo stava inseguendo, i due quindi erano diretti verso di loro. "Dobbiamo andarcene, subito." Ragionò Giorgio ad alta voce. Prese Alice per mano e cominciarono a correre per quelle vie che conoscevano a memoria, senza sapere però dove andare; alla fine si ritrovarono sotto casa della rossa senza fiato, gli spari dietro di loro erano ormai lontani. I loro visi erano a poca distanza, il silenzio regnava sovrano e non aveva intenzione di abdicare.
Il biondo sorrise leggermente, mentre  la donna lo guardava negli occhi, e le scostò una ciocca di capelli dal volto con accortezza. Durante gli anni aveva imparato come toccare delicatamente le cose e, soprattutto, le donne. Per un attimo gli balenò nella testa tutte quelle ragazze che scopava e poi lasciava, ma subito distolse l'attenzione da questi pensieri. Davanti a lui aveva la donna della sua vita, che non gli stava urlando contro, che non lo stava prendendo in giro, che stava in silenzio e stava vicinissima al suo viso; bastava che si sbilanciasse in avanti e le labbra di Alice sarebbero di nuovo state sue.
"Perché mi hai portato proprio qua?"
"Perché devi sempre rovinare tutto?" Chiese con ancora il sorriso sulla faccia, fece cadere lentamente la mano che stava sul viso di Alice e sospirò.
"Io non ce la faccio, Giorgio."
"A fare cosa?!" Sbottò. "A fare questo?!" Prese il volto della donna fra le sue mani e spinse rudemente le sue labbra contro quelle di lei. "Visto quanto è semplice?"
"Sei sempre il solito coglione." Rimosse con violenza le mani di lui dal suo viso, arrabbiata. "Beatrice è morta per te, pezzo di stronzo. Non voglio fare la sua fine. E poi, non voglio farle questo. So che se lei fosse ancora viva, noi non saremmo qua! Ed andrebbe fottutamente bene così."
"Noi saremmo qui ugualmente, Ali, ficcatelo in quella capoccia bacata che hai."
"No, perché non farei mai una cosa del genere alla mia migliore amica!" Disse tra i denti, davvero infastidita dalla sfacciataggine di quell'uomo che le sembrava nonostante tutto un ragazzino. "Secondo te, perché non sono venuta a dirti che ero incinta?" Giorgio abbassò lo sguardo, stringendo i denti. "Allora? Te lo sei mai chiesto?" Chiuse gli occhi, una lacrima gli scappò dalle ciglia.
"Sì, me lo sono chiesto centinaia di volte. Non sono mai arrivato ad una conclusione." Ingoiò il groppo che aveva in gola facendo un respiro profondo. "Tu, pensando al bene di Bea, hai ferito me. Lo sai questo?" Fu la volta di Alice quella di rimanere in silenzio. "Ed hai ferito anche Clelia."
"Clelia con me è stata benissimo!" Urlò a questo punto. Non poteva permettersi di mettere bocca sull'educazione che aveva dato alla figlia, non lui che davanti agli occhi di Paolo si scopava la segretaria.
"Ascoltami, dannazione." La prese per gli avambracci e la scosse. "Mi hai tolto mia figlia, cazzo! E a lei hai tolto un padre! Mi sono perso il parto, il suo primo pianto, i suoi primi passi, il suo primo dentino, le notti in bianco a cullarla. Mi hai privato di tutto questo, hai privato Clelia di tutto questo, per dare un marito a Beatrice. Ti senti altruista, Alice? Mh? Allora ti racconto di quella volta che Bea è andata in una clinica privata, al quinto mese di gravidanza, a chiedere di toglierle quel mostro che aveva nella pancia. Quando è nato Paolo si è rifiutata di allattarlo, dopo aver pianto per quasi due giorni siccome gliel'avevamo tolto. Io avevo detto di toglierglielo alla nascita, perché era completamente impazzita. Perché, al sesto mese, l'ho trovata in cucina che urlava contro qualcuno che non voleva uccidere suo figlio ma intanto in mano aveva un coltello! Si è tagliata la pancia, quella notte. Quando Paolo aveva tre anni, ha cercato di soffocarlo. Lei non l'ha mai voluto, sapeva che il nostro matrimonio era fondato sul nulla. Si voleva liberare di suo figlio e di me, perché non ci voleva."
"Ti prego, dimmi che scherzi." La voce le tremava. Lei aveva rinunciato ad avere qualcuno accanto per darlo a Beatrice che non ne aveva bisogno.
"Beatrice doveva abortire. Se lo avesse fatto sarebbe ancora viva." Disse piano Giorgio, incolpandosi di tutto. Perché non l'aveva amata neanche un po', perché quella sera poteva usare il preservativo, perché poteva aiutarla nella scelta: tenerlo o non tenerlo? Lui amava Paolo, ma Bea no e avrebbe dovuto percepirlo ed aiutarla invece di farle fare le cose contro voglia. "Quando ha compiuto sei anni sembrava guarita, ed io ero contento. Trattava benissimo il bambino, non faceva discorsi strani, si lavava tutti i giorni, si vestiva decentemente e si truccava. Aveva preso a fare le cose di tutti i giorni, che prima non faceva. Poi dopo due anni, beh... sai la storia."
Alice si gettò nelle braccia di Giorgio, stringendolo forte a sé come se volesse che diventassero una cosa sola, stringendolo talmente forte che mancò il fiato ad entrambi per qualche secondo. "Non sai quanto mi dispiace. Pensavo di fare la cosa giusta." Le accarezzò i capelli sussurrandole parole dolci, poi le stampò un bacio sulla testa tranquillizzandola e facendole mollare la presa.
"Ti ho sempre amata per questo, Ali. Perché pensi sempre di fare la cosa giusta, proprio come me. Il problema è che sbagliamo sempre."
La donna si staccò dal corpo di Giorgio, lo guardò negli occhi e gli sorrise leggermente. Poi, alzandosi sulle punte, gli lasciò un casto bacio sulle labbra. Si staccò ma all'uomo quel misero contatto non bastava per niente, infatti la prese dai fianchi e la fece aderire contro il suo corpo per poi sussurrarle suadente: "Non mi scappi" e baciandola appassionatamente.
Passeggiarono ancora per un'ora per le strade di Tevi, poi si misero in macchina ed Alice gli sorrise e gli diede un altro bacio leggero che Giorgio fece diventare appassionato. La voleva così tanto, da così tanto tempo. Quando ripensava alla notte a casa sua gli venivano i brividi. Mai una donna gli era entrata così sotto pelle, ma lei era speciale; lei gli apparteneva anche se lo negava ogni volta. L'aveva sempre negato, non l'accettava: voleva essere libera ed appartenere solo a se stessa. Alice aveva fatto delle sue ossa la sua unica casa, era diventata indipendente, era cresciuta ed aveva accettato il fatto che nessun principe l'avrebbe salvata e portata via da quella realtà che aveva sempre disprezzato ma che, a poco a poco, era diventata routine.
Con le mani sui suoi fianchi, la stringeva leggermente a sé (come se avesse paura di perderla), e premeva i polpastrelli nella sua carne come se volesse tatuare le sue impronte digitali sulla pelle. "Non sai cosa mi fai." Si staccò giusto per dirle questo ed Alice sorrise quando Giorgio si riavvicinò a lei per riprendere a baciarla, però si scostò facendo mugolare in disapprovazione l'uomo, che appoggiò la testa sulla sua spalla e sospirò rumorosamente. "Me la farai pagare, non è così?"
"Se sai già la risposta, è inutile porgermi la domanda." Lo spinse con delicatezza in modo che non fosse più aggrappato a lei e poi si mise composta al suo posto, con lo sguardo dritto davanti a sé. Si udì uno sparo lontano, ma questa volta la donna non sobbalzò. "Togliti la maglietta." Gli ordinò senza alcuna emozione nella voce o nello sguardo, lo guardava persa, in modo passivo.
Giorgio alzò le sopracciglia ed incredulo le chiese di ripetere. "Hai sentito." Si sfilò titubante la giacca, rimanendo solo con la maglietta a maniche lunghe. Era vestito molto casual rispetto alle altre volte ed Alice era contenta di questo, perché assomigliava di più a quel ragazzo che viveva con lei anni fa, che andava in giro per casa in mutande e non frequentava i corsi all'università perché si sentiva in gabbia. "Improvvisamente sei timido, vedo."
"Non sono abituato a richieste così sfacciate." Disse arrossendo leggermente.
"Certo, perché di solito le fai tu."
Giorgio ridacchiò, prese i lembi della maglietta fra le dita e la sfilò. Alice fece finta di non notare il fatto che non era più un ragazzino, ed era cresciuto in tutti i sensi, anche allenandosi. Si concentrò su un unico lembo di pelle: sul pettorale sinistro, all'altezza del cuore (una volta incastrato fra le costole), c'era il suo marchio di fabbrica.
Una cicatrice grossa più o meno come un pollice, una cicatrice procurata da un proiettile. "Spiegami..." gli sussurrò Alice, toccandogliela con le sue dita fredde. Sulla pelle dell'uomo cominciarono a formarsi dei brividi causati dal freddo, ma nessuno dei due se ne curò.
"Te lo spiego solo se poi tu rispondi ad una domanda."
La donna annuì lentamente e lo fissò con occhi stanchi ma attenti. "Avevo quindici anni quando sono entrato nel giro. Si spacciava e si facevano lavori sporchi, molto sporchi. La paga, però, era buonissima. E come ti ho detto per i soldi si fa tutto, soprattutto se sei un ragazzino che ha problemi a casa." Gli accarezzò dolcemente la guancia, per fargli capire che non era solo. "A sedici anni ho ucciso un uomo." La rossa scostò la mano, non se l'aspettava. Si mise composta sul sedile e lo guardò per incitarlo a continuare. "Era uno che doveva dei soldi a chissà chi, per chissà che cosa. Pochi mesi dopo il mio capo mi chiese di farne fuori un altro. L'unica differenza era l'importanza di questo secondo uomo che dovevo uccidere: era un pezzo grosso di una banda di Roma. Questo, però, nessuno me lo disse. Lo scoprii da solo quando mi recai a casa sua e stavo per ucciderlo, lo scoprii quando mi puntarono una pistola alla tempia. Rischiai di essere ucciso, quella notte; a quanto pare però non era la mia ora perché riuscii a scappare non appena mi lasciarono solo in una stanza. Mentre stavo sgattaiolando via un ragazzo più giovane di me mi scoprì. Aveva una pistola in mano che probabilmente era più pesante di tutti e due ed aveva un'espressione in faccia che diceva quanto gli dispiacesse quello che stava facendo. Sparò ma per mia fortuna non era un tiratore scelto e mi prese solo di striscio."
Alice stette in silenzio, alternando gli occhi dal viso di Giorgio alla sua cicatrice. "Te ne ho lasciata una, non è così?" Gliel'aveva già fatta anni prima quella domanda, ma sapeva che la donna gli aveva mentito.
"Cosa mi hai lasciato?"
"Una cicatrice."
Assottigliò gli occhi, "Sì ma tu probabilmente neanche te lo ricordi".
"Come potrei non ricordarmelo?"
"Eri ubriaco, Giorgio."

Erano stati tutti promossi all'esame di maturità, Giorgio ed Alice avevano preso i voti più alti. La notte di quel giorno glorioso, il biondo si presentò sotto casa sua completamente ubriaco. Erano più o meno le tre del mattino quando si era attaccato al citofono, implorandola di scendere.
Indossava solo una canottiera che le arrivava appena sotto il sedere, stava dormendo beata sognando il suo futuro, inconsapevole del fatto che il passato l'avrebbe perseguitata per sempre insieme a Giorgio.
"Che succede, Maffei?" Gli chiese scorbutica.
"È così che accogli gli amici?" La voce era strascicata, gli occhi iniettati di sangue e si reggeva a malapena in piedi. Nella mano sinistra aveva una bottiglia di liquore quasi vuota, che si portò alle labbra per finirla.
"Perché non torni a casa, mh? Sei ubriaco e sono le tre del mattino."
"La notte è giovane come noi, Belfiorellino."
"Domani devo alzarmi presto." Gli mentì. "Non ho tempo per le tue stronzate." Quella, però, non era una bugia.
"Sei così bella..." le si avvicinò per accarezzarle il viso, ma Alice indietreggiò.
"Sei fin troppo ubriaco, tornatene a casa." Gli voltò le spalle ma Giorgio la prese per un polso con la mano libera per non farla andare via. Strinse forte, forse troppo. "Mi fai male." Gli disse fra i denti.
"Sai che novità, Belfiore." La avvicinò a sé sbuffando una risata. Le toccò la guancia con la mano che non le stringeva il polso e le sorrise. "Due come noi si possono solo far male."
"Lasciami." La mano dalla guancia scese fino al collo, per poi sfiorarle la spalla con le dita fredde e ruvide. La bottiglia le toccava il seno. "Mi fai schifo."
Le sue parole gli scivolavano addosso, stava facendo quello che voleva fare da tanto (troppo) tempo. Erano faccia a faccia, si guardarono negli occhi ed Alice non aveva la più pallida idea di cosa volesse fare Giorgio. Quando si sporse, per baciarla, lei voltò il viso e le sue labbra andarono a toccare la sua guancia calda. Il ragazzo espirò dal naso, affranto. "Io ti amo, Belfiore. E penso che ti amerò per sempre."
Dopo aver sentito queste parole, sussurrate con una leggerezza e dolcezza che non appartenevano al biondo al suo orecchio, la ragazza si dimenò fino a sfuggirgli dalle braccia; non fu tanto difficile siccome era ubriaco e forse anche fatto. Lo spinse e gli urlò che doveva starle lontano, prima di dargli uno schiaffo.
Giorgio d'un tratto perse quella poca lucidità che aveva. Le tirò un pugno sullo zigomo che immediatamente divenne rosso, poi cominciò ad urlarle contro. "Sei una puttana!"
"Vattene subito!" Gli urlò lei in risposta, mettendo una mano sulla parte dolorante. "Subito!" Lo spinse fuori dal cancello.
In un attimo spaccò la bottiglia e gliela puntò contro, facendola tremare per un secondo. "Allontanati."
"Non voglio farlo."
"Smettila, Maffei, vai a casa e fatti una bella dormita." Il tono era duro mentre lo rimproverava come se fosse sua madre, ma la voce le tremava per la paura.
"Dammi un bacio e me ne vado."
"No."
Gli occhi del ragazzo erano iniettati di sangue, si avvicinò a lei con movimenti lenti perché sennò sarebbe potuto cadere da un momento all'altro. "Tu sei mia, Belfiore." Sottolineò la parola "mia" e Alice scosse la testa. "Sei mia."
"No."
Preso dalla rabbia espirò rumorosamente dal naso, le puntò nuovamente la bottiglia contro e con uno scatto la afferrò, spingendola contro di sé e tagliandole il fianco destro con la bottiglia. Alice urlò dal dolore mentre il sangue le usciva dalla ferita, sporcando la canottiera e continuando la sua corsa lungo la coscia. Le bruciava dannatamente e cominciò ad agitarsi ed urlargli contro: "Sei un pazzo!".
"Mi avrai sempre con te." Mollò la presa e la ragazza scattò all'indietro, stringendo i denti e risucchiando un respiro mentre teneva entrambe le mani sulla ferita cercando di fermare il sangue.
"Vai all'Inferno." Camminò lentamente per le scale ed entrò nel suo appartamento, dirigendosi immediatamente dentro al bagno e mettendosi sotto la doccia, senza neanche curarsi di togliersi la canotta. Aprì l'acqua fredda pulendosi il sangue e, guardando quanto fosse profonda e lunga la ferita, si mise a piangere consapevole del fatto che Giorgio Maffei l'avesse marchiata come un animale.

Alice si alzò di poco il maglione che indossava, mostrandogli la cicatrice lunga quasi dieci centimetri. Giorgio rabbrividì.

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