Promessa

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"Mi sto perdendo tante cose, non è così?" Chiese Alice con voce flebile. Avrebbe pianto, se solo avesse avuto le lacrime, invece il labbro le tremò ed il viso era contratto in una smorfia di dolore; soffriva molto per via della malattia e perché non poteva assistere la figlia nelle scelte più importanti della sua vita. Non le sarebbe stata accanto quando avrebbe avuto la prima cotta, la prima delusione d'amore, la prima mestruazione, la scelta della scuola superiore, le prese in giro, la prima sigaretta, il primo drink, la prima canna...
Erano passati mesi, Natale e Luca erano partiti da un po' e lei non aveva voluto che sapessero niente perché non voleva ancorarli a lei, a quella città, al loro passato. Voleva che andassero avanti per la loro strada, che mettessero la testa a posto.
"Ma no, mamma... non dire così." Clelia le strinse la mano e ad Alice le sembrò così grande, così cresciuta, nonostante avesse solo otto anni. "Piuttosto, sai che giorno è oggi?"
"Lunedì?" Tentò.
"C'eri vicina. Domenica, ed è il mio compleanno!" Gli occhi della bambina si illuminarono di gioia mentre quelli della madre si incupirono.
"Buon compleanno, amore. Mi dispiace di non essermelo ricordata."
"Hai perso la cognizione del tempo, è normale." Scrollò le spalle come se la cosa non la toccasse minimamente, ancora esaltata. "Adesso che ho dieci anni Paolo non mi può più dire che sono piccola, siccome abbiamo la stessa età!"
Sorrisero tutte e due per qualcosa che solo loro sapevano. "Allora d'oggi in poi ti chiamerà Belfiorellone." Rise leggermente, per poi tossire.
Clelia si intristì e la abbracciò. "Ti voglio bene, mamma. Davvero tanto. Da qui fino a Milano."
"Uh, io di più piccola mia. Da qui fino al cielo."
"Da qui fino al sole, io!" Sorrise e si staccò. "Mamma..."
"Dimmi, tesoro."
"Me la puoi fare una promessa, che vale come regalo per i prossimi... uhm... cento compleanni?" Si sistemò con le piccole mani i capelli dietro le orecchie e la guardò di sottecchi, sperando che le promettesse ciò che voleva.
Alice fece finta di pensarci. "Dipende..."
"Da cosa?"
"Da quello che ti devo promettere."
"E perché?" Si imbronciò.
"Perché se mi dici, per esempio, mi prometti che domani... il cielo diventa verde... mica te lo posso dire." Fece dei grandi respiri, parlava da troppo e le mancava il fiato.
"Hai ragione ma si può fare quello che voglio io! Mi prometti che guarisci?"
Chiuse gli occhi, inspirò. "Non devi fare i compiti, Clelia? Io ho bisogno di dormire."
"Mamma è estate..."
Un silenzio di tomba cadde nella stanza. "Me lo prometti?"
"Vai a giocare..."
"Mamma tu non morirai!" Urlò balzando in piedi con il viso rosso, si stava sforzando di non piangere.
"Vai a giocare." Rispose secca l'altra.
"Non morirai! Promettimelo!" Urlò ancora più forte, battendo i piedi per terra. "Dimmelo! Dimmelo che non morirai!"
Giorgio entrò nella stanza con un asciugamano legato in vita e la maggior parte del corpo ancora insaponato. "Che succede?" Chiese col fiatone.
Clelia si girò, con un broncio lunghissimo e le guance gonfie e rosse. Gli occhi li aveva lucidi ma pareva che non volesse piangere. "Ehi, piccola..." si inginocchiò davanti a lei e le accarezzò il viso.
"Mamma morirà!" Sputò senza mezzi termini e, piangendo come una fontana, si fiondò fra le braccia del padre in cerca di conforto.
L'uomo guardò Alice con un cipiglio in viso e lei ricambiò lo sguardo per poi stringere le labbra in una linea. Mimò un "mi dispiace" e si voltò dall'altra parte, molto lentamente, perché vedere la figlia ridotta in quello stato per colpa sua le distrusse il cuore.

Si spense poco a poco. La pelle le diventò chiarissima, le vene erano bene in vista, anche respirare le costava una gran fatica, l'intero corpo le bruciava e le faceva male ma non piangeva mai. Aveva sempre l'ombra di un sorriso sul volto ed avrebbe anche riso se solo poi non avesse tossito per una buona mezz'ora. Lo sapeva che era arrivata la sua ora, lo sapeva da quel giorno che le dissero cosa aveva contratto.
Sapeva che sarebbe morta.
Aveva il sangue di Tevi che le scorreva nelle vene, sì, era forte, ma non abbastanza. Aveva perso tutta la sua grinta da anni, secondo i medici era durata più del previsto.
Era estate. Era appena cominciata l'estate e si sentiva nell'aria l'odore di libertà, di salsedine, di mare, di crema solare. Tutti erano elettrizzati, carichi, tutti tranne Alice; non sapeva nemmeno in che anno fossero, nemmeno se fosse mattina o sera, per lei le giornate erano tutte uguali, tutte bianche come le pareti della sua camera. La luce non entrava mai, le dava fastidio il solo pensiero.
Però lei aveva un'altra cosa, che le illuminava la giornata meglio di qualsiasi lampada a LED o stella lontana anni luce: aveva Clelia.
Quel giorno indossava un vestitino a fiori a fascia e sotto portava un costume verdeacqua stupendo, era appena tornata dal mare, c'era stata con una compagna di classe e la madre. Le gote le aveva un po' rosse, così come le spalle, ed aveva i capelli leggermente arricciati ed impicciati per via della salsedine. Se solo avesse saputo che quello sarebbe stato l'ultimo giorno con sua madre avrebbe mandato all'aria tutti i piani per stare sotto le coperte al buio con lei. Che te ne fai del mare e del sole se dentro hai un cupo temporale?
Alla bambina venne il suo primo attacco di panico, e quando il padre e il fratello tornarono nessuno la poteva toccare senza che cominciasse a piangere e ad urlare. Fu un'esperienza a dir poco traumatica per lei e non la superò mai a pieno, ma col tempo si abituò all'idea. Dopo anni però, per molto tempo non riusciva a ripetersi altro se non: dovevi promettere, stronza.

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