Ospedale

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Il campanello suonò ed Alice si precipitò ad aprire, ritrovandosi in meno di un secondo in un abbraccio a tre. "Siete degli stronzi." Riuscì a dire mentre una lacrima le percorreva il viso. Le erano mancati quei due stronzi che ormai facevano parte della sua quotidianità. Ci era affezionata e loro erano affezionati a lei.
Andarono in cucina e mise a fare il caffè, nel frattempo chiacchierarono del più e del meno senza sbilanciarsi troppo, senza entrare nei particolari. Natale e Luca avevano paura di quello che avrebbero potuto scoprire, avevano paura che Alice avesse fatto una cazzata dopo l'altra e le loro non erano semplici fobie infondate, sapevano che per la sopravvivenza della bambina lei avrebbe fatto di tutto. Anche vendere un rene.
Rimasero lì a pranzo, ed il pomeriggio giocarono con i bambini mentre Alice faceva alcune faccende di casa, le sembrava il minimo siccome non contribuiva alle spese in nessun modo. Aiutava come meglio poteva.
Quando Giorgio rientrò e vide Nat e Luca in casa strabuzzò gli occhi, perché non si aspettava che risolvessero così in fretta e senza spargimento di sangue. Alice andò verso di lui e gli lasciò un bacio sulla guancia per salutarlo.
Si sedettero tutti attorno al tavolo e stettero in silenzio per un po'; era uno di quei silenzi sacri, da non profanare, era un silenzio per riflettere sui propri errori e su come rimediare.
Natale, però, non ci sapeva stare zitto: "Ragazzi, io e Luca vi volevamo dire una cosa..."
Alice alzò un sopracciglio, Giorgio li guardò in attesa. "Avevamo intenzione di partire." Continuò Nat.
"Dove andreste? Per quanto?" Chiese la rossa, alternando lo sguardo fra i due.
"Per sempre, Ali." Si intromise Luca. "Fra sei mesi partiamo e ci trasferiremo, non sappiamo ancora bene dove in realtà. Pensavamo a una di quelle città da cartolina, molto colorate e belle soprattutto d'inverno."
"Da quanto ci state pensando?" Chiese il biondo, tamburellando le dita sulla superficie di legno del tavolo.
"Due, tre settimane?" Rispose incerto Natale. "Che sono queste facce? Dovreste essere abituati a non vedermi per mesi, anni. Inizialmente neanche vi dicevo quando partivo o dove andavo. È un viaggio come tanti altri."
"No, Nat, è un trasloco. Te ne vai per sempre, ve ne andate per sempre. Vi dovrei dire bravi? Portatemi con voi? Restate? Cosa vi aspettavate, coglioni? Che non ci sarei rimasta male neanche un po'?!" Alice stava cominciando a scaldarsi ed alzare la voce, Giorgio le prese la mano e la strinse, incoraggiandola a farsi forza.
Ci fu un attimo di silenzio in cui la rossa lanciava occhiate di fuoco ai due uomini, mentre il biondo cercava qualcosa da dire per sdrammatizzare. "Ma... è tipo una luna di miele, la vostra?" Chiese Maffei, scatenando le risate di tutti.

Quell'appartamento che di giorno era confusionario, quasi un porto di mare, la sera era silenzioso come se fosse vuoto. Giorgio ed Alice erano abbracciati, nel letto, scambiandosi qualche effusione di tanto in tanto. "Amore." La chiamò il biondo, accarezzandole la schiena.
"Eh dimmi." La voce di Alice era stanca, e l'uomo non la biasimava di certo.
Si mise sopra di lei, le accarezzò le guance con i pollici e le sorrise raggiante. "Facciamo un bambino?" Strofinò il naso contro quello della donna, assumendo un'espressione dolce e piena di speranza.
"Ma che sei pazzo!?" Lo scansò, gli occhi le erano usciti fuori dalle orbite.
La scoprì e cominciò a farle il solletico, facendola ridacchiare sommessamente, poi le baciò il ventre e la guardò dal basso inarcando le sopracciglia. "No, Maffei, nemmeno fra mille anni. Vuoi far scoppiare la terza guerra mondiale?" Sbuffò, pensando a quello che avrebbero fatto Clelia e Paolo nel sentire la notizia; le acque per il momento erano calme, ma chi poteva prevedere il futuro?
"Esagerata. Vedrai che prima o poi Paolo non ce l'avrà più con te e ti vorrà bene." La rassicurò accarezzandola dolcemente.
Lei gli sorrise, ma dopo appena un secondo il suo viso si contrasse in una smorfia di dolore. Urlò, prendendosi poi il labbro inferiore fra i denti. "Oh, Ali, che cazzo c'hai?" Giorgio si alzò, nel panico, e vide le lenzuola macchiate di sangue così come la sua maglietta. Alice si guardò fra le gambe e quasi svenne alla vista di tutto ciò. "Andiamo all'ospedale." Alice tremava dalla paura, già sapeva tutto. Eppure sperava che non succedesse niente del genere.
Svegliò i bambini, li caricò in macchina insieme alla madre e poi li portò a casa di Luca, cercando di non dilungarsi troppo.
Al pronto soccorso spiegò velocemente all'infermiera che aveva avuto una grossa perdita di sangue, e che non era dovuto dal ciclo sicuramente, così questa ci pensò su qualche minuto e gli chiese se per caso fosse incinta; Giorgio rispose prontamente di no, ma poi disse che non ne era completamente sicuro. La visitarono il prima possibile, mentre l'uomo si torturava in sala d'attesa, percorrendo su e giù il corridoio, passandosi le mani fra i capelli, tamburellando le dita sulle ginocchia.
Passò un'ora, due, nessuno gli diceva niente. Si addormentò su quelle sedie di plastica scomode e venne svegliato dal rumore di una porta che sbatteva, era quella in cui stava Alice. "Dottore la prego, me la faccia vedere." Disse con voce assonnata, non appena vide la figura dell'uomo.
"Sta dormendo."
"Cos'è successo?" Chiese apprensivo.
"È un parente?" Il dottore alzò un sopracciglio nel porgergli questa domanda.
"Sono il fidanzato. Non ha parenti."
"La sua ragazza ha avuto un aborto spontaneo... era incinta di otto settimane."
Sussultò. Non riuscì a proferire parola, perché non era lui il padre. Comunque restò dispiaciuto dalla notizia, era pur sempre una vita dentro al grembo della sua ragazza.
"Perché ha abortito? Non lo sa?"
"Figliolo, non so come dirglielo... ma ha l'AIDS. Dovrebbe anche lei fare dei controlli per verificare se è affetto dalla malattia..." smise di ascoltare. Da quanto? Non si poteva sapere. E se ce l'avesse avuta pure Clelia? Pure lui, e di conseguenza Paolo?

Alice si buttò giù nel sentire la notizia. Non si alzava mai dal letto, ma nonostante questo si ammalava ogni due per tre. Febbre, broncopolmonite, influenza intestinale. Era diventata pallida e Giorgio non sapeva cosa fare.
Era l'unica ad essere affetta dall'AIDS, perciò l'aveva contratta dopo la nascita di Clelia e Giorgio non l'aveva perché l'ultima volta aveva utilizzato il preservativo.
Non si sapeva bene da quanto ce l'avesse ma il dottore disse che forse ce l'aveva da un bel po', basandosi sui sintomi. Questo però non gli era dato sapere, siccome potevano variare da persona a persona.

Era nel letto con lei, stranamente non era influenzata. "Giorgio," lo chiamò con voce roca.
"Dimmi, piccola."
"Non ce l'ho da molto tempo... ma pensavo di potercela fare da sola, senza coinvolgerti." Tossì.
"Tu lo sapevi?"
"Sì, amore... mi dispiace non avertelo detto."
"E sapevi di essere incinta?" La sua espressione era molto amareggiata, non pensava di poter essere così cieco. Non pensava che lei lo potesse tenere all'oscuro di cose così importanti.
"Sì, così come sapevo che non era tuo. Stavo solo cercando il coraggio di abortire, ma penso che non lo avrei mai trovato."
Giorgio la strinse a sé, una lacrima gli solcò il viso e poi un'altra ed un'altra ancora, scesero senza più fermarsi.
"Lo sai che morirò, l-lo sai vero? Devi prenderti cura dei bambini. Per favore, non ti buttare giù come sto facendo io. Crescili come avrei voluto farlo io."
"Non parlare come se stessi per morire." La rimbeccò.
"Oh, Giorgio... ma ormai..." lo guardò negli occhi, sospirò. "Ormai io sono già morta." Disse asciutta.

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