Pilot.

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Sono Hermione Granger, ho ventitré anni e lavoro come bibliotecaria in una libreria, con gli esami dati nel mondo magico, non ho raggiunto un punteggio che servisse per un pó ad allietare il mio confuso stato mentale.
Cammino fra gli scaffali e faccio scorrere le dita su ognuno di essi leggendo i titoli dei libri, per constatare che siano perfettamente in ordine, poiché ho avuto modo nei tre anni che ho trascorso qui, di impararne i titoli e la disposizione.
Nell'ultima guerra avvenuta nel mondo magico, che ha avuto come conseguenza la morte di molti coraggiosi maghi e streghe,
ho fatto la mia parte come tutti si aspettavano, ho impiegato le mie energie, il mio cervello, il mio spirito, e il mio corpo, e anche se questo è servito a far si che il Signore Oscuro implodesse in una morte rapida, percepisco ancora un macigno sul petto.
Al termine dello sterminio, ho smesso di lottare contro il mondo che mi circondava, ho allentato il ritmo con cui studiavo, ho abbandonato gli amici e in questa cerchia rientrò anche Ronald, l'ho mollato non appena le mie labbra si sono dibattute dal mutismo in cui ero caduta,
che egoista è stato.
Così ho abbandonato il mondo magico, dopo i non eccelsi risultati agli esami ho radunato le mie cose, e mi sono smaterializzata in una piccola cittadina di Londra, perché avrei voluto ancora aver a che fare con le persone che mi hanno straziato l'anima, che mi hanno portato via ogni ricordo felice, ogni gioia presente nel mio quotidiano? E così mi ritrovo qui, nei panni di una piccola bibliotecaria.
Vengo trascinata via dai miei pensieri dal tintinnio del campanello posto sopra la porta di entrata, quello che indica l'arrivo di un cliente, il primo in questa lunga giornata.

"Signore cosa desidera?"

La voce di Claire mi arriva chiara alle orecchie, segno che sta parlando con un nuovo cliente, sento uno sbuffo e una voce familiare mi fa raggelare sul posto.

"Mi è stato riferito che Hermione Granger lavora qui, esatto?"

Il rumore di passi mi fa intuire che Claire abbia annuito, cammino e mi volto verso l'entrata, non appena la figura dell'uomo a cui sapevo appartenesse la voce mi si palesa dinanzi, un tonfo ai miei piedi fa tremare le assi del pavimento, abbasso lo sguardo accarezzando con gli occhi la copertina del libro che reggevo
nelle mie mani.

"Signorina Granger..."

Impreco mentalmente contro i nomi di divinità che mi sovvengono in questo momento, mi porto una mano alle tempie massaggiandomele tentando di calmare il battere improvviso che si è scatenato nel mio capo, dopodiché faccio cenno con un dito all'uomo dinanzi a me indicandogli la porta sul retro.
Cammino a passo svelto e il rumore dei suoi passi che seguono i miei mi fa capire che abbia intuito e mi stia seguendo, ridacchio mentalmente di una risata isterica, almeno quell'uomo non ha perso l'intelligenza di cui tanto si vantava.
Apro la porta lasciandola aperta cosicché lui potesse passare dopo di me, non appena i miei piedi incontrano il duro asfalto della strada
e un alito di vento mi sfiora il viso, chiudo gli occhi e rilasso le dita, aspetto che alle mie orecchie arrivi il suono cigolante della porta che viene chiusa e poi mi volto.

"Che razza di scherzo è questo?"

"Alcuno scherzo, Granger"

Sputa il mio cognome come se stesse pronunciando il nome di una malattia mortale e altamente contagiosa,
le dita mi prudono tanta è la voglia di sferrargli un pugno, chissà se apprezzerebbe i modi babbani di discutere.

"Minerva ti vuole."

"Ho chiuso."

Un risolino sfugge alle mie labbra e così porto una mano a coprirmele per impedire che qualsiasi altro suono possa sfuggire ad esse, incrocio il suo sguardo per un attimo schiocco la lingua contro il palato e mi dirigo nuovamente verso la porta, appoggio la mano sulla maniglia, e sento il braccio venir artigliato da una mano.

"Leva quella mano da li..."

Sussurro mentre la voglia insana di ucciderlo qui, in questo vicoletto dietro una libreria, di abbandonare qui il suo cadavere in un luogo scuro e austero,
in modo che nessuno possa mai sapere della tragedia.

"Ascolt.."

"Levami le mani di dosso!"

Sono esplosa in un urlo dolorosamente furioso, l'ho afferrato per il bavero della giacca e di conseguenza sbattuto contro l'appiccicoso e lurido muro della stradina, puntando con una strana freddezza, che avevo imparato a riconoscere come mia, la bacchetta alla gola.

"Non osare dire a me, di ascoltare. Non osare.- Percepisco il suo battito regolare, come sempre d'altronde,
e questo mi fa irritare più di quanto non lo sia già, faccio una smorfia con le labbra e punto il mio sguardo nel suo- Ora prendi la tua aura oscura e va via di qui!"

Lo lascio andare e mi allontano di qualche passo distogliendo lo sguardo, mi passo una mano fra i capelli portandomeli all'indietro, trovando ancora strano la mancanza di quella folta capigliatura che avevo un tempo, quando dai un taglio radicale alla tua vita, non puoi che dare via anche i tuoi capelli.
Rimetto la bacchetta al proprio posto e mi dirigo nuovamente verso la porta,
la spalanco e quando sto per chiuderla sento nuovamente la sua voce giungermi alle orecchie.
"Per quanto mi rammarichi dirlo, ad Hogwarts c'è bisogno di te."

Porto la bottiglia alle labbra lasciando che il liquido amaro mi scivoli giù per la gola, irritando le mie papille gustative, getto il capo all'indietro mentre con la mano con la cui non reggo la bottiglia, avvicino la sigaretta alle labbra inspirandone il contenuto. Mio Dio! La testa mi pulsa come se stessi ascoltando da ore il suono di un martello pneumatico che sbatte contro il muro, apro gli occhi e guardo la foto sul tavolino dinanzi a me, l'unica in tutta la casa, vi è una cornice con all'interno due foto, Io e i miei genitori, ed io Harry e Ronald; mi ricordano chi ero una volta, e voglio conservare almeno un piccolo pezzo della animo che avevo allora.

"Fanculo. Che si fottessero!"

Mi alzo barcollando finendo per inciampare negli stivali di pelle ai piedi della poltrona, borbotto una nuova imprecazione e continuo a camminare verso la mia camera, prendo un borsone ed inizio ad infilare alla rinfusa i vestiti che ci sono nell'armadio con tanto di scarpe e oggetti personali.
Inizio la ricerca dei miei anelli mentre recupero le scarpe nel mio piccolo salone, saltello in giro per la stanza spegnendo la sigaretta che ancora tenevo fra le labbra, indosso una gonna, anche se forse partire con la puzza d'alcool non sarebbe stato un buon biglietto da visita, e con il borsone e lo zaino sulle spalle lascio l'appartamento, fissando un biglietto sulla porta. Mi smaterializzo.
Un senso di nausea mi assale improvvisamente non appena i miei piedi toccano il terreno, infondo era da anni che non mi smaterializzavo per spostarmi in qualche luogo, porto una mano alla bocca ordinandomi di ricacciare indietro l'acida bile che sento in gola, sono costretta a spostar la mia attenzione all'enorme cancello che mi sta di fronte, che si apre senza fare alcun rumore, perdendomi a guardare una figura in verde che mi aspetta sorridente dall'altra parte, le faccio un cenno con la mano e inizio a camminare. Sono a casa, la mia tetra, infelice e subdola casa.


NOTE DELL'AUTRICE:
Oh Dio! Quanto mi era mancata questa storia.
*Per chi non l'avesse capito, è la revisione di: "Finalmente anche io posso credere ad un finale felice con te."
Sono soddisfatta al massimo del Pilot di questa storia, e per chi avesse letto la storia originale,
avrà sicuramente notato che la revisione é alquanto diversa da quella originale.
Mi aspetto che voi siate sinceri nelle recensioni, ditemi cosa ne pensate davvero.
Ci "becchiamo" al prossimo capitolo! (Si spera!)

"Finally I can belive in a happy ending with you." [ITA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora