Ero nervosa. Perché non riuscivo a scrivere? Perché non scattava la molla? Di questo passo avrei fatto una terribile figura. Avevo deciso di presentare una mia relazione in allegato alla domanda d'iscrizione per l'università, ma in quel momento non riuscivo a buttar giù nulla. Ero come paralizzata. Le idee e l'ispirazione scarseggiavano. Così non andava bene, dovevo cercare di sbloccarmi.
In quel momento il mio cellulare prese a suonare allegramente. Risposi senza leggere il mittente .
«Pronto?».
«Ciao, Jess! Tra venti minuti sarò sotto casa tua, sei pronta?».
«Pam! Ma perché? Avevamo un appuntamento?».
«Ma come? Non dirmi che ti sei dimenticata?»
«Di cosa, scusa?».
«Jessica!!! La festa di Emily!!!!».
Non potevo crederci.
«Pam, te l'ho già detto: io non ci vado da quella e non cambierò idea adesso!».
<<E dài, non fare l'asociale! C'è anche Kia qui con me!».
«Kia è lì? Ma non doveva vedersi con... Come si chiama quello?». Dall'altra parte della cornetta sentii una risata fragorosa.
«Ross, se è lui che intendi».
Mi arrivò all'orecchio la reazione piuttosto scomposta dell'amica.
«Kia mi sta dicendo che sei fuori strada: non c'è mai stato niente fra loro
due» replicò con un tono volutamente incredulo.
«Se lo dice lei! Comunque grazie, io resto a casa, ho di meglio da fare!».
«E va bene, hai vinto tu!» rispose la mia amica con tono rassegnato. «Vorrà
dire che faremo un salto all'Old Forge Tavern. Basta è che esci dalla tua dannata tana». Quindi riattaccò, prima che avessi il tempo di rispondere.
Una cosa che mi dava sui nervi. Pamela – Pam – la conoscevo da quando avevo sei anni, Kia dieci. Erano le mie amiche d'infanzia, con cui avevo litigato e rifatto pace cinquecento volte. Sempre presenti quando avevo bisogno, così come io per loro. Le vedevo e le sentivo quasi ogni giorno, da anni. Nulla era cambiato fra noi.
Pam era bellissima: alta poco più di me, formosa, con lunghi capelli biondi e due occhi grandi color nocciola, sempre truccati alla perfezione. Era divertente , esuberante, sexy e sicura di sé.
Kia, invece, nonostante non fosse altissima era assai graziosa, con i capelli corti neri che abbelliva quasi sempre con insoliti accessori colorati, retaggio della cultura della sua terra. La sua famiglia, infatti, era giapponese e si era trasferita in Scozia quando Kia andava all'asilo. I suoi gestivano un ristorante di sushi la cui fama aveva superato i confini di North Berwick. Kia era simpatica, leale, brillante e si distingueva da Pam per la sua dolcezza, anche se a volte era forse troppo diretta.
Io, invece, avevo un carattere forte – me lo dicevano tutti – ma non avevo ancora ben capito quali pregi avessi. Ammesso che ne avessi qualcuno. Ah, sì, ero intelligente e studiosa, su questo non ci pioveva, come dimostravano le numerose richieste di aiuto scolastico che ricevevo da parte dei miei compagni, tanto che a volte mi sentivo sfruttata per la mia disponibilità. Da qualche tempo, tuttavia, avevo imparato a ribellarmi quando dall'altra parte qualcuno esagerava.
Difettavo – di questo ne era certa – in personalità. Quasi sempre, soprattutto in pubblico, mi sentivo come un pesce fuor d'acqua. In compagnia di Pam e Kia, poi, la situazione tendeva a peggiorare. Pam era conosciutissima per la sua esuberanza, allegria e per le sue piacevoli conquiste maschili. Kia, se possibile, ancor di più, grazie anche al suo ruolo di direttrice del giornale scolastico. Con loro apparivo come l'elemento inutile senza qualità, la classica ragazza asociale.
Ma avevano ragione loro: dovevo uscire dalla mia tana! Così, raccolsi i capelli in una coda di cavallo, indossai un maglioncino verde scuro a girocollo, un paio di jeans stretti che infilai dentro a degli stivali bassi neri e il cappottino blu. Completai l'opera con un filo di lucidalabbra e due gocce di profumo. Alla fine mi guardai allo specchio: ciò che vidi mi piacque assai poco.
Ero abbastanza alta per la mia età, avevo i capelli rossi, un fisico snello e la carnagione chiara con qualche lentiggine sparsa sulle guance. Ma non mi sentivo bella. Proprio per niente. E non era solo la mia sensazione: di fatto, non avevo nessuna esperienza con i ragazzi.
Raccolsi il cellulare e il portafoglio, li infilai in una borsetta dorata che misi a tracolla e uscii dalla camera. Scesi le scale ed entrai in soggiorno. Ciò che vidi nella stanza mi lasciò a bocca aperta.
Ellison, dieci anni ancora da compiere, osservava orgogliosa il modo con cui aveva conciato papà. Bocca, guance e fronte del mio genitore erano infatti così impiastricciate di ombretti e rossetti che il suo viso paffuto assomigliava alla tavolozza di un pittore.
«Esci?» chiese papà, come niente fosse.
«Ehm... Sì, daddy. Con Pam e Kia. Mi passano a prendere e poi credo che andremo al pub».
«Lo so che esci con loro. Dimmi solo quando esci con qualcun altro». «Qualcun altro, chi?» domandai maliziosa.
«Col tuo fidanzato!» disse con voce stridula e caramellosa Ellison.
«Non fare la sciocchina, sorellina! Lo sai che non ho nessun fidanzato!»
replicai con un finto tono di rimprovero.
«Ehi! Ma è lui che vuole sapere quando esci con un fidanzato, non io!» ribatté Elly, guardando papà con i suoi grandi occhi azzurri, così simili a quelli di mamma.
«Giusto Elly. Quando tua sorella avrà il fidanzato».
L'irritazione lasciò il posto alla tenerezza: avevo proprio una bella famiglia. «Certo, daddy, che fai una gran figura conciato così».
«Lo so, mi sento molto fashion... merito della truccatrice!» e guardò amorevolmente Ellison. Scoppiammo a ridere tutti e tre. Nonostante la calvizie, i chili di troppo, la media statura, gli occhi piccoli e i baffi sottili, ai miei occhi papà era un uomo bellissimo. Era giocherellone, carismatico, divertente, dolce, simpatico ma sapeva essere anche un uomo distinto. Insomma era un po' come l'uomo dei sogni, o almeno quello che avrei desiderato avere accanto. Beh, come aspetto estetico, in effetti, avrei dovuto lavorarci un po', ma quanto a personalità era un vero drago.
Entrai in cucina, salutai mamma che era impegnata con le faccende domestiche, e uscii di casa. A differenza dei giorni precedenti non faceva molto freddo e la neve si era quasi tutta sciolta. Era trascorsa una settimana dal mio "incidente" e quello strano tipo che aveva rischiato di investirmi non lo avevo più incontrato. Mi ero chiesta da dove venisse – dall'accento e dal modo di vestire non sembrava scozzese – e avevo concluso che si trovasse in paese per lavoro. Magari, poi, la Porsche non era nemmeno la sua, ma solo noleggiata. Il fatto che continuassi a pensare a quel ragazzo così supponente e antipatico mi lasciava perplessa. Non riuscivo infatti a capire perché non lo avessi definitivamente cancellato dalla mia mente.
Mi guardai attorno, ma del fuoristrada di Pam non c'era traccia. Allora mi sedetti sulla panca in giardino ad aspettare. La strada era tutta addobbata e illuminata per il Natale, così come il mio giardino e le case dei vicini. Nell'attesa, assaporai a occhi chiusi quella corrente di magia che portava sempre quel periodo, sperando di trovare un'ispirazione per il mio scritto.
Il suono del clacson mi riportò alla realtà: Pam e Kia erano arrivate. Salutai allegra le mie amiche e salii sul fuoristrada marrone di Pam, regalo di suo padre. Erano entrambi benestanti, e anche per questo non mi capacitavo come due fantastiche e ricche ragazze frequentassero una come me che, di certo, non nuotava nell'oro.
«Mi dispiace per il ritardo: è tanto che aspetti?» chiese Kia con voce squillante. «Non molto, tranquilla» risposi.
«Il fatto è che Pam non finisce mai di farmi fare figuracce!».
«Ma cosa dici?» urlò Pam. «Ho solo un po' gli flirtato col ragazzo del market».«"Un po' flirtato"» le fece il verso. «Sì, come no?» replicò Kia ironicamente. «Ehi! Non ci sto capendo niente!» le interruppi. «Volete spiegare anche a me?».
<<Te lo dico subito: Pam è scesa dall'auto per comprare le sigarette e una
bottiglia d'acqua ma non tornava più così, non vedendola arrivare, sono scesa dalla macchina e – ci credi? – era lì dentro che faceva la gattamorta con Jimmy, il tipo del market».
«Ma dài! Gli ho solo fatto un po' girare la testa, così mi ha mollato senza problemi il suo numero del cellulare. In fondo è carino, non trovi?».
«Se lo dici tu» replicò Kia.
«Sei solo un'invidiosa, ammettilo!» la sfidò scherzosamente Pam.
Quelle due mi facevano troppo ridere. Battibeccavano sempre: Kia con voce
squillante e Pam con tono duro. Erano stupende, oltre che divertenti.
«Ehi! Dove stiamo andando?» domandai un po' allarmata, accorgendomi
che quella non era la strada che portava al pub.
«A casa di Emily, Jess. Siamo quasi arrivate» rispose Pam.
«Cos'è, uno scherzo? Eppure mi sembra di essere stata chiara: io non metto
piede in casa di quella puttanella» gridai.
«E dài, non fare così! È solo una festa! Mica devi andarci a letto» rispose Pam. «Ci mancherebbe! Comunque, io non vengo! E sapete tutte e due perché!». «Andiamo, non puoi vivere di rancore, lo dici sempre tu che fa male, che
divora l'anima».
«Come sei poetica Pam!» disse Kia.
«Basta fare le sceme!» gridai. «Se volete andare lì, siete libere di farlo, ma
prima riportatemi a casa!».
«Stai scherzando? Non penserai ancora a quella storia?» domandò Kia. «Non penso proprio a nessuna storia. Se quel bastardo è andato a letto con lei, è la chiara dimostrazione che è come tutti gli altri: tanto fumo e niente arrosto» ribattei irata.
«Esagerata! Non fare di tutta l'erba un fascio. Eppure una volta di quel bastardo, come lo chiami tu, c'eri innamorata!» intervenne Pam, guardandomi dallo specchietto retrovisore.
Colpita! Ogni volta che una di loro due mi diceva questa cosa, non riuscivo
più a controbattere. Anche perché era la verità.
Kia si girò e mi posò una mano sul ginocchio, sorridendo dolcemente. «Jess, meriti di meglio, è evidente. Ma ora lascia perdere, va bene? Andiamo
a divertirci e non pensarci più. Peggio per lui!».
«Ben detto, Kia! Non sa cosa si è perso quel caprone! Se a te preferisce quella
bambola di plastica di Emily vuol dire che non merita di meglio».
«Me la pagherete!» replicai adirata, ma rassegnata.
Appena scesa dall'auto fui travolta dai ricordi. L'abitazione di Emily Taylor
era una villa bianca, immersa nel verde, poco fuori città: la dimora della perfezione, così come perfetta era Emily, la ragazza più affascinante del liceo. Era bella di viso e perfetta di corpo, anche se Pam sosteneva che si fosse ritoccata in vari punti. Alta, magra e formosa, con lunghi capelli neri e labbra carnose. Aveva grandi occhi verdi e un naso piccolo all'insù. Oltre a essere magnifica e ricca sfondata, vantava un numero esorbitante di ammiratori e conquiste. La questione mi era sempre stata totalmente indifferente fin quando non me la ritrovai come rivale.
Accadde tutto la primavera precedente, quando presi una cotta per quel maledetto bastardo di Tom Fox, un nome da fumetto, me ne rendo conto, ma comunque un gran bel ragazzo: alto, muscoloso, capelli castani e occhi scuri, campione indiscusso della squadra scolastica di rugby.
Con me fu delizioso, gentile e modesto. Almeno per un po'. Arrivammo entrambi primi al concorso di letteratura classica indetto dal liceo e fu in quell'occasione che lo conobbi più a fondo. All'inizio pensai solo che fosse un tipo come tanti, uno che si vantava, grazie anche all'ammirazione palese di un sacco di oche che se lo mangiavano con gli occhi.
Accadde, poi, che il consiglio scolastico assegnò a entrambi il compito di metter giù il discorso per il cinquantesimo anno del liceo. Fu così che cominciammo a trascorrere insieme molti pomeriggi, col risultato che, giorno dopo giorno, i miei sentimenti verso di lui passarono dall'amicizia a qualcosa di più intenso. Di colpo, mi scoprii innamoratissima.
Lui era molto dolce e un pomeriggio cercò di baciarmi. Le nostre labbra si sfiorarono appena perché, proprio in quel momento, fummo interrotti dalla suoneria del suo cellulare.
La sera della presentazione del discorso accadde il disastro. Avevo deciso di dichiararmi, così mi rinchiusi in bagno a provare ad alta voce le parole che volevo dirgli. Lo feci per almeno trecento volte, funché non mi accorsi, con orrore, che non ero sola. Dietro di me, appoggiata al muro, c'era Emily Taylor che mi fissava con una faccia divertita e un ghigno sarcastico. Come me ne accorsi lei fece un risolino malvagio e se ne andò via sculettante, lasciandomi lì dentro come un'ebete.
Avrei dovuto dare più peso a quell'evento. Imbarazzatissima, mi sistemai e, dopo aver respirato profondamente, presi il coraggio e raggiunsi, trepidante ed emozionata, il retroscena del palco della sala teatro del liceo. Ciò che vidi, in quel momento, mi spezzò il cuore.
Emily stava baciando Tom e lui la ricambiava con grande trasporto. Tutti i miei sogni svanirono in un attimo. Mi sentii sprofondare. Che illusa! Cosa ne erano stati di quei pomeriggi trascorsi tra dolcezza e armonia? Cosa ne era stata di quella magica corrente che sembrava unirci? E delle sue parole che mi rivolgeva, facendomi sentire unica e speciale? Tutto un miraggio? Io ero stata ingenua, lui falso, imbecille e cattivo. Un bastardo, appunto.
Quelle lingue aggrovigliate mi dettero il voltastomaco, così fuggii via. Mollai anche il discorso. Mollai tutto. E quella sera, che mi ritrovavo dinanzi ad una villa illuminata a giorno, mi toccava riabbracciare quel passato che ancora non avevo finito di sotterrare.