Mi svegliai alle otto e mezzo, ancora scossa e intorpidita. il cellulare era pieno di messaggi e chiamate senza risposta di Kia e Pam. Chissà com'era andata la festa? Di sicuro, comunque, se la erano spassata più di me. Promisi a me stessa che le avrei contattate in mattinata.
Mi alzai e passai davanti alla cameretta di Ellison: dormiva beata con un'espressione felice. La guardai con invidia: quanto avrei voluto tornare bambina! Quando la mia vita era solo coccole e giochi, quando d'estate andavamo in vacanza sulle Highlands, a pescare nel Loch Ness con papà e a visitare castelli. Quelle estati profumavano di fiori, di campi verdissimi, di pioggia, di fish&chips, di foto e di risate. Che nostalgia!
Il profumo di uova e bacon era irresistibile. Mamma, in vestaglia rosa e i capelli legati, beveva il caffè e leggeva il giornale. Il suo meraviglioso sorriso fu il miglior buongiorno possibile. Le andai incontro e la abbracciai. Lei si alzò e inizio a prepararmi la colazione. Col sorriso sulle labbra.
«Dovevi esserci ieri sera» esordì. «Io ed Elly abbiamo conciato papà per le feste. Era spassosissimo, truccato a quel modo! Abbiamo fatto anche delle foto».
Annui, distratta. Ero persa nei miei pensieri.
«E tu?» continuò. «Ti sei divertita ieri sera?». Nei suoi occhi lessi un guizzo di curiosità.
«Insomma...». Non avevo molta voglia di parlare di ciò che era successo, così rimasi sul vago. «Io, Kia e Pam siamo andate a una festa a casa di una ragazza del liceo. Mi dispiace aver fatto tardi».
«Non preoccuparti, Jess. Io e papà ci fidiamo di te. D'altra parte tu sei sempre sincera, no?». Nella sua voce colsi una strana sfumatura. La cosa mi mise in allarme.
«Beh, certo! Perché mi fai questa domanda?».
Lei si alzò dalla sedia, poggiò la sua tazza vuota nel lavabo, il giornale sul piano della cucina e mi fissò a braccia conserte. Non sembrava arrabbiata, anzi. «Il fatto è che stamattina ho incontrato Miss Courtney...».
Mamma fece una pausa e il mio cuore cominciò a battere all'impazzata.
«E allora?». Non sapevo se ero più arrabbiata o in preda alla vergogna. «Cosa
ti ha detto quella vecchia pettegola!».
«Jessica! A me non interessa cosa dice lei. Io voglio sentire ciò che dici tu. Allora, è vero o no?».
«È vero o no cosa?» quasi gridai.
«Che un ragazzo molto carino ti ha accompagnato a casa e che sembravate
molto... intimi».
«Ti ha forse anche detto che ci sono andata a letto?» replicai acida. Mi alzai
spazientita, mentre mamma continuava a fissarmi in attesa di una risposta. «Ma...».
«"Ma" niente! Quel ragazzo mi ha solo riaccompagnato a casa!». Avevo le guance in fiamme. Era la prima volta che affrontavo un discorso del genere in casa mia.
«Allora è vero!» replicò sorridendo. Era così felice che quasi si mise a scodinzolare.
«Mamy, ti vuoi dare una calmata? Non è successo niente».
«È successo invece! Lo hai conosciuto a quella festa? Come si chiama? È carino?».
«Ti prego, lascia perdere» quasi singhiozzai. Se le avessi raccontato la verità avrebbe di sicuro smesso di essere euforica. Qualcuno stava scendendo dalle scale: riconobbi il passo di papà.
«Per favore» la supplicai. «Non dirgli nulla! Ti prometto che ti racconterò tutto».
Mamma mi fissò preoccupata. Papà stava entrando in cucina e io fremevo implorante in attesa della sua risposta. Sospirò e mi accarezzò il viso con una mano.
«Va bene. Appena sole, però, voglio sapere ogni cosa».
Ci abbracciammo con trasporto.
«Buongiorno, ragazze! Effusioni già di prima mattina?» la voce di papà inondò la cucina. Era buffo col suo pigiama a righe che spuntava dalla vestaglia.
«Geloso?» disse mamma.
«No amore, basta che ne resti anche un po' per questo povero vecchio» rispose, avvicinandosi e regalandoci un meraviglioso bacio a testa. Scoppiammo a ridere.
«A proposito, Jess» disse lui mentre affrontava le prime fette di bacon. «Avrei piacere che m'informassi quando esci con un ragazzo».
Io e mamma restammo a bocca aperta. Come diavolo lo aveva saputo? Non volevo neppure immaginare papà incollato alla finestra a spiarmi, mentre tornavo a casa a notte fonda. Eppure... eppure era l'unica soluzione possibile. Che vergogna! Chissà cosa avrà pensato! "Tanto a quest'ora dormono tutti". Sì, come no? Che stupida aver creduto alle parole di quell'idiota!
Abbozzai un sorriso e mi rintanai di corsa nella mia camera. Ormai ne erano al corrente tutti. Mancavano solo Ellison, Pam e Kia e la frittata era fatta. E io che non volevo farlo sapere a nessuno. Anche perché quella storia non avrebbe avuto seguito.
In quel mentre il cellulare iniziò a vibrare: era Pam. Mi sentii in colpa per non aver più richiamato né lei né Kia. Prima di rispondere mi preparai mentalmente a un terzo grado.
Non feci in tempo a dire "Pronto" che Pam m'investì come un diretto.
"Ehi, signorina! Lo sai che non sono riuscita a chiudere occhio per tutta la notte? E tutto per colpa di una cretina che ci ha mollate come due allocche a una festa e che non si è degnata di rispondere al telefono!". Era furente. "Hai idea di come siamo state in pena io e Kia? Si può sapere dove cavolo sei andata?".
"Dovete... dovete scusarmi". Ero mortificata. "Il fatto è che quando mi sono ritrovata Emily davanti non ce l'ho fatta e me ne sono andata".
"Potevi almeno venirci a chiamare!".
"Mi dispiace. Non volevo rovinarvi la serata".
"Figurati, cosa vuoi che sia! Fra un po' ci veniva un infarto! Quando ha visto che non rispondevi al telefono Kia voleva chiamare la polizia".
"Vi prego di perdonarmi, sono solo una stupida!". Sarei voluta sprofondare.
"Vabbé, almeno ti sei risparmiata la visone di Tom Fox e della sua ragazza. Dovevi vedere com'era brutta! Un'autentica latrina".
Per un attimo rimasi senza parole. Quel bastardo era andato alla festa in compagnia, mentre a me aveva detto... No, non voglio nemmeno pensarci. Che bastardo!
"E non è tutto. Il bastardo, quando la sua ragazza si è allontanata per rifarsi il trucco, ha avuto la faccia tosta di venire da noi e chiedere di te! Ha voluto sapere come stavi e cosa facevi. Ha anche detto che gli mancavi".
"Che dannatissimo figlio di puttana!"
"Wow! Che uscita di classe! Immagino che tu ci abbia finalmente messo una pietra sopra".
"Altro che pietra! Tom Fox è solo un lurido maniaco!" dissi mentre le immagini della sera prima mi scorrevano davanti agli occhi.
"Cosa intendi dire?".
Raccontai a Pam, tra le lacrime, la mia disavventura. Particolari compresi. "Che fottutissimo schifoso! Se solo avessi saputo...".
Quindi le dissi anche dell'incidente di qualche giorno prima e di quello strano ragazzo che mi aveva salvato dalle grinfie di Tom per poi accompagnarmi a casa.
"Beh, almeno hai conosciuto un bel ragazzo. Però, scusa, potevi almeno farti lasciare il numero di telefono" rise divertita.
"Per quale motivo?".
"Beh, se non altro per ringraziarlo a dovere. Esistono tanti modi..." replicò maliziosa.
"Non esiste proprio!" ribattei, avvampando per l'imbarazzo. "Ma come? Non hai intenzione di incontrarlo di nuovo?".
"Naaaah. Ci siamo detti addio".
"Va bene, va bene, non insisto. Dài, devo andare: mio padre e quella smorfiosa della sua nuova donna mi aspettano a pranzo".
Non la invidiai: è da quando aveva tre anni che Pam era costretta a passare i week-end col genitore, un bell'uomo il cui hobby era collezionare femmine più vistose e appariscenti che mai.
"Va bene Pam. Ci vediamo domani a scuola".
"Uhm... vorrei ricordarti che in mattinata ci porteranno a visitare la BLAINE CORPORATION". Era una delle società bancarie più famose del mondo. "Non l'ho dimenticato. Così come non ho scordato che sarò io a prendere appunti per tutte e tre" chiosai.
Toccava ora a Kia. Niente telefono, però: era meglio affrontarla di persona.
Con lei, infatti, mi riusciva più facile aprirmi. Molto più che con Pam, amica adorabile, ma troppo superficiale e innamorata di sé stessa. Kia, al contrario, sembrava quasi una mamma: sensibile, disponibile, matura, sempre pronta a dare il consiglio giusto.
Mi feci una doccia, indossai una tuta nera, le converse e il piumino azzurro, mi spruzzai di profumo alla vaniglia, salutai mamma e uscii diretta al Sushi Jam, il ristorante giapponese dei suoi genitori, dove la mia amica e i suoi fra- telli passavano la domenica a dare una mano.
Quando transitai davanti alla casa di Miss Courtney non potei trattenermi dal lanciare un'occhiataccia alla sua finestra. Cominciavo a odiare quella maledetta ficcanaso con tutta me stessa.
Al Sushi Jam Kia stava seduta alla cassa. Aveva i capelli fermati da un cerchietto giallo e indossava la divisa del locale: maglietta bianca aderente con logo e pantalone nero. Era così concentrata su un quaderno pieno di numeri che non si accorse della mia presenza finché non le fui sotto il naso.
«Ciao».
Lei alzò lentamente la testa e mi squadrò dalla testa ai piedi. In un secondo la sua espressione virò dal sollievo alla rabbia.
«Buongiorno signorina. Tutto bene?». Glaciale.
«Ti prego di perdonarmi, Kia».
«Siamo solo state male per te, cosa vuoi che sia?». Era irritatissima.
«Mi dispiace tanto». Avevo il morale sotto i piedi. Come potevo essere stata
così insensibile? «È che ieri sera mi è successa una cosa che... Insomma sono qui per spiegarti tutto e chiederti un... consiglio!».
«Cosa ti è successo? Hai finalmente baciato un ragazzo? Per questo saresti anche giustificata, però la prossima volta lascia accesa la suoneria del cellulare».
«No, ciò che mi è accaduto è così difficile da raccontare» dissi impacciata. Kia incrociò le braccia in attesa, lo sguardo addolcito
«Sono tutta orecchie».
Appena le dissi di Tom lei sgranò gli occhi inorridita. Strinse i pugni dalla
rabbia, mentre le sue labbra cominciarono a tremare. Si addolcì solo quando le raccontai il seguito.
«Ti ha accompagnata a casa? Su una Porsche? Ma è stupendo!» disse tutta eccitata.
«Ma no, dài!» replicai imbarazzata. «Non è niente di che». «Ti piace?».
«Chi?».
«Il tipo misterioso!».
«È molto affascinante, il problema è che... insomma, ha venticinque anni, lavora e vive da solo... È una realtà così distante dalla mia. Solo che ora ho paura!» aggiunsi scrollando la testa.
«Di cosa? Di essere stata così fortunata?».
«Il fatto è che mio padre mi ha visto dalla finestra...».
«E allora?».
«Non so come dirtelo. Non mi era mai successa prima una cosa del genere». «Jess ascolta: hai quasi diciotto anni ormai e sei rimasta reclusa per troppo tempo. E non perché sei stupida o brutta, semplicemente perché non lo hai mai voluto tu».
«Voluto cosa?».
«Prestare attenzione ai ragazzi. Per te esistono solo la scuola, lo studio e la scrittura e le amiche. Sappi invece che è normale che un ragazzo possa accompagnarti a casa».
«Lo so ma lui è un... uomo. E poi è ricco, basta vedere la sua macchina. Il fatto è che non voglio più avere delusioni, come con Tom. Per questo gli ho detto addio».
«Ma non puoi paragonarlo a quel bastardo! Tu fai una tragedia di quella storia, quando in realtà non c'è stato niente fra di voi. Non eravate nemmeno fidanzati! E poi sai che perdita! Piuttosto, dimmi come si chiama questo bel tenebroso con la Porsche?».
«Non lo so. Non ci siamo presentati».
Kia era sbigottita. Giustamente.
«Wow! Questa storia però m'intriga. Ci verrebbe fuori un bell'articolo. Vedo
già il titolo: INCONTRI PARTICOLARI A NORTH BERWICK».
Ridemmo come due sceme. Poi la mia amica si fece nuovamente seria. «Sei davvero certa che non lo incontrerai un'altra volta?».
«Al cento per cento!» risposi decisa. In cuor mio, però, sentivo che l'avrei
voluto rivedere. Anche solo per un istante.
«Pam ha già fatto un film su questa vicenda» le rivelai.
«Sai com'è fatta quella? Lei s'innamora di ogni sorriso maschile che vede, ci
cuce sopra la sua storia e poi se ne dimentica. Tu invece sei diversa, hai bisogno di concretezza e, ora come ora, di una storia seria. Non sei tipo da flirt, non la sei mai stata».
«Sai, a volte vorrei essere come voi...».
«Jess, rimani come sei e non cambiare. Mai!» disse secca.
«Vorrei almeno aver avuto, come voi due, un ragazzo, prima di ritrovarmi come una monaca che all'improvviso ha deciso di uscire dal convento e cominciare finalmente a vivere».
«Vedi Jess. Io invece t'invidio perché almeno non hai ceduto al primo figlio di puttana che dopo due anni insieme ti ha preferito a una sgualdrina. Ora mi ritrovo a vagare in un limbo alla ricerca di quello giusto che sicuramente non troverò in questo cesso di paese».
«Kia, mi dispiace, sono una stupida».
«E invece ti capisco. Lo so che hai una voglia pazza di vivere e sognare. Lo so che pensi che se avessi avuto esperienze prima, ti sentiresti più sicura di te stessa. Ma, credimi, non c'entra nulla. Segui il tuo cuore».
«Kiaaaaa!». In quel momento una voce maschile la chiamò dalla cucina. Era suo padre.
«Arrivo!» rispose urlando. «Devo andare, Jess!». Ci abbracciammo.
Era veramente un amica speciale!