All'improvviso fummo investiti da due potenti fari. Tanto bastò perché Tom si fermasse. Mi voltai e riconobbi subito la Porsche nera laccata, da cui era appena sceso il ragazzo che aveva provato a investirmi. Indossava un paio di jeans strappati, un maglione chiaro e un cappotto grigio slacciato.
«Ehi, ragazzina! Hai bisogno d'aiuto?». La sua espressione era dura, decisa. «Non t'intromettere» replicò Tom. «Risali in macchina e fila via».
«Lasciala immediatamente o andrai incontro a grossi guai» fu la sua gelida
risposta. Quindi si avvicinò con un'espressione che non prometteva niente di buono.
Tom si fece silenzioso. Per un interminabile minuto sfidò l'altro, con lo sguardo, quindi si rialzò con gesti lenti e misurati e mi lanciò un'occhiata di disprezzo.
«Ne riparliamo un'altra volta» sibilò furibondo. E se ne andò.
Ancora distesa sull'asfalto, non potei fare a meno di pensare che il ragazzo che qualche giorno prima mi aveva quasi ucciso ora, invece, mi aveva salvato. Poi cominciai a piangere in silenzio.
«Ti senti bene?» mi chiese, appoggiando con dolcezza la sua mano sulla mia spalla. Lo fissai, riconoscente: il suo volto era diverso dalla prima volta che l'avevo visto. Ora sembrava angelico, bonario e... bellissimo. Mi persi in quegli occhi azzurri come il mare e il suo sorriso mi recò un immediato conforto.
«Sì... grazie» mormorai e piano mi alzai in piedi.
Mi vergognai per le lacrime, non volevo che il mio salvatore pensasse di me come una ragazzina priva di carattere. Così feci una cosa stupida: mi allontanai da lui senza dirgli una parola.
«Ehi, ma... dove stai andando?» domandò lui.
Mi sentii costretta a fermarmi e a voltarmi. Lui mi fissava con aria interrogativa, a braccia conserte. Era uno splendore! Per un attimo mi lasciai cullare da pensieri folli. Poi, però, la ragione riprese il sopravvento.
«Me ne torno a casa. Ti sono grata per essere intervenuto, ma non ho cambiato idea rispetto all'altro giorno: io con te in macchina non ci salgo».
Per tutta risposta lui sorrise. Un sorriso meraviglioso.
«Uhm... mi sembri un po' scossa. Sicura che vuoi tornare a casa a piedi da
sola a quest'ora? E magari abiti anche lontano da qui».
«Mezzora a piedi, anche se non capisco a te cosa interessa. Una settimana fa
stavi per uccidermi!».
«M'interessa perché mi dispiacerebbe se nel frattempo il tuo "spasimante"
si rifacesse vivo».
«Grazie, questa volta saprò cavarmela» replicai senza crederci. In effetti aveva ragione, ma non volevo ammetterlo davanti a lui.
«Uhm... insisto! Non posso permettermi di averti sulla coscienza». Quindi
si diresse alla Porsche, aprì la portiera e rimase in attesa che io accogliessi il suo invito. Il tutto senza smettere mai di sorridere.
Non credevo ai miei occhi: quel gesto da autentico gentiluomo mi fece capitolare. Naturalmente aveva ragione lui: se mi fossi ritrovata sola un'altra volta, Tom sarebbe potuto rispuntare e, questa volta, avrebbe avuto campo libero. Mio malgrado dovetti ammettere che quel ragazzo, nonostante tutto, mi dava un senso di sicurezza e fiducia.
«D'accordo! Però promettimi di andare piano» mormorai.
«Parola di scout» replicò, mettendosi una mano sul cuore.
«OK!» e sospirai accomodandomi in quel morbido sedile. Confesso che
mi sentii disorientata come non mai. Non sapevo se attribuire questo disagio all'episodio sgradevole di poco prima o ai pensieri che mi attraversavano la mente in quel momento. All'improvviso trovai adorabile il mio salvatore.
Era ormai buio fitto e a malapena vedevo gli alberi e le case che sfilavano dal finestrino. Mi sentivo ancora a disagio tra quei sedili di pelle beige e la musica soft in sottofondo. L'auto procedeva silenziosa e l'abitacolo emanava un profumo di muschio bianco. Il ragazzo guidava tranquillo, con sicurezza, rilassato, mentre la mia mente era in pieno tumulto. Io, lì, accanto a un ragazzo bello come un angelo, dentro una macchina da sogno, con una musica in sottofondo assai romantica. Forse stavo sognando.
«Va meglio?». La sua voce era profonda e dolce allo stesso tempo. Ma anche intensa e sensuale.
«Sì, grazie». Mi sentivo quasi in Paradiso. «Tu... sei sempre così?» aggiunsi titubante.
«Così come?» sorrise incuriosito.
«Prima tenti di uccidere le ragazze e poi salvi loro la vita. Chissà che strage di cuori fai!».
«A parte il fatto che non ho tentato di ucciderti... beh, no...non proprio...». Il suo bel sorriso cedette il posto a una smorfia appena impercettibile. Lo guardai perplessa: non era neppure pensabile che uno come lui avesse problemi con le donne.
«Comunque quel dannato bastardo non era un mio spasimante». «Cos'è allora? Un cuore spezzato? Un orgoglio ferito?».
«La seconda che hai detto».
«Un orgoglio pazzo di te, direi».
«Una volta era stato il contrario».
«Strano. A guardarti si direbbe che tu possa avere gusti migliori. Quello era solo un mascalzone».
«Come fai a dirlo, se nemmeno lo conosci, quello?» domandai piuttosto indispettita.
«Ne ho visti troppi come lui. Li riconosco subito ormai, mi basta osservare come camminano per capire che tipi sono e che cosa vogliono».
«Non è che ci volesse la sfera di cristallo» ribattei ironica. «Io ero sdraiata sull'asfalto e quello mi stava sopra a cavalcioni!».
«In effetti...». La sua bella risata fu contagiosa. Stavamo per arrivare a casa.
«Mi dispiace averti fatto fare tardi» gli dissi. Un po' di riconoscenza, in effetti, se la meritava.
<<Tranquilla. Per le mie abitudini è fin troppo presto».
«Allora sei un ragazzo fortunato, visto che i tuoi genitori ti lasciano tutta questa libertà. Per non parlare dell'auto» dissi schietta. Lui girò la testa verso di me con un'espressione stupefatta.
«Che c'è? Ho detto qualcosa di sbagliato?». «Scusa, ma quanti anni credi che abbia?». «Non saprei... Venti. Ventuno?».
Lo vidi storcere il labbro poco convinto. «Ventidue?».
Scosse un poco la testa.
«E dài, mica hai l'età di mio padre!».
«No, non credo» replicò ridendo. «Ci sei andata vicina comunque».
«OK, ventitré, basta mi arrendo. Non mi sembri così vecchio!».
«Ne ho venticinque. E non abito più con i miei da un pezzo. E la Porsche è mia».
«Beh, davvero un bel regalo!». Doveva essere uno stramaledetto figlio di papà.
«Sei fuori strada. Quest'auto l'ho comprata grazie al mio lavoro. Anzi, a dir
la verità, è solo la terza: in garage, infatti, ne ho altre due».
«Tutte Porsche?» domandai sorpresa.
«Oh no, certo che no. Ho anche un fuoristrada e una macchina molto più seriosa».
«Beato te! Io non credo che riuscirò mai a comprarmi nemmeno un'auto
usata, anche se vorrei tanto prendere la patente».
«E allora cosa aspetti?».
«Non lo so. Mi piacerebbe che mio padre m'insegnasse a guidare, ma non
ha mai tempo».
«Se vuoi posso insegnarti io. Gratis, naturalmente».
«Stai scherzando?». Pensai che sarebbe stato fantastico.
«No, sono serissimo. In effetti lo farei volentieri, ma a una condizione».
Lì per lì credetti che mi stesse per fare una proposta indecente. In quel caso gli avrei tirato un pugno sul naso.
«Quale?» sussurrai gelida, indurendo lo sguardo.
«Appena passi l'esame ti regalo una delle mie auto, così fai pratica. In effetti tre sono troppe per me e in garage ormai non mi ci muovo più».
«Cosa?». Non potevo credere alle mie orecchie. «Ma sei pazzo? Non puoi regalare auto come se fossero caramelle! Non posso accettare!».
«Perché no, scusa? Io voglio solo aiutarti».
«Ma è proprio questo il problema. Perché vuoi aiutare una sconosciuta?».
<<Ma tu ormai non sei una sconosciuta! È la seconda volta che ci incontriamo». Sorrise.
«Naaaah, non se ne parla nemmeno! E comunque fermati qui, siamo arrivati».
Incredibile! Quello voleva darmi lezioni di guida gratis e pure regalarmi
un'auto. O non era normale o sotto c'era qualcosa. Mi chiesi cosa avrebbe mai potuto ottenere da una come me?
Scesi dalla macchina e una folata di aria gelida mi colpì in pieno viso. Anche lui uscì fuori, dopo aver spento l'auto.
«Così tu abiti qui? Carina».
«No, casa mia è quella laggiù. Quella con i mattoni rossi».
«Scusa... perché allora mi hai fatto fermare qui?».
«Ecco... è che... insomma, nella casa prima della mia, abita la pettegola del
quartiere, Miss Courtney e se mi vede con un ragazzo domani sono sulla bocca di tutto il quartiere».
«E a te cosa interessa di cosa pensa la gente?».
«Niente. Mi interessa però ciò che possano pensare i miei genitori».
<<Uhm... ho afferrato il concetto, anche se mi sembra strano. Non sarò mica
il primo ragazzo che ti riaccompagna a casa?». Abbassai lo sguardo intimidita. Lì per lì non trovai le parole giuste per replicare. «Perdonami, sono stato poco delicato. Sei riservata, lo capisco».
<<No, ciò che dici è giusto, sono io che... insomma è la mia vita che è così e non posso farci nulla».
«Sbagli! L'unica padrona della tua vita sei tu. Falla tua e vivila. Gioie o dolori, ma vivila».
Quelle erano parole bellissime. Nessuno me le aveva mai dette. «Grazie per tutto» risposi, abbassando gli occhi.
«Aspetta, permettimi di scortarti fino a casa».
«Ma e... Miss Courtney?».
«È l'una passata... non pensi che la Signora in Giallo stia dormendo?».
Mi strappò un sorriso. Annuii e accettai il suo invito. Gli parlai un po' dei vicini e del quartiere finché non raggiungemmo la porta di casa.
«Eccoci qua, io sono arrivata».
«Sana e salva!».
Gli tirai un leggero pugno sul braccio. Quel contatto mi diede una strana
sensazione.
«Bene... allora... cioè... grazie e...» blaterai. Ero in piena confusione. In fondo era la prima volta che un ragazzo mi scortava fino casa. Non ero abituata. «È stato piacevole accompagnarti. Devo ammettere che sei una ragazza mol-
to... particolare».
«Sembrerebbe un complimento...». Sorrisi.
«Lo è».
Il suo sguardo era penetrante. Arrossii.
«Beh, anch'io devo ammettere che mi ha fatto piacere la tua compagnia. E poi mi hai salvato!».
«Figurati. Spero solo che tu mi abbia finalmente perdonato per l'altro
giorno».
Annuii con la testa, mentre aprivo il cancello di casa.
«Sogni d'oro, ragazzina».
«Grazie. Buona notte e... a presto».
«Vuoi forse farmi capire che accetti le mie lezioni di guida?».
<<No, credo che sia molto meglio lasciar perdere» replicai, abbassando lo sguardo.
Per un attimo il suo volto fu attraversato dalla delusione. Poi fece dietro- front, si allontanò con passo svelto ed elegante e, un attimo prima di salire sulla Porsche, si voltò per l'ultima volta e mi regalò il più bel sorriso del mondo.
Mentre l'auto si allontanava, rimasi sulla soglia di casa maledicendo il mio fottuto carattere. Chissà se l'avrei rivisto ancora? Ma poi, in fondo, cosa ci avrebbe trovato uno come lui in una adolescente insignificante come me? Me- glio, molto meglio, dimenticarsi di quel ragazzo e tirare avanti.
Scossi la testa e girai la chiave. In quell'attimo, con la coda dell'occhio, mi accorsi di una luce che si spegneva. Proveniva dalla casa accanto.
Era la casa di Miss Courtney.