Prima prova

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Andava tutto male.

Erano tempi bui quelli, bui per chiunque non fosse Lord Voldemort od uno dei suoi fedeli seguaci. Il mese corrente era quello di ottobre (se pure ancora per poche ore, essendo l'ultimo del mese), quel periodo dell'anno che transige dall'addio all'estate, all'inizio dell'inverno. Il freddo arrivava e, con una ventata gelida, portava via il calore e la familiarità dell'estate. Non che qualcuno ci avesse fatto caso: l'estate quell'anno era stata tetra come nessun'altra e sembrava quasi che il clima avesse collaborato con tutte le sventure che accadevano.
A nessuno dispiaceva che l'estate fosse finita, così come nessuno aspettava che arrivasse l'inverno.

Era la notte dei maghi e delle streghe, dei dolci e dei bambini che bussano alla porta per ricevere caramelle. Cose allegre, insomma. Il cielo era sgombro, le stelle numerose e splendenti; la Luna, mezza piena, compensava la scarsa luminosità di una serale, tranquilla Godric's Hollow. C'era silenzio, un silenzio di quelli che non puoi classificare, vorresti durasse all'infinito ma allo stesso tempo ti appare inquietante.
Era così insopportabile che dovetti romperlo con le mie urla, i miei pianti. Quel momento lo ricordo solo perché l'ho rivisto, nei miei incubi, svariate volte. Mi sono visto piangere in una culla abbandonata da tutti, fatta fortezza dalle macerie che vi erano cadute intorno deturpandola, con mia madre pallida e senza vita proprio sotto i miei occhi. Forse piangevo per lei, avevo capito di non poterla mai più sentir cantare per me, o forse ero solo spaventato ed arrabbiato per aver conosciuto la morte troppo in fretta. Perché quando si è in vita da poco, la morte ci sembra un po' più brutta e lontana.

Il primo ad arrivare fu un uomo unto, vestito interamente di nero, che allora non fece altro che spaventarmi un po' di più. Prese la dolce e bella Lily fra le braccia e la strinse al suo petto; ecco, quell'uomo fu il primo a piangere insieme a me. Aveva un'espressione distrutta, come se improvvisamente gli fosse crollato il mondo addosso. Incredibile come si possa essere il mondo di qualcun altro, imprudentemente spettacolare. E poi, quando il nostro mondo crolla, insieme a quelle macerie ci troviamo schiacciato anche il nostro cuore. Quell'uomo, che con gli anni avrei scoperto chiamarsi Severus Piton, era innamorato della donna che stringeva tra le braccia inerme.

Per un po' piangemmo insieme, ma poi lui andò via. E allora rimanemmo di nuovo io e le stelle. Io continuavo a piangere, loro no, non ancora. Non so quanto passò prima che sentissi nuovamente dei passi avvicinarsi, nessuno me l'ha mai raccontato o descritto quello. Fatto sta che presto le poche travi rimaste al soffitto, così come tutto ciò che vi era di ancora integro tra quelle macerie, traballò di nuovo.
Mi trovai davanti quello che sembrava, a giudicare dall'aspetto, un gigante pronto a sbranarmi. Ma quando lo vidi, invece di disperarmi, smisi di piangere.

Probabilmente a tranquillizzarmi era stata la sua espressione buffa, a metà fra il commosso ed il tentativo disperato di non scoppiare in lacrime. Indossava una casacca spessa ed un cappotto di pelle scura, aveva un groviglio castano al posto dei capelli e una lunga barba dello stesso colore, anch'essa piuttosto intricata. Teneva in mano un fazzoletto ormai zuppo di lacrime e, dopo aver fissato per qualche istante il corpo scomposto e senza vita di Lily Evans, portò il suo sguardo color pece su di me. Fu lì che prese a singhiozzare in modo sommesso, mentre inspiegabilmente mi sorrideva.

Tutti conoscono Hagrid, no? E' un tipo un po'.. ossessionato dalle creaturine indifese.

M'infagottò in delle coperte che profumavano di vecchio e mi sollevò da ciò che rimaneva della mia culla in quelli che parvero secondi ad entrambi. Quando mi prese tra le braccia e mi portò a tentoni fuori da quella che era stata casa mia per troppo poco tempo, dovette chinarsi e prodigarsi in numerose acrobazie per non far crollare miseramente quel che restava dell'abitacolo. Per miracolo riuscimmo a scendere le scale senza che queste cedessero sotto il peso del mezzo gigante e, arrivati agli ultimi gradini, dovemmo superare il cadavere di mio padre.

Io, nel mentre, non trovai niente di meglio da fare che fissare insistentemente l'uomo che mi teneva fra le braccia. Era un omone alto e dall'aspetto selvaggio, ma mi stringeva delicatamente al suo petto ricoperto dalla casacca, quasi temesse di spezzarmi. Un po' più a destra della mia cicatrice, segno di ciò che era accaduto quella notte, attraverso strati di stoffa o pelliccia che fosse, sentivo il cuore del guardia caccia battere furiosamente.

Hagrid mi ha raccontato che dovemmo sbrigarci, perché quando uscimmo fuori vedemmo in lontananza un gruppo di persone avvicinarsi. Avevano delle torce, nessun "Lumos", dovevano essere babbani. Il mezzo gigante si preoccupò di coprirmi meglio, per paura che il freddo mite che novembre porta con sé potesse farmi del male. Assurdo, ero appena sopravvissuto ad un "Avada Kedavra" e lui credeva che il freddo potesse farmi del male!
Quando ci stavamo avviando a percorrere in tutta fretta il vialetto che ci si parava davanti, un rumore improvviso alle nostre spalle fece voltare Hagrid di scatto.
<<Chi va là?!>> chiese allarmato, con voce abbastanza alta perché l'ombra nascosta dietro i cespugli potesse udirla.
Si sentì il classico suono di fronda scostata e, subito dopo, un uomo fece capolino dalla penombra che avvolgeva il limitare della nostra visuale.
Non era particolarmente alto, aveva capelli ricci castani e un'espressione mesta. Ecco.. sembrava quasi che anche a lui fosse caduto il mondo addosso.
Hagrid lo conosceva, infatti si salutarono e scambiarono alcune parole che non posso ricordare. Ma c'è una cosa che rammento perfettamente, come se la mia mente avesse in quel momento scattato una fotografia da conservare in eterno. Ancora oggi vedo davanti ai miei occhi quell'uomo che mi si avvicina impacciato, coprendo la Luna con la sua testolona; ancora oggi lo vedo sorridermi e carezzarmi una guancia come credevo potesse fare solo un padre.
Durò poco, fu troppo breve come tutti i momenti passati con lui nel corso della mia vita. Il nome di quell'uomo era Sirius Black. Così com'è tutt'oggi inciso sul fianco sinistro della sua moto, che quella notte cedette ad Hagrid per arrivare più in fretta a Privet Drive. Prima di andarsene, mi sorrise un'ultima volta e io potei percepire in quello sguardo luminoso la promessa di un tenero "ci rivedremo".

Dopo aver salutato Sirius, salimmo sullo strano veicolo, che ancora oggi mi fa provare un turbinio di emozioni. Ora è mio, Hagrid me l'ha regalato, secondo lui è giusto così. Dice che Sirius l'avrebbe voluto. A volte ancora mi dispero, provo odio nei confronti di chi non mi ha lasciato stare con lui.

Ho viaggiato molte volte sulla moto volante del mio padrino, ma credo che quella prima volta fosse la più importante. E' stato Rubeus Hagrid a salvarmi, quella notte, a portarmi via da Godric's Hollow.

Non so se è solo un ricordo fasullo, un'aggiunta della mia mente, ma mi piace pensare sia vero. Ricordo, mentre volavamo sopra Bristol, di aver visto una scia luminosa sfilarmi proprio davanti agli occhi. Non sapevo cosa fosse, ma assomigliava tanto ad una lacrima del cielo.
Le lacrime del cielo non sono pioggia, come molti credono: sono stelle.. è come se esso ci lasciasse un pezzo di sé.
Mi piace pensare che quella notte anche il cielo pianse insieme a me, regalandomi una bellissima e tristissima stella cadente.
E mi addormentai. L'ultima cosa che percepii, in quella fase che precede il totale abbandono al nostro subconscio, fu il sussurro di Hagrid, strascicato dal vento.

<<Tieniti forte, Harry Potter.>>

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