Terza prova

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Dodici

La bacchetta preme contro la sua gola scarna, forte. Non riesco a controllarmi, paralizzato dall'odio e da altri sentimenti nascosti. Sento le voci di Remus, di Harry; e poi i gemiti strozzati del ragazzino rosso, insieme con la voce acuta dell'amica del mio figlioccio. Percepisco tutto questo, eppure attorno a me non c'è nulla che non sia silenzio.

Silenzio e prati verdi, silenzio e un lago.

Davanti a me Peter Minus, viso stanco, scavato dal tempo e dalla paura, mi supplica di risparmiarlo. Dietro di me, Remus mi dice di affrettarmi ad ucciderlo.

Ma non m'importa.

Non quando, invece che un mangiamorte, vedo un ragazzino biondo, dal sorriso timido e le idee brillanti; non quando il peso dei ricordi grava come fardello sulle spalle del presente. E le mie spalle sono stanche, non reggono, le mie spalle sono state ad Azkaban, ad aspettare questo momento.

Per dodici anni.

Dodici, come l'età che avevamo quando tutto iniziò.

Abbiamo tutti dei punti di riferimento, il dodici deve essere il mio numero.

Quel giorno era proprio il dodici di Aprile del nostro quarto anno alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, lo ricordo come se fosse oggi.

Era già da due anni che, con James e Peter, mi esercitavo a diventare animagus. L'avevamo deciso tutti insieme, per aiutare Remus nelle notti di luna piena. Da quando avevamo scoperto che il nostro amico era stato morso, diventando anche lui un lupo mannaro, non ci eravamo dati tregua. Volevamo aiutarlo. E l'unico modo per farlo uscendone illesi, era seguirlo alla Stamberga Strillante sotto forma di animagi.

Non glielo dicemmo subito, per un lungo periodo ci esercitammo da soli e, soltanto quando riuscimmo ad ottenere dei piccoli risultati, ci facemmo aiutare da lui.

Sono certo che, se glielo avessimo detto all'inizio, Remus avrebbe fatto di tutto per persuaderci a rinunciare. Era stato difficile riuscire a cavargli di bocca la verità. L'avevamo visto davvero distrutto, quasi quanto noi nell'ascoltarlo. Subito dopo il suo racconto, nel quale ci aveva confessato di essere stato morso da Greyback all'età di soli cinque anni, ci eravamo precipitati in biblioteca. Avevamo fatto scorta di tutti i volumi riguardanti l'animagia, per poi passare la nostra prima notte in bianco a studiare.

Non avevamo mai studiato tanto in vita nostra. Così continuammo ad allenarci e documentarci per i seguenti due anni, fino a quel giorno.

Quel dodici di Aprile, quando mi trasformai per la prima volta, rimane un giorno che non mi piace ricordare; ma che, tuttavia, l'uomo cui ora punto contro la bacchetta mi ricorda. Ero con lui, durante un sabato ad Hogwarts.

Io e James, lo sanno tutti, eravamo inseparabili. Il gruppo dei malandrini era nato da noi, così come la maggior parte delle bravate e delle idee, assolutamente insensate ma geniali, che partorivamo. Nostra era quella stessa idea di civentarci nell'animagia. Eppure, quel pomeriggio avevo preferito prendere le distanze. Era un periodo difficile per me, per motivi che ora mi appaiono sciocchi, ma che un tempo mi stavano molto a cuore. Il mio motivo, per la precisione, aveva un nome e dei lunghi capelli rossi.

Era dal terzo anno che avevo una cotta per Lily Evans, nostra coetanea, grifondoro. Non ne avevo mai parlato a nessuno, eccetto Peter. Non potevo definirmi innamorato, ma di certo avrei voluto approfondire la sua conoscenza, provare a parlarle. Stavo per farmi avanti, quando James mi battè sul tempo. Mi confessò che anche a lui piaceva da anni, che aveva intenzione di provarci, se solo fosse riuscito a trovarla sola e non in compagnia di quel pedante Severus Piton.

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