18.

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Dormire in auto non mi era mai sembrato così rilassante.
Trovare un parcheggio lontano da casa e dalle persone che conosci, rifugiandosi soltanto nell'unico mezzo di movimento che possiedi, non era così tanto complicato.
Non riuscivo a tornare da Stefano, ero ancora scossa per l'incontro che avevo avuto con i miei genitori, e probabilmente parlandone mi sarei sfogata su di lui, ed era l'ultima cosa che volevo fare.
Parcheggiare davanti ad un supermercato non mi era sembrata una buona idea, ma era l'unico posto in cui potevo passare tutta la giornata sembrando che fosse una cosa normale, e non facendo notare la mia presenza nel veicolo. Sapevo che quel posto era frequentato da poche persone, dato che vendevano i prodotti a prezzi molto elevato e, di quei tempi, anche possedere due euro pareva complicato.
Ancora non ci credevano che lo avevano fatto davvero. Capivo il loro odio nei miei confronti, ma non pensavo che potessero spingersi fino a tanto, ma ogni cosa che non immaginerei mai, alla fine, si avverava sempre. E nemmeno mi aspettavo di avere così tanto coraggio.

'Purtroppo, vivo ancora qui' dissi, con quel tono da renderli contenti di quella risposta, anche se era la loro felicità era l'ultima cosa che volevo.
'Per poco' sussurrò la donna, ma quelle due parole riuscirono ad arrivare ai miei timpani.
'Dopotutto, sei tu quella che mi ha tenuto dentro di sé per nove mesi' le ricordai, sapendo che le infastidiva quel ricordo.
Non si sarebbe mai aspettata quel mio cambiamento. Il fatto di non poter avere una figlia come le altre, che amano andare a fare shopping, che amano mettersi maglie strette per far notare le proprie forme, che vogliono o sognano il principe azzurro, che si mettono le minigonne per andare in discoteca, pronte ad alzarla alla prima lusinga la infastidiva. Era delusa che non fossi così, forse perché in passato era proprio in quel modo che aveva conosciuto l'uomo che mi trovavo davanti, che non riusciva a parlare, non più da quando mi ribellai, da quella famosa mattina. In realtà, non capivo nemmeno perché mia madre mi stava rivolgendo la parola.
'Dovrei maledire tuo padre per non averci pensato prima, quella sera' rispose, quasi urlando.
Mio padre le rivolse uno sguardo confuso. Non si aspettava di essere coinvolto anche lui nel discorso, ma aveva contribuito a rendermi così. Sembrava quasi che si fosse dimenticato di quando tornava a casa, di quando era arrabbiato e si sfogava su di me, e mia madre che guardava quella scena e che contribuiva alla mia crescita violenta. Per non parlare delle sere in cui erano ubriachi, che anche quelle erano molto frequenti, in cui vedevo anche del sangue provenire dal mio corpo. Soltanto perché erano giovani, avendo venti anni quando ebbero me e Salvatore, e volevano vivere, fregandosene del fatto che avessero una figlia, dato che Salvatore lo lasciavano dai nonni oppure da qualcuno che potesse prendersi cura di lui, in modo da non fargli mancare nulla durante le loro uscite, mentre io rimanevo sempre a casa da sola.
Era da lì che accaddero tutte quelle cose, e pensare che mio padre faceva finta di nulla mi infastidiva, e non poco.
'Però, se non ci fossi stato io, Salvatore non esisterebbe' le fece notare e, per lei, aveva pienamente ragione.
Ritornava sempre la storia che Salvatore era il figlio perfetto, quello che meritava soltanto il meglio. Ma non era il momento di odiarlo, anzi, dovevo stargli il più accanto possibile.
'Giusto caro, devo anche ricordarmi di questo' disse, dandogli poi un bacio a stampo.
Era brutto osservare quella scena, però mi ricordavano i baci tra me e Stefano, che chissà fino a quando sarebbero durati.
Ma che ne sanno loro di lui.
'A proposito di mio figlio, dov'è?' Mi chiese, acquisendo uno strano tono di voce.
Non si capiva se facesse sul serio, o più se lo stesse facendo per farmi ingelosire con quella storia dei figli. Ad ogni modo, non mi ritenevo più loro figlia già da parecchio tempo.
Però, cosa avrei dovuto rispondere? Non volevo dire la verità, altrimenti io e Stefano non avremmo potuto prenderci cura di lui. Se lo avessero scoperto le due persone che mi trovavo davanti, mi avrebbero fatto mille domande su cosa fosse accaduto e su chi fosse Stefano, dato che lui si trovava ancora in quel posto, e di sicuro sarebbero corsi in ospedale.
'È uscito con la sua ragazza' dissi, riuscendo ad essere credibile.
Il solo pensiero che, un tempo, quella ragazza fosse Angela, l'avrei subito allontanata, e non avrei ascoltato Salvatore che poteva convincermi del fatto che fosse amore, e quelle cose smielate.
'Ah, e come si chiama la mia futura nuora?' Disse, concentrandosi come sempre sulla vita dell'unico vero figlio che abbia mai avuto.
'Non lo so, chiedilo a lui' dissi, ma me ne pentii subito.
Se lo avesse chiamato in quel momento, il suo telefono non avrebbe risposto, oppure lo avrebbe fatto qualche dottoressa nella stanza di Salvatore.
Non riesci ad inventare scuse decenti, eh?
'Appena torna, sarà la prima cosa che gli chiederò' continuò, sempre con quel tono odioso.
'Almeno lui è riuscito a trovare una persona che gli stia accanto, mentre qualcuno ancora non lo ha fatto' disse l'uomo, guardandomi male.
Ma loro non sapevano di Stefano, non sapevano chi fosse quella ragazza, non sapevano cosa fosse accaduto a Salvatore. Non sapevano nulla, e così doveva essere.
'Chi dice che non lo abbia già trovato?' Replicai, incrociando le braccia al petto.
Avevo voglia di infastidirli, proprio come loro stavano facendo con me.
'Stai dicendo che c'è qualcuno che riesce a sopportarti? Insomma, sei uno scherzo della natura, questo ragazzo ne è un altro?' Disse la donna.
Era riuscita a dire che ero uno scherzo della natura. Non lo aveva mai detto, nemmeno in quelle volte in cui me ne dava di santa ragione. Sentirselo dire così, da quella che dovrebbe essere la mia figura materna, la donna che dovrebbe ispirarmi, che dovrebbe essere come una migliore amica ma che non lo era mai stato, era un dolore troppo forte da sopportare. Mi maledicevo ogni santo giorno per essere nata, ma sentirsi dire che si era uno scherzo dalla natura, non era affatto bello.
Dovevo rispondere, la rabbia che provavo dentro voleva uscire fuori come una bomba atomica, e così sarebbe stato.
'Vi siete incontrati ad una festa per la prima volta e lo avete fatto senza protezione, vero? Ecco come sono nata. Da una puttana e da un deficiente, chissà quanto sarà felice Salvatore di questo' quasi gridai per la rabbia che provavo.
Avevo saputo di quella cosa da mia zia, ma non rimasi tanto stupita. Potevo aspettarmelo da loro, poteva essere uno dei motivi per cui ero diversa.
La donna si stava avvicinando rapidamente verso di me, mentre l'uomo incrociò le braccia al petto, con un sorriso malizioso stampato sulle labbra.
Era la scena che accadeva tanto tempo dal, e dopo sarebbe arrivato l'uomo a darmi il colpo di grazia.
Non sapevo con quale coraggio ero riuscita a dire quelle parole, e anche con quale riuscii ad estrarre la pistola che ancora possedevo. La misi sulla fronte della donna, e lei si fermò all'istante. Potevo vedere la pistola che, a contatto con la sua fronte, tremava come una foglia.
'Dove l'hai presa?' Disse, guardandomi con spavento, nello stesso modo in cui mi stava guardando l'uomo, che era rimasto sorpreso dal mio gesto e dal fatto che possedessi un'arma.
'Da qualcuno che mi ama' dissi decisa, ma stavolta quella che aveva il sorrisetto sulle labbra ero io.
Essere certa di una cosa così forte, essere certa dei propri sentimenti e di quelli altrui, essere certa di una cosa così importante, era qualcosa di stupendo. Mi sentivo bene, davvero bene.
Ma la decisione spettava a me.
Sparare o no? Mi sarei macchiata le mani di sangue, ma era davvero così essenziale? Certo, ci sarebbe stato il carcere, sentenze, tutto quello di cui bisognava necessitare per condurmi dietro le sbarre, ma se avessero saputo di quello che avevo subito, se fosse tornato a galla il mio disastroso passato? Avrebbero capito che era per vendetta, per difesa, o che ero soltanto una pazza?
'Ti prego Alice, non farlo' disse la donna, socchiudendo gli occhi.
Quanto mi faceva pena, però meritava di subire tutto quello spavento. Potevo percepire dalla sua voce che era così debole.
'Non farlo, non vuoi veramente ucciderla' disse l'uomo, preoccupato quanto lei.
'Chi dice che voglio uccidere solo lei? Anche tu sei stato causa di tutta questa merda, meritate tutto l'odio che questo mondo vi può dare' dissi, premendo il grilletto subito dopo.
Lo premetti altre innumerevoli volte, ma sempre lo stesso risultato.
Non usciva nulla.
Nessun proiettile, nessun colpo, nessun rumore che avrebbe terrorizzato i vicini.
Lo aveva fatto di nuovo? Aveva davvero non messo le munizioni? Perché lo aveva fatto?
Mi avrebbe sentito, ma non era il momento di andare da lui, dovevo soltanto uscire da quella casa, ed andare lontano da lì.
'Grazie al cielo' sospirò la donna, abbozzando un mezzo sorriso.
Sbuffai e gli sbattei la parte bassa del caricatore sul capo, facendola accasciare a terra, svenuta.
L'uomo si precipitò su di lei, non badando minimamente alla mia espressione. Mi sarei dovuta sentire in colpa, avrei dovuto aiutarla ad alzarsi e a farla riprendere, ma mi sentivo bene. In fondo, era soltanto un assaggio di quello che mi aveva dato in quegli anni, ma non mi sarei mai aspettata di spingermi fino a quel punto. Probabilmente, tutta quella energia e voglia di ribellarmi era uscita grazie al moro. Quando mi chiesi cos'altro avrebbe rovinato, tempo fa, mi ero completamente sbagliata. Avrei dovuto chiedermi cos'altro avrebbe migliorato.
'Prendi le tue cose e non entrare più in questa casa, ingrata!' Gridò l'uomo, alzando lo sguardo su di me, inginocchiato accanto al corpo della donna.
Non aveva ancora capito che non l'avevo uccisa, ma era soltanto svenuta, purtroppo.
Potevo notare che quell'uomo era così debole. Aveva cominciato a reagire solo per il gesto che avevo compiuto, prima sembrava un piccolo pulcino indifeso.
Non me lo feci ripetere due volte, e andai in camera mia. Presi da lì sotto la mia valigia, in cui misi tutti i vestiti che quei due mi avevano comprato, dato che era l'unica cosa che facevano.
Una volta chiuso l'oggetto, mi avviai verso la porta d'ingresso. Prima di uscire una volta per tutte da quella casa, misi una mano nella mia tasca, notando che possedevo ancora le chiavi di quel posto in cui ero cresciuta. Le lasciai sul tavolo, dando poi un ultima occhiata a quei due sottospecie di adulti. Il mio coraggio mi aveva portato a far svenire la donna che mi doveva crescere serenamente, e se non fosse stato per il fatto che Stefano mi aveva dato un'arma senza munizioni, l'avrei uccisa.
Cosa sarebbe accaduto? L'uomo avrebbe chiamato prima la polizia o l'ambulanza? Mi avrebbe denunciato? Mi avrebbe ucciso lui stesso con qualche coltello trovato per casa, o con le sue stesse mani? Ne aveva ancora la forza?
La solita storia: troppe domande, risposte incerte o inesistenti.
Avrei voluto dirgli qualcosa. Vedevo che teneva tra le sue mani il capo della donna, accarezzandole i capelli. Credevo veramente di aver combinato un guaio molto grave. Ma quando notai che la donna stava lentamente riaprendo gli occhi, uscii dalla abitazione.
Non vi sarei più entrata, e chissà se loro avrebbero saputo di cosa fosse accaduto a Salvatore. Una cosa era certa: non dovevano sapere di tutta quella storia.

My All. ||Stefano Lepri||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora