Il Tempio Greco del Culto Sonoro

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All'uscita di quel che si poteva scarnamente definire come il tempio greco del culto sonoro, ammiravo il verde incontaminato, incoronato da meraviglie floreali delle più svariate forme e colori. A circondare il templio, una ragnatela di piante rampicanti di castano morto, che ricamavano e anticavano il tutto. La bellezza floreale pareva incorniciare l'emozione pulsante da estasi musicale. Gli stati d'animo erano addolciti dalla bellezza mai monotona e splendidamente odorosa dei fiori che sprizzavano come oro liquido e variopinto; era il tramonto estivo inoltrato; non riuscivo a vedere al di là del labirinto floreale, e i raggi del sole rosso moribondo inondavano di sangue l'inconsistenza del mare celeste. Perso com'ero nell'estasi ascetica della contemplazione floreale, qualcuno avrebbe potuto scambiare anche me per una componente essenziale del disegno. Poco distanti, all'esterno del templio, tavolini ferrei, dalle gambe di forma ondulatoria. Futili risolini di gallinacce invasate, erano contrappuntati dai suoni gutturali dei loro degni omoni. Assistevo a un rituale di corteggiamento. Non che la prospettiva di prendervi parte io stesso mi ripugnasse; ma il comportamento disinibito di certi individui aveva dell'animalesco; il che mi lasciava l'amaro in bocca. Lì vi erano i collezionatori di donne, che seducevano le vergini sussurrando all'orecchio esecrabili nefandezze che le defloravano della purezza di pensiero. Le ragazze erano tantissime; alcune ridevano sperticate alle battute dei loro uomini, e facevano sembrare chissà che mirabolanterie avessero detto quelli. Quando invece parlavano, era per starnazzare ocaggini. Molte fanciulle dalla lingua viperina sussurravano all'orecchio dell'amica, e deridevano questo o quel tacco. Le loro risa parevano nitriti di cavalli. Cavalli velenosi, tuttavia. Ciò che dice o sussurra la gente può essere un vero e proprio freno inibitore... Molte indossavano calze a rete, per irretire i gonzi. Molte calze a rete evidenziavano una compressione lipidica notevole dei rombi di pelle che fuoriuscivano, per l'appunto, dalla rete. La carne era schifosamente bucherellata dalla cellulite. Si trattava di una di quelle armi prettamente femminili che si ripongono solo a festa finita. Molte ragazze incipriate avevano uno sguardo fisso e penetrante; molte ancheggiavano ampiamente, certe d'avere tutta l'attenzione oculare dei maschiacci. O forse erano loro ad essere abbisognevoli di attenzioni. Alcune ragazze erano visibilmente a disagio in serate del genere, ed avanzavano goffamente ricurve, storcendo i tacchi ogni due - tre passi; erano accompagnate dal vociferare chioccio e dallo sguardo maligno delle civettuole rapaci, che seguiva come una scia. Non mi piaceva deridere o guardare dall'alto in basso una persona che poteva essere derisa o guardata dall'alto in basso. Io scostavo lo sguardo. Perché lo facevano tutti, ed io volevo distinguermi dall'odiosa massa. Ecco perché, personalmente, evitavo di piantar loro gli occhi indosso dall'inizio alla fine del vialone.

Uno dei miei mi riportò alla realtà con qualche parolina che mi scherniva pungente. Io e i miei commilitoni entrammo nel templio. La musica batteva nel petto e gonfiava le vene irrorate di pulsazioni e sradicava i pensieri a lungo termine. Mi immergevo in un'atmosfera familiare di suoni colori profumi sudore e calore che ubriacavano. Era un bagordo carnale. Petti ansanti, ovunque. Tutte a mettere in mostra le eminenze del corpo. Una gara a chi vestiva più succinta. Femmine appena donne vestite provocanti si scioglievano e flettevano in pista. Non v'era modo di comunicare che non fosse corporale. Ma l'unica cosa che poteva comunicarsi colla flessuosità sincrona dei corpi, era l'attrazione. Le luci stroboscopiche mi stampavano in testa gli evanescenti fotogrammi della serata. Alcune si lasciavano indietro una profusione di profumi che dava i capogiri.

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