L'Epilogo in un Sorriso

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Salii i pioli legnosi. Diedi un'occhiata a sinistra dove c'era l'armadio di polvere e tarme, a destra, dove c'era ciarpame della più insulsa inutilità racchiusa in scatole scatoline scatolette fatte di polvere e cartone. "Tesoro; qui non c'è nessu -" Trasalii. Sentii un gridolino strozzato come quello di un cane strangolato, che mi fece trasalire i nervi. Il sorriso di sollievo ripiegò verso il basso. Qualcosa s'agitava dimenandosi in preda allo squilibrio dell'anima. M'avvicinai al baule più grosso; si scoteva tutto. Mi parve quasi d'udire dei latrati. Aprii lento lento. Vi trovai... la mia sorellina! Prigioniera di strati di plastica appiccicaticcia. Avevo le mani che tremavano; temevo d'essere impazzito. Ero altresì molto impaurito, e fui restio all'idea di liberarla completamente, fin da subito. Le liberai la bocca. Lei era visibilmente scossa; non emetteva più neanche un sibilo. Io le misi le mani sulle spalle e scossi vorticosamente "Parlami! Racconta cos'è successo!" "Un mostro... Fratellone...C'è un mostro nel letto!" Chiamai, ma di sotto nessuno rispose. Però sentii dei passi...Sui pioli. Scricchiolii legnosi. Vidi Lei. "Abominio di Dio!" Era Lei, in fondo, al di là del trucco lagrimato nero sulle guance, dei capelli incastaniti per esser quelli della mia sorellina; le forme, prima celate dal rannicchiamento sottocoperta, ora pieneggiavano in tutta la loro pienezza. "Aborto della putrida terra! Rigurgito del demonio!" Mentre saliva saliva lenta compita col coltellaccio alla mano, mi parve d'intravedervi, con quel candore del marmo levigato, un cadavere marcio d'acqua che veniva issato dal fiume. "Lurida puttana! Che tu possa morire straziata! Troia maledetta, cosa non mi hai tolto?!" la truculenza verbale prendeva il sopravvento. Mi rammaricai di non aver liberato prima la mia sorellina, condannandola conseguentemente a morte certa; mi dispiacque d'aver riposto la lisca tagliagole, per l'ingenuo che ero. Ripresi fiato per dilapidare l'ennesimo carico d'invettive indemoniate, cui il condannato a morte attinge senza fondo. Però sfiatai prima di parlare. Fui attratto da un particolare in particolare. V'era un'altra cosa che riluceva nella stanza, e lo ammirai rapito durante tutto il tempo delle stilettate che il mio sterno si prese. Prima che la mia sorellina lagrimasse rabbia impotente, prima che Lei affondasse il coltello nelle mie carni, prima che il sangue fiottasse copioso, prima che il tremore rantolante mi facesse suo, ed il sangue intestino innaffiasse il cavo orale, vidi una luce. Era il sipario di Lei, che mostrava gli alveoli perfetti, che parevano luminare di luce propria. La stessa bocca con cui m'aveva ammorbato il respiro la prima, idolatrata sera d'estate in cui ci conoscemmo. Lo stesso sorriso che, non molto tempo addietro, mi aveva dato l'unica, sola ragione per vivere; ragione che ora mi prosciugava della vita stessa.

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