ADDIO

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Mi fiondo in camera mia.
Non voglio che quella donna mi veda piangere in questo modo.
Non dovrei volerle il bene che le voglio.
Lei non si merita niente da me.
Mi ha messo al mondo per poi obbligarmi a condurre un'esistenza da schifo.
Sì, schifo é l'unica parola che mi viene in mente.

Estraggo da sotto il letto la mia valigia azzurra.
Inizio a buttarci dentro vestiti random.
Non guardo quello che faccio, non sento nemmeno di avere il controllo di me stessa e dopo qualche minuto crollo sul letto a piangere.

Io non sono così.
Non sono una ragazza che piange facilmente.
Se devo essere onesta odio le persone che piangono per tutto.
Mi sembra una cosa da bambini.
Ma ora che ho scoperto che tra una settimana non sarò più qui e andrò a vivere con degli sconosciuti non so che altro fare.
Ripenso a tutto quello che ho passato in questi diciassette anni di vita. Tutte le gioie e tutti i dolori che ho vissuto.
Jessica non c'é mai stata per me.
Non sono mai stata una sua preoccupazione.
Non mi ha mai controllato i compiti, non mi ha mai chiesto nulla riguardo ai miei voti...
Eppure non voglio lasciarla.
E sopratutto non voglio lasciare le mie amiche.
Le tre uniche certezze della mia vita.

Quando sono ormai le sette di sera Jessica bussa alla mia porta.

Io erroneamente penso che sia venuta a consolarmi o a chiedermi almeno scusa.

<<Smettila di far casino che tra poco arrivano i clienti>> mi sibila per poi sbattermi la porta in faccia.

Quanto può far schifo la vita?

Decido di andare fuori di casa prima che arrivino i suoi "clienti".
Ho bisogno di prendere una boccata d'aria e mettere in ordine le idee.

Passeggio per il paesino, tra le larghe vie del centro e lungo la riva del lago.

<<Becky>> urla una ragazza dietro di me. É Emily.
Mi corre incontro mentre i capelli color rame le svolazzano di qua e di là.
Noto che la sua maglietta bianca ha degli schizzi di colore molto visibili e pare che anche i suoi capelli abbiano avuto qualche problema.
Le sue condizioni economiche sono più o meno come le mie: madre pittrice fallita e padre disoccupato.
Frequentiamo ( anche se ormai dovrei dire frequentavamo) la stessa scuola pubblica e posso assicurarvi che non é un bell'ambiente.

<<Ciao Emily>> la saluto tentando di contorcere le labbra in un sorriso.

Lei si accorge immediatamente che c'é qualcosa che non va in me; del resto é una delle persone che mi conosce meglio.
Iniziamo a passeggiare senza dire una parola finché io non ce la faccio e più e scoppio.

<< Mi devo trasferire>> dico per poi iniziare a raccontarle tutta la storia.
Parlo a ruota libera alternando le mie emozioni ai fatti.

Ho tanta rabbia dentro. Ma anche tristezza e delusione.
Cerco di raccontarle quella freddezza che ho visto negli occhi azzurri della mia ormai ex madre.

<<  Mi dispiace tanto>> dice infine Emily abbracciandomi.

<< Io non voglio andarmene>>

Rimaniamo a fissare il lago per qualche secondo mentre il sole ormai é tramontato definitivamente.

Tra poco questa zona si riempirà di tossici che vengono qui ad impasticcarsi e a fumare canne.
Anche io a volte ci vengo.
Quando ho bisogno di tirarmi un po' su.

Alla fine é Emily a parlare.

<< Ma non é quello che hai sempre voluto?>> mi chiede

<< Cosa?>>

<< Andartene da qui, scappare in una grande città per inseguire i tuoi sogni>>

<<Sì>> ammetto << Ma avrei voluto andarmene di qui di mia spontanea volontà non obbligata da qualcun altro>>

Era da un po' che due tizi dei servizi sociali assillavano mia madre con controlli e cartacce burocratiche; come se ci volesse un genio per capire che viviamo in una topaia.

Mai però mi sarei aspettata che mi portassero via da lei.
Cioé, che cazzo si aspettano adesso?
Di trapiantarmi in una nuova famiglia e che io come una pianta mi adatti al nuovo terreno.
Mi spiace ma io non sono una pianta, sono una persona e se vengo sradicata soffro, e tanto.

<< Pensa a quanto sarà bella Los Angeles>> cerca ancora di consolarmi Emily << Cioé, io darei qualsiasi cosa per poter vedere l'oceano ogni giorno e invece sono costretta a vedere questo sputo di lago>> aggiunge ridendo.

Scoppiamo entrambe a ridere.

<< Los Angeles é Los Angeles>> ammetto. << Ma qui ci sono i miei affetti. E non intendo Jessica ma te e le altre ragazze che siete le uniche persone di cui mi possa fidare >> specifico.

<< Anche tu mi mancherai, ma so che là staraisicuramente meglio rispetto a qua. Per poco ti faranno sicuramente andare in una scuola dove le pareti non cadono a pezzi e la merda non fuori esce dal cesso>>

Sorrido nel ripensare alla completa inagibilità dei bagni della scuola che frequento proprio per il motivo che Emily ha appena detto.

<< E poi tu hai sempre odiato Jessica>> continua la mia amica. << Non ti ha mai voluto bene, quindi non sentirti assolutamente in colpa nel lasciarla>>

<< Non mi sento in colpa nel lasciare lei>> borbotto.

<< Io le ragazze ce la caveremo>> sbuffa Emily << Ci mancherai, certo ma ci scriveremo... Dio, hanno inventato la tecnologia anche per questo>>.

Sorrido, nella speranza di riuscire davvero a mantenere i contatti e non perderci strada facendo.
Non me lo perdonerei mai.

Rimaniamo al lago finché non si fa completamente buio.
Solo allora la riva inizia a brulicare di ragazzi che io chiamo invisibili.
Ragazzi che non parlano praticamente tra loro ma che iniziano a scambiare soldi per pasticche e pasticche per soldi.
Sono un branco silenzioso.
Un branco che nessuno sente e vede.
Io e Emily ci finiamo dentro quasi per caso.
Ognuno di questi ragazzi ha la sua storia e, proprio come me, ha i suoi problemi.
Una ragazzina che avrà all'incirca quindici anni ci offre di fare un tiro dalla sua canna.
Accettiamo senza ringraziare.
Quì, i convenevoli sono superfluii.
Quì,si cerca e si perde se stessi.
Quì, si fugge dai luoghi comuni.
Sì, se venisse quì una persona non drogata ci definirebbe tutti tossici e si laverebbe le mani nei suoi pregiudizi nelle sue credenze di comodo.
Ma c'é una domanda molto importate che nessuno pare volersi fare: perché siamo quì?
A voi la risposta.

LA FIGLIA DELLA PUTTANADove le storie prendono vita. Scoprilo ora