Eloise non tornava mai a casa a quell'ora. Al calare della sera la strada alberata s'inscuriva, l'aria fra le fronde diventava lattiginosa; nella mezz'ora prima che si accendessero i lampioni si entrava in uno stato di non luce e di non buio che popolava la vista di presenze inquietanti.
Lei non sopportava fare quel viale a quell'ora: dietro ogni tronco si scorgeva un assassino, dietro le fronde torme di pipistrelli, sui rami carnivori in agguato, per strada le ombre erano ancora sanguigne delle ultime tracce del tramonto.
Ma, si disse Eloise, basta fantasie, sbrighiamoci a tornare a casa, guarda solo dritto e respira piano.
Aveva già fatto una decina di metri, quando un fruscio come di foglie la sorprese: invece di accelerare si fermò, con il cuore che impazzava nel petto. Si girò indietro, ma all'inizio della strada c'erano delle figure di tipi fermi che era sicura non ci fossero due minuti prima.
Si rigirò quindi guardando avanti, mentre con la coda dell'occhio cercava di capire se il fruscio fosse veramente un casuale stormire di fronde.
Riprese il cammino, stringendo forte la borsetta come un marinaio aggrappato alla gomena durante la tempesta, riprese passo dopo passo ad avanzare, guardando solo avanti.
Il fruscio si ripeteva, ma lei tenne gli occhi avanti, sentendo troppo corta la gonna e troppo scomodi i piccoli tacchi.
A quel punto, anche se era preoccupata delle figure dietro, inseguita dai fruscii laterali, si accigliò guardando davanti, dove dalla luce lattiginosa cominciò a intravvedere il delinearsi di una sagoma.
Non era chiara, ma sembrava il profilo di una donna che fosse entrata in strada dal lato sinistro, dagli alberi che costeggiavano il viale.
Il fruscio si fece più forte, lei voleva girare gli occhi, ma la sagoma davanti li catalizzava, li bloccava. Eloise pensò che era la stessa cosa che succedeva ai cerbiatti quando i fari delle auto li sorprendono in mezzo alla strada. E non finiva tanto bene, come pensiero.
Un passo, un altro, il fruscio era vicino alle sue gambe, come di qualche bestia che la tallonasse, se ne immaginava il respiro sui polpacci, ma comunque la figura davanti la inquietava di più: le venivano in mente storie di fantasmi e di vecchie megere, di apparizioni a rubare le anime dei viandanti nella nebbia.
Correva quasi, e si chiedeva perché corresse con un pericolo immaginario alle spalle verso una funesta destinazione sicuramente reale, perché la sagoma appariva sempre più chiaramente solida emergendo nella non luce della sera.
Correva e non riusciva a fermarsi, il fruscio dietro le sue gambe la terrorizzava, anche se ignoto, molto più della figura che si parava davanti.
Corse e corse, finché non le arrivò addosso, e negli ultimi metri fu la figura che sembrava venirle incontro, con uno scialle nero attorno alla testa e un braccio enorme.
- Attenta, che fai?!- disse la signora: allora lei la guardò e vide che il braccio era solo fasciato, e lo scialle ricopriva bei capelli neri, e il viso era magro ma di una bellezza mediterranea.
- Mi scusi, ma avevo un po' paura, mi sembrava fossi inseguita da qualche animale. - disse Eloise e si guardò finalmente indietro, fra l'aria lattiginosa sotto le fronde oscure.
- Va bene, non ti preoccupare, stai vicino a me - disse la signora con fare dolce, ma Eloise non poté non notare che scrutava anche lei sulla strada come se sapesse cosa cercare.
- Io devo andare a casa di là - disse lei, ma guardando bene non riusciva proprio a vedere la fine della strada - aspetto che si accendano i lampioni.
- Si accenderanno a momenti, cara, però io mi devo sedere su quella panchina fra gli alberi, mi fai compagnia qualche minuto?
Lei non ricordava che ci fossero panchine, ma sicuramente non avrebbe mollato la signora in quel frangente.
C'era effettivamente una vecchia panchina di legno consumato e con la struttura di ferro battuto. Si sedettero stando vicine, la signora con il braccio fasciato e la ragazzina avvinghiata alla borsetta.
Lei si stava quasi rilassando quando la signora le chiese - Conosci la storia di Cateeth?
Lei scosse la testa e intanto guardava dei refoli di nebbia che s'attorcigliavano per strada. Neri, grigi, come piccoli demoni si inseguivano sulla strada, attorno ai tronchi, attorno alle gambe della panchina, attorno alle sue gambe.
- La storia narra che un demone è rimasto bloccato su questa terra sotto forma di gatto - e mentre parlava la signora giocava con lo scialle, lo toglieva e lo rimetteva.
- Per anni ha vissuto fra noi, ma c'è un problema - e ad un certo punto tirò le due punte dello scialle a farne quasi una corda.
- Bisogna dargli da mangiare ! - e con un gesto fluido bloccò la stupita Eloise avvolgendone le braccia con lo scialle e bloccandola sulla panchina.
Lei rimase senza parole: in quel mentre dalla nebbia vide prima delle macchiette bianche, e poi sopra due macchie rosse.
Era congelata dalla paura, stretta dallo scialle, e gli occhi stralunati nella nebbia: le macchiette si palesarono denti aguzzi di un gatto selvaggio, di grosse dimensioni, con due occhi rosso sangue e uno sguardo terribile.
Si avvicinò, il gatto, e i suoi denti erano lame affilate e puntavano diritti alle sue gambe, mentre lei terrorizzata non muoveva un muscolo.
Nella sua mente urlava -vai via vattene- al gatto e -lasciami strega- alla signora, ma non un rumore uscì dalla bocca, e il silenzio fu ancora più ovattato e terribile.
Si avvicinò il gatto e come un lampo diede un morso alla caviglia: lei all'inizio guardava come anestetizzata, poi il lampo del dolore le scoppiò in testa salendo su per tutta la gamba, su fino al cervello.
Non poteva credere ai suoi occhi, ma il gatto non mollava il suo morso.
E infine un rumore si sentì, come quello di un gesso sulla lavagna, lo stridere dei denti di gatto sull'osso della sua caviglia, e tanto più acuto era il rumore tanto più forte il dolore che attaccava Eloise in tutto il suo corpo.
Esplose, come se la sua paralisi avesse caricato di energia ogni suo muscolo, esplose e allargò le braccia e si ritrovò in piedi, libera e fremente.
Scalciò violentemente la gamba e il gatto, seppur grosso, volò via, fece girare la borsa ruotando su se stessa e colpì con forza la carceriera.
L'energia non si consumò subito e la rese rapida a divincolarsi del tutto e correre via a perdifiato, verso la fine della strada.
Gli occhietti rossi e i denti aguzzi tornarono verso la panchina, con lo sguardo non meno terribile di prima.
La signora aveva una mano sul viso, visibilmente affranta. Il gatto le saltò in grembo, come se fosse un gesto affettuoso, e aspettò con la bava alla bocca, leccandosi i sanguinei baffi.
La signora sospirando sciolse la fasciatura dal braccio sinistro e lo porse alla bestia: mancavano già brani di carne e l'ulna era esposta per buona parte.
Il gatto velocemente iniziò a strappare il suo pasto, mentre lei sottovoce diceva: "Ne troverò un'altra, la prossima sarà quella buona ...".
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Piccole storie ad alta tensione
HorrorDisclaimer: alcune di queste storie fanno paura o ribrezzo, orrore insomma, anche a me. Per cui dopo averle scritte mi sono accorto che per la mia sanità mentale non ho più voglia di leggerle ed editarle. Insomma, come la zucca in copertina: è nata...