Rivalsa

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Eloise entrò nella solita camera del solito albergo, classico 'non luogo' dove finisci di essere una persona con una propria identità e diventi un cliente, uguale a tanti altri, che siano consulenti in trasferta, attori in cerca di un provino, venditori stanchi di giornata.

Lei doveva stare solo una notte, ma per una combinazione di viaggi e di orari si era trovata a dormire fuori casa. Aveva con sé il libro che stava leggendo in quel periodo e non aveva nessuna intenzione di affrontare il mondo; tanto una notte in albergo sarebbe volata, così si disse, mentre cercava di chiudere la porta della camera.

Già aveva fatto molta fatica ad aprirla, adesso la serratura non scattava... o meglio girando il piccolo pomolo di sicurezza non si percepiva l'aggancio e ad Eloise non andava di tenere la porta aperta. Aprì la porta e la richiuse, per vedere se c'era una posizione migliore, quando improvvisamente un piede la bloccò.

Lei rimase un po' interdetta, a guardare la scarpa di cuoio lucido un po' démodé apparsa fra lo stipite e la porta. Poi tirò su gli occhi e incrociò un tipico viso da albergo, anonimo, un po' stralunato, con un velo di sudore attorno al naso.

- Mi scusi se la disturbo - disse appoggiando sul bordo della porta una mano dalle dita tozze ben curate, senza spingere.

- Cosa vuole? - disse Eloise, che non voleva essere sgarbata.

- Niente, le chiedevo solo di non fare rumore, per non disturbare mia moglie - disse l'ometto.

- Sono molto tranquilla, leggo e poi vado a dormire, non si preoccupi.

- È mia moglie che non è tranquilla... Ieri sera è stata disturbata da un sacco di rumori, i muri di queste camere sono carta velina.

E improvvisamente si ritirò, la porta si chiuse, il pomello scattò e Eloise si ritrovò nella sua camera sola e al silenzio.

Scosse la testa, poi sistemò la borsa e fece quello che si fa di solito in albergo: aprì tutti i cassetti e le ante, dove non c'era niente, sfogliò i soliti opuscoli e le avvertenze, che non svelavano niente, non degnò di uno sguardo la TV e si preparò a fare una doccia.

Anche in bagno i micro shampo e i maxi asciugamani erano a posto, tutto corrispondeva alla tranquillità di ritrovarsi in un posto che è sistemato per sembrare consueto seppur mai visto prima.

Eloise andò sotto la doccia e, come era solita, stette ferma sotto l'acqua calda lasciata a scorrere addosso. Stranamente sotto il flusso cominciò a sentire un rumore sordo, come i bassi di certe canzoni da discoteca.

Deve essere qualcuno con la TV alta, si disse.

Quando spense l'acqua il silenzio era tornato totale. A quel punto dietro la tenda della doccia, Eloise vide come un'ombra passare. Sussultò. Non può essere, si disse. Scostò la tenda, sono solo fantasie, si disse. E infatti il bagno sembrava vuoto.

Uscì in fretta dalla doccia e sentendosi un po' inerme nel più grande degli asciugamani andò a controllare che la porta della camera fosse chiusa. Si rilassò vedendo che tutto era a posto, ma quando si girò un grido strozzato le morì in gola. Nel grande specchio verticale sulla parete in fondo c'era una figura diafana che la guardava.

Eloise portò entrambe le mani alla bocca, l'asciugamano le cadde e si sentì ancora più nuda e inerme e il non luogo tornò ad essere una gabbia sconosciuta, pericolosa, terribile.  Sul momento non riuscì a togliere gli occhi dallo specchio: poi razionalmente respirò a fondo, forse si sbagliava, la sagoma sembrava la sua, solo che un alone di vapore l'aveva trasformata in una figura spaventosa.

Raccolse l'asciugamano, si coprì e piano si avvicinò allo specchio: tirò su una mano, e la passò sul vetro a togliere una strisciata di vapore. Ma quella sera non voleva rientrare nella normalità. Guardando lo specchio, lo sporco e i difetti di un vetro troppo vecchio erano disposti come un viso addolorato dalle lunghe occhiaie e capelli sfatti.

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