life.

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Quel giorno avevo deciso di non mettere le lenti a contatto e di uscire con gli occhiali dopo tanto tempo che non lo facevo e misi su un cappello con la visiera di Elle, perchè mi ero svegliata con la voglia di avere qualcosa di suo addosso. Il suo sorriso nel vedermi con quel cappello in testa era impagabile. Eravamo usciti come se fossimo agenti in incognito, lui aveva insistito per farmi indossare la sua giacca fortunata perciò io ero nascosta dentro di essa avvolta dal suo calore e dal profumo del mio migliore amico. Mi aveva portata in spiaggia dove avevo conosciuto il famoso Marco, un venticinquenne entrato da un annetto in polizia che per chissà quale motivo aveva deciso di aiutare noi, due fuggitivi minorenni che per quello che ne sapevo io nemmeno conosceva. Mi sarei dovuta sentire meglio dopo averlo conosciuto, ma dentro di me una vocina mi diceva che c'era altro, molte cose che non mi erano state dette e ciò mi dava un fastidio così grande da farmi quasi impazzire. Eravamo usciti dopo pranzo ed eravamo rimasti ore a parlare di ciò che avevamo fatto prima di arrivare lì e di come era il posto dove stavamo e la gente che ci abitava.

"Dove avete intenzione di andare dopo?" Sbottò Marco ad un certo punto. Io rimasi in silenzio, non ero io a decidere. Elle si irrigidì e lo fulminò, per poi girarsi a guardare l'ora sull'orologio da parete che era al bar. Erano le sette.

"Io dovrei andare a fare delle commissioni, me la porti tu a casa?" Disse lui sorridendo a Marco che annuì e lo salutò con una stretta di mano. Lo seguii con lo sguardo mentre si allontanava e riprendeva la strada che avevamo fatto a piedi prima accelerando sempre di più il passo, avrei giurato che appena girato l'angolo aveva cominciato a correre.

"Quel ragazzo stravede per te" Mormorò Marco perdendosi in una piccola risata. Rimasi impassibile. Non mi andava a genio, odiavo le persone che si comportavano normalmente mentre mi nascondevano qualcosa.

"Cosa state nascondendo?"

"Come scusa?" Si mise dritto sulla sedia e tornò serio.

"So che non mi state dicendo tante cose. Non mi piace. In questa situazione ci sono anche io." Non avevo intenzione di fare la finta tonta per nessun motivo.

"Se non ti vengono dette delle cose è per il tuo bene, lui fa tutto per far stare bene te, se non ci fossi tu starebbe rintanato sotto a qualche ponte in attesa di fare diciotto anni." Sospirò per poi rilassarsi e tornare nella sua postura naturale. "Come ti ho detto, lui non pensa ad altro che a te." Ignorai l'ultima parte, di nuovo.

"Perchè lo fai?"

"Cosa?"

"Questo." Ero stufa di sentirlo che faceva finta di niente.

"Perchè credici o no, non è passato poi così tanto tempo da quando avevo la tua età e volevo andarmene di casa perchè mi sentivo diverso, ero destinato a diventare medico, mentre fin da piccolo sognavo di diventare poliziotto e per i miei era una vergogna, così a diciotto anni me ne sono andato finendo il liceo per miracolo e abitando con la nonna di una mia amica che stava a un ora dalla mia scuola e dal resto del mondo. Non è stato facile, ma mi ha dato una scelta." Non so perchè dopo ciò che mi aveva detto avevo voglia di saperne di più così mollai del tutto il discorso di prima e cominciai a fargli domande sulla sua vita scoprendo che viveva con la ragazza che aveva tanto sognato di frequentare al liceo e che si sarebbero sposati a breve, mi invitò persino al matrimonio ed io mi chiesi dove sarei stata quel giorno, a distanza di mesi da quel preciso istante in cui stavamo parlando. Alle otto si alzò e mi disse che mi doveva accompagnare a casa.

"Non dubitare di lui." Mi disse dopo avermi salutato mentre scendevo dalla macchina.

Ripercorsi il corridoio lercio e stracolmo di cicche di sigaretta ripensando alle cose che mi aveva detto su Elvis ma che io avevo ignorato e una volta arrivata alla porta sospirai e mi dissi di cancellarle dalla mia mente. Bussai due volte.

"Finalmente" Lo sentii dire mentre mi apriva la porta e lo vidi lì davanti, più bello che mai che mi sorrideva. Mi fece entrare e mi tolse la giacca, per poi farmi strada verso il tavolo della cucina che era abbellito con una tovaglia rossa, dei piatti di plastica dello stesso colore e una candela bianca al centro fra i due piatti. Arrossii immediatamente davanti a quella scena e gli saltai addosso abbracciandolo. Non sapevo che dire. Mi disse di mettermi a sedere e mise dei piatti della pasta all'amatriciana, cosa che non vedevo da mesi. Prima di inizare a mangiare di chiese di rimanere in silenzio ad ascoltarlo e così feci.

"Tu...tu sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, anche quando vorrei che tutto terminasse in un istante ti guardo e tu sei lì a tirarmi su di morale anche senza dire nulla, anche se stai dormendo. Non so cosa farei se tu non ci fossi. Sei la mia forza, la mia aria. Tu sei la mia ragione di vita in questo momento. Non potrei desiderare di essere qui con nessun altro."

outsiders | (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora