guilt.

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Era la seconda volta che ce ne andavamo ma non era di sicuro l'ultima. Vivevo costantemente con l'ansia di essere trovata dalla polizia, da qualcuno che aveva visto la mia foto su internet. Era tutto così difficile, ma per fortuna avevo lui che col suo tocco riusciva a far scorrere le preoccupazioni viva dal mio corpo e ogni volta che mi vedeva tesa o in preda a una crisi isterica mi prendeva la testa fra le mani, baciava la mia fronte e mi stringeva fra le sue braccia tenendomi prigioniera tra di esse fino a quando non si accorgeva che mi ero calmata. Quella prigione era confortante, calda e risplendeva ai miei occhi, lui rivoluzionava la mia idea di prigionia.
Quello era proprio un momento di questi.
Era riuscito ad affittare un appartamento discreto dove saremmo potuti rimanere fino a quando avremmo deciso che era ora di scappare di nuovo. Eravamo arrivati dopo due ore e mezza di treno a Terracina e ci eravamo dovuti fare tutto il lungomare per poi arrivare alla zona della Pagoda, dove si trovava questo appartamento. Ce l'aveva affittato un uomo di quelli che al vederli ti sentiresti a disagio perché la parte più razionale di te ti ripeteva che non era una persona affidabile. Sapevo di conoscere quell'uomo ed il luogo dove saremmo andati a 'pernottare'. Era un palazzo per nulla curato i cui pavimenti del pianerottolo erano lerci e cosparsi di mozziconi di sigarette. Il cosiddetto appartamento era un loculo di quelli che vengono affittati agli extracomunitari disperati che hanno bisogno di una casa e sono costretti a vivere in condizioni terribili, poco umane, dall'affittuario. Il numero del nostro, appunto, loculo era il cinque, lo stesso nel quale ero capitata per sbaglio con mia madre l'anno prima, e dal quale eravamo corsi via a gambe levate. Era tutto uguale.
Ciò che mi disturbo l'animo non erano le condizioni pessime in cui eravamo inciampati ma il fatto che mi sembrava di star tradendo mia madre, la quale aveva maledetto quel posto meno di dieci mesi prima.
Lui mi aveva cullata fra le sue braccia non capendo, ma a lui andava bene, non ci chiedevamo mai cosa avessimo nei nostri momenti più bui.
Le sue reazioni, a differenza delle mie, erano più fredde: la notte rimaneva sveglio anche quando ero io a dover vegliare e si metteva davanti a una finestra qualsiasi a guardare fuori, non il panorama, ma il vuoto, i suoi pensieri che prendevano forma come se fossero lì davanti a lui. Io non potevo confortarlo. Mi limitavo a lasciarlo in pace o ad uscire a prendere un po' d'aria e a fumare, perché la sua angoscia influenzava anche me.
Mi stavo calmando piano piano poi però nella mia mente balenó il pensiero che a mia madre non sarebbe interessato che fossi lì, la sua delusione sarebbe stata incentrata sul fatto che ero andata via e chi poteva darle torto? Ricominciai a piangere. Era un pianto isterico come non l'avevo mai fatto in quei giorni, i miei singhiozzi erano interrotti da versi violenti perché cercavo aria, pensavo di non riuscire a respirare. Stavo prendendo coscienza di ciò che avevo fatto.
Lui mi strinse a sè ancora più forte e cominció ad accarezzarmi il braccio con le dita facendo un movimento che sembrava lentamente tranquillizzarmi di nuovo e mi posava le labbra delicatamente sulle guance, vicino all'orecchio, sotto al collo. Lui era il mio calmante preferito, la mia dose di tranquillante adatta, la camomilla calda al punto giusto. Non capivo come avessi fatto a campare fino ad allora senza averlo al mio fianco in ogni istante della mia vita.
I miei singhiozzi si affievolirono e le lacrime cessarono di scendere e mi abbandonai a lui. Alzai gli occhi per guardarlo in faccia e mi premette le labbra all'angolo della bocca, sfiorandomi il labbro inferiore. Fui pervasa da brividi. Non l'aveva mai fatto.
"Facciamo qualcosa di diverso?" Me ne uscii senza nemmeno rifletterci, senza accorgermi di quanto maliziosa quella frase sembrasse in quel momento. Mi guardò con un'espressione interrogativa.
"Portami a Sperlonga"
Non avrebbe capito il senso, probabilmente non mi ci avrebbe portato, ma io l'avevo chiesto comunque, perché dieci mesi prima ci ero stata per la prima volta con mia madre e me ne ero innamorata e per quanto masochista potesse sembrare la mia voglia di andarci io volevo farlo, perché volevo tornarci con lui, ero già stanca di stare chiusa in una stanza a guardarlo; non mi stancava guardare lui, ma avevo paura perché la situazione, noi, noi forse stavamo diventando troppo morbosi e volevo prendere un po' d'aria fresca, senza però allontanarmi da lui.

outsiders | (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora