8. Io rispondo agli ordini

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Il cuore le rimbalzava nel petto così forte che pareva volerle spaccare il torace. Aveva le labbra asciutte, la gola secca, e le spalle già scottate dall'incessante battere dei raggi solari.
-Hei! Chi è quella?!-. Una voce dal tono alterato provenne dalla sua sinistra; Etnia si voltò di scatto, e notificò la presenza di un uomo che fuoriusciva da uno dei capannoni. Dal modo elegante e curato con cui vestiva, fu possibile dedurre che si trattasse di un altro individuo addetto alla direzione dei lavori; ma la ragazza non aveva certo dimenticato ciò che aveva visto pochi minuti prima, e non poté che provare terrore. Sapeva bene di cosa erano capaci quelle persone.
Senza pensarci troppo, scattò via in una folle corsa, e mentre avanzava più veloce che poteva si voltò indietro per assicurarsi che lui non la stesse seguendo. Lo vide impartire ordini a qualcuno con alcuni gesti delle mani, poi la sua figura scomparve dietro alle pareti.
La corsa di Etnia non si fermò; si ritrovò dentro ad uno dei capannoni, a correre tra gli scaffali ed i piani da lavoro su cui un numero imprecisato di Trivial stavano utilizzando delle saldatrici. Alzavano appena la testa al suo passaggio, per poi rimettersi al lavoro come se nulla fosse.
La ragazza, notificando la presenza di una porta alla sua sinistra deviò la sua direzione in modo brusco, tanto che le suole delle sue scarpe emisero un fischio. Gettò le mani sulla maniglia e la aprì con forza, per poi balzare dentro alla stanza senza neppure sapere dove essa conducesse. Per prima cosa richiuse subito la porta, poi con il fiato corto osservò l'ambiente attorno a sé.
La stanza era di medie misure, e si estendeva in orizzontale di fronte a lei. Da ambi i lati erano state posizionate una lunga fila di panchine in ferro, su cui sedevano quà e là circa una decina di Trivial. Avevano tutti un aspetto molto malandato; molti di loro avevano arti fasciati. Pareva essere una specie di infermieria, anche se non c'era nessuno in quella stanza se non i pazienti.
La ragazza avanzò seppur con titubanza, passando proprio nel mezzo. Con la coda dell'occhio si assicurò che nessuno di quegli individui avesse brutte intenzioni, ma poté notare che non si mossero affatto, nemmeno per guardarla. Solo quando ormai era giunta infondo alla stanza, uno dei Trivial convalescenti portò avanti in modo improvviso la mano destra, e tentò di afferrarle il polso.
Etina cacciò un grido e balzò indietro, colpendo la panchina posta sull'altro lato.
-Sei fuori posto- disse lui, tornando subito dopo a fissare il pavimento.
Deglutì nervosamente e riprese a camminare, allontanandosi in fetta da quell'individuo. Ignorando come poteva il fatto che le sue ginocchia tremassero a vista d'occhio, avanzò oltre la porta aperta che trovò infondo, accedendo ad una seconda stanza. Quest'ultima era molto piccola, ed era adibita a magazzino; c'era però un'ultima porta, a destra. A giudicare dal forte fascio di luce che filtrava da sotto, Etnia poté dedurre che conduceva all'esterno.
Non ebbe bisogno di pensare; vi si avvicinò con decisione e la aprì, per poi balzare fuori e correre via. Muoveva le gambe velocemente, impegnando ogni sua forza; e per un attimo le parve perfino di riconoscere, in lontananza, la struttura con i pilastri di cemento che aveva attraversato arrivando dalla città. Mentre correva sulla sabbia gialla sentì nuova speranza nascere dentro di sé, e nello stesso momento in cui sulle sue labbra nacque un sorriso, sentì un forte colpo sul collo e sulla spalla destra.
La ragazza ispirò aria nel polmoni, e della sabbia finì nella sua bocca; si rese conto solo allora di essere distesa a terra. Puntò i palmi a terra e si voltò indietro, trovandosi faccia a faccia con l'individuo che l'aveva appena colpita.
Era un ragazzo, doveva avere circa vent'anni. La guardava dall'alto in basso con la fronte aggrottata, percorrendo la sua figura più e più volte per poi tornare ad osservare il suo volto. Sembrava stesse vedendo per la prima volta un essere a lui sconosciuto.
-Non farmi del male, ti prego- farfugliò Etnia, trattenendo le lacrime. -Voglio solo andare via...-.
Il Trivial, tuttavia, ignorò completamente le sue parole. Con un movimento imprevisto si chinò in modo brusco e la afferrò per le gambe, per pò trascinarla con sé in direzione del capannone da cui era appena uscita. La ragazza emise un lamento e tentò più e più volte di scalciare per liberarsi, ma la presa di quelle mani era troppo forte per lei.
Sentiva la sabbia scottante graffiare la sua pelle, e la stanchezza rendere rigidi e doloranti tutti i suoi muscoli. Riuscì a malapena ad alzare la schiena, giusto quanto bastava per incrociare lo sguardo del Trivial, intento a tirarla a sé mentre superava finalmente la porta. -Ti prego, lasciami andare- farfugliò ancora con un filo di voce.
Ma lui pareva non sentirla neanche. La trascinò lungo il pavimento per molti metri, fino a che non raggiunse una piccola stanza vuota, ove la lasciò andare bruscamente.
Etnia tentò subito di alzarsi in piedi, ma mancò di equilibrio e si accasciò nuovamente a terra. Non c'era una singola parte del suo corpo che non le facesse male, e la disperazione si era ormai fatta strada nella sua mente. La pelle delle sue braccia e della sua schiena era arrossata e graffiata; per la prima volta nella sua vita, si rese conto di cosa fosse il dolore.
Il Trivial ebbe cura di chiudere bene la porta d'ingresso a quella stanza, affinché nessuno potesse uscire o entrare; la sbatté con forza e la bloccò con una spranga di ferro; infine, con evidente soddisfazione, si voltò verso di lei.
I suoi occhi erano azzurri. Etnia poté notarlo, ora che lo guardava meglio. Il ragazzo se ne stava lì in piedi davanti a lei, senza muoversi né dire una parola. Era calvo, proprio come tutti gli altri; ma a distinguerlo c'era una cicatrice, posizionata sopra al naso, che albergava su entrambe le guance all'altezza degli zigomi. Nel vederla, nella mente di Etnia non poté che riapparire l'immagine di quell'uomo che aveva visto morire davanti ai suoi occhi; a causare quella ferita, doveva essere stata una situazione analoga.
La pelle del ragazzo era particolarmente pallida, segnata in più punti da graffi superficiali e lividi; e le sue labbra, che adesso teneva strette, erano letteralmente ricoperte di tante piccole cicatrici verticali. Dovevano essere quelle di cui il vecchio le aveva parlato.
Aveva il torso nudo; il suo fisico era asciutto e vantava una muscolatura piuttosto evidente, specialmente sulle braccia e sulla pancia, pur avendo una corporatura slanciata.
-Ti prego..- ripeté ancora una volta la ragazza, tonando a sollevare la schiena da terra -Non farmi male, non farmi male-.
Il Trivial piegò leggermente la testa di lato, senza mai staccarle gli occhi di dosso.
-Io rispondo agli ordini- disse. La sua voce era lievemente roca, ed il tono con cui aveva pronunciato quella frase lasciava trasparire una velata tristezza, come cercasse di nasconderla.

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