Capitolo 17

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PAIGE

Aiden ed io salimmo le scale in assoluto silenzio per arrivare al suo appartamento. Durante tutto il tragitto fino al pianerottolo dovetti strofinare le mani sudate sui pantaloni almeno una decina di volte: dire che fossi agitata era decisamente un eufemismo. La mia preoccupazione era alle stelle e quella situazione mi creava disagio, non tanto perché avrei passato la notte a casa di due ragazzi, piuttosto perché non ero perfettamente sicura che sarei riuscita a trattenere qualcosa di stupido da parte mia, perché in fondo diciamolo: le labbra di Alec erano qualcosa di fenomenale. Mi facevano sentire a casa. Ma c'era sempre una piccola parte di me che mi tratteneva dal lasciarmi trasportare, ed io mi ci aggrappavo con tutte le forze.

Venni riscossa dai pensieri quando sentii la chiave girare nella serratura e, successivamente, la porta aprirsi.

Non mi aspettavo molto da quell'appartamento in quanto a pulizia, ma mai mi sarei aspettata una cosa simile. Davanti ai miei occhi si mostrò uno scenario apocalittico di abiti sporchi a terra, bottiglie di birra sparse sul divano macchiato di solo Dio sapeva cosa, videogiochi lasciati sul tavolino che una volta doveva essere bianco e, per mia sfortuna –o fortuna- un Alec mezzo nudo sulla porta della cucina, con una merendina tra i denti ed i capelli tutti stropicciati.

Deglutii e pregai che non si notasse la mia voglia di corrergli in contro e toccare quegli addominali scolpiti, frutto di duri allenamenti, come quelle cosce muscolose adatte alla fisionomia del suo corpo alto e possente.

Alec era sicuramente una delle sette meraviglie di questo mondo, non c'erano dubbi, ed il lasciarsi trasportare da lui sarebbe stata una cosa che tutte le donne - o per lo meno la maggior parte - avrebbero desiderato. Ed io ero talmente stupida da cercare di respingerlo.

«Mousse, che sorpresa! Se avessi saputo che saresti venuta a farmi visita mi sarei presentato meglio.» ammiccò con quel sorrisetto compiaciuto.

«Smettila di fare l'idiota e vatti a vestire.» lo ammonì il fratello, richiudendosi la porta alle spalle.

Scavalcai con fatica i diversi panni sparsi per il pavimento e mi domandai con quale coraggio facessero entrare le persone in un posto del genere. Avrebbero dovuto chiamare una di quelle persone malate dell'ordine che si presentano in quelle serie televisive che trasmettono alle tre di notte.

«Penso che a Mousse non dispiaccia vedermi in mutande.» rispose fissandomi.

No, infatti, avrei voluto dire, ma fortunatamente quel commento decisamente inappropriato si fermò sulla punta della lingua.

Deglutii per la seconda volta e mi voltai, improvvisamente incuriosita da quella splendida lampada tutta impolverata che si trovava accanto alla tv.

«Alec, se non vai a vestirti immediatamente vengo lì e quant'è vero che sono tuo fratello ti tolgo tutto ciò che abbiamo in comune.» ringhiò incrociando le braccia al petto.

Alec ridacchiò e si appoggiò allo stipite della porta «Piuttosto, mi spieghi la situazione? Ad esempio: perché siete entrambi bagnati fradici? E perché lei è qui? Non che mi dispiaccia ovviamente, anzi, sono mesi che aspetto questo momento.»

«Se non te ne fossi accorto, deficiente, fuori sta scendendo il mondo. Hanno chiuso le strade e tornare all'Università a piedi sarebbe stato da incoscienti. Resterà da noi per questa notte.» spiegò, mentre io mi affacciavo alla finestra per riuscire a scorgere qualche minimo segno di vita... ma nulla: solo pioggia e distruzione. La punta degli alberi ormai toccava terra a causa del forte vento, e l'acqua accumulatasi per le strade, scorreva come fosse un torrente.

«Capisco, be', immagino abbiate bisogno di una doccia.» mi voltai verso Alec, perché il tono di voce con cui aveva esposto il suo pensiero mi aveva fatto venire la pelle d'oca. La malizia nella sua voce era percepibile e non mi stupii quando si beccò uno schiaffo dal fratello.

SORRIDIMIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora