Chiamatemi Noah. La mia vita non era mai stata caotica o frenetica. Mi avevano inculcato degli ideali ben precisi: lavoro e famiglia. E dal primo autunno della mia vita ho sempre pensato che avrei sempre seguito questi due principi. Infatti, compiuta l'età giusta, smisi di aiutare la mia famiglia nella fattoria e mi misi immediatamente all'approfondita ricerca di un lavoro più proficuo.
E fu così che, quando tornai a casa con la notizia che mi avevano assunto alla fabbrica del paese, mio padre aprì una delle sue più buone bottiglie di vino e mia madre mi premiò con uno dei suoi accoglienti sorrisi. Mio padre, suo padre prima di lui, il padre di suo padre e via così, avevano lavorato per tutta la vita in quella fabbrica, fin quando non morì il fratello di mia madre e lui prese le redini della sua fattoria per far piacere a mia mamma; non era di certo il lavoro che avevo sempre sognato, anzi, ma non si poteva dire che non fosse ben pagato. A parte un altro lavoro non avevo molti altri sogni, dalle mie parti si viveva pensando a tenere i piedi ben saldi a terra per non rischiare di cadere e farsi male. Una vita piatta, senza rischi e ricompense. E così gli abitanti rimanevano sempre incastrati nella piccola contea, troppo stretta per sogni e avventure. Una prigione senza sbarre né pareti, creata da loro stessi; apparentemente invalicabile. Dopo tutto, come si supera qualcosa che non esiste se non nelle menti delle persone? Tutto era immutato dalla nascita della città, la piccola taverna nella minuscola via principale era frequentata dalle stesse persone ogni giorno, tranne nelle rare occasioni in cui facevano la loro comparsa alcuni turisti che smarrivano la strada, e allora al bancone si vedevano delle facce nuove. Essa era circondata dalle piccole botteghe che tutti conoscevano e frequentavano quotidianamente come la pasticceria o la sartoria. Insomma, Silverston era tutt'altro che in continua evoluzione, era la casa in cui sarei abitato per sempre, imprigionato come tutti gli altri nella monotonia della vita quotidiana. Avrei sposato una donna del luogo di cui probabilmente non mi sarei innamorato, avremmo avuto dei figli che a loro volta sarebbero vissuti qui con il loro figli e avrebbero lavorato nello stesso posto per tutta la vita e così via.Nella mia vita quindi non c'era spazio per la fantasia.
Se non fosse che un giorno, arrivarono degli sconosciuti in città. Due signori con i loro figli acquistarono la casa accanto a quella della mia famiglia, fu un evento talmente insolito che non si parlò d'altro per giorni in città. Gli stranieri non venivano quasi mai a Silverston da quando con l'arrivo della nuova rete stradale avevano tagliato fuori la piccola cittadina. La cosa ancora più strana, che tutti notarono, io compreso, fu che non erano affatto americani: la famigliola, infatti, arrivava dal nord europa, con voglia di cambiare radicalmente la loro vita. Non proprio il posto ideale in cui ricominciare, pensai. Ma da lì a breve si amalgamarono bene con gli abitanti, tranne la figlia maggiore.
La ragazza più bella che io avessi mai visto. Due grandi occhi verdi in contrasto con la pelle chiara, che sembrava sempre accarezzata dal sole, scrutavano il mondo circostante.
La vidi più volte fare cose che non mi sarei mai sognato di fare. La sera se ne stava per ore sdraiata nel prato dietro casa a guardare le stelle, e io stavo per ore seduto sul davanzale della finestra di camera mia ad ammirare il suo sorriso e gli occhi che brillavano sotto la luce della luna.
E mi innamoravo di lei, ma mi resi conto di questo solo dopo molto tempo.
Aveva l'aspetto più bello e allo stesso tempo buffo che avessi mai visto, con ogni gesto sembrava chiedere scusa per essere bella o intelligente e sicuramente non voleva stare al centro dell'attenzione: mi accorsi spesso che sembrava nascondersi dietro ai libri e scrutare da dietro la copertina il mondo circostante.
Ogni volta che incrociavo il suo sguardo per le vie della città lei sorrideva e non riuscivo a fare altro se non abbassare lo sguardo e arrossire. Fin quando un giorno, dopo settimane dal loro arrivo, ci incontrammo sul vialetto di casa e fui costretto a restare faccia a faccia con lei, sorridendo timidamente."Finalmente. È crudele quanti sorrisi non siete riuscito a cogliere." disse dolcemente.
Pensai che avesse l'accento più strano e dolce che avessi mai sentito.
"Chiedo scusa." sorrisi, questa volta dal cuore. Il suo grande sorriso luminoso mi trasmetteva una certa euforia e mi sentii mancare la terra sotto ai piedi, una sensazione completamente estranea.
"Diciamo che ti perdonerei se questa sera avessi voglia di venire con me alla fiera. Sai, non è bello essere quella nuova." disse per rompere il ghiaccio, molte volte avevo pensato di invitarla, perciò annuii soddisfatto, anche se non riuscivo proprio a capire perché volesse andarci con me.
"Noah." le porsi una mano.
"Adaline." la strinse e sentii una scossa di elettricità attraversarmi tutto il corpo, fui tentato di baciarle ogni centimetro di quel suo bellissimo viso, ma rimasi buono al mio posto. Sarebbe sembrato un po' fuori luogo. Non pensavo nemmeno che un semplice tocco potesse far provare tante emozioni in una volta sola.
Tornai a casa con il sorriso stampato in faccia, tanto che mia madre si interruppe nel svolgere i lavori di casa per guardarmi: "Non ne starai combinando un'altra delle tue, vero Noah?" chiese.
Per tutta risposta le afferrai le mani e improvvisai con lei un liscio nel piccolo salotto, entrambi ridendo. "Quindi lei come si chiama?" sorrise dopo un po', tornando a pulire le cornici sul mobile.
Arrossii impercettibilmente e sorrisi, me ne andai in camera mia lasciandole un bacio sulla guancia, senza aggiungere una parola. Le sentii appena borbottare un "Uomini.." mentre salivo le scale e immaginai che stesse sorridendo. Mia madre era davvero una gran donna. Mi feci una doccia e cercai di rendermi il più presentabile possibile e scesi di sotto, accompagnato dai fischi di Jeremy, mio fratello, che mi urlava per le scale che ero un vero schianto. Mia madre mi sorrise dolcemente e mio padre scostò appena il giornale dal viso per squadrarmi meglio;
"Vado alla fiera!" annunciai uscendo dalla porta, ma mia madre mi prese per un polsino della camicia, "Noah J. Jones, devi dirmi il nome della tua donzella prima."
"Sono solo con qualche collega.." le sorrisi. E in quel momento Adaline fece la sua comparsa nel vialetto di casa, con i suoi bellissimi capelli lunghi che ricadevano sul suo vestito azzurro e non ebbi più scampo.
"Buonasera, signora Jones," salutò gentilmente mia madre che era uscita sulla veranda ad accoglierla. "Noah è pronto?"
Uscii con uno sguardo colpevole sul volto, colto in fragrante. Mia madre mi colpì delicatamente sul braccio, "Oltre che bugiardo pure un cavaliere pessimo, di solito le fanciulle si vanno a prendere a casa e non viceversa."
"Lo so, mamma, scusa. Non so perché Adaline sia già qui, dovevo andare io da lei." la salutai con una bella espressione da 'mi farò perdonare' e scesi i tre scalini che ci separavano.
"Ero già pronta e ho pensato di passare, non pensavo fosse un problema." si scusò rapidamente, arrossendo.
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NORTH STAR
RomanceStella del Nord (Polare) 1. Una stella che non si muove nel cielo e che può condurre a casa. 2. Qualcosa di costante e immutabile in un mondo in continua evoluzione. Ogni volta che mi sento perso cerco te. Photos credit: Pinterest