Ch. 5

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Il tanto atteso giorno delle stelle era arrivato, erano passati due giorni dall'ultima volta in cui avevo visto Adaline, eppure avevo il suo viso e i suoi lineamenti ben incisi in testa, come se fosse stata proprio davanti a me. 

Il tempo parve andare a rilento per tutto la mattina, in fabbrica tutto procedette come al solito, niente di eccezionale era in programma quel giorno per i miei colleghi, ma non per me. Io aspettavo con impazienza che la sera arrivasse e che portasse con sé il mio appuntamento con Adaline. Mi sentivo emozionato come un bambino che aspetta insonne l'alba per alzarsi dal letto e aprire i doni di natale. Questi furono i miei pensieri finché un fulmine non tagliò a metà il cielo cupo durante la breve pausa pranzo e mi dichiarò prepotentemente che quella sera non ci sarebbero state stelle, visto l'imminente arrivo della pioggia.

Demoralizzato, tornai a casa qualche ora dopo, gocciolando sul pavimento appena lavato di mia madre, la quale riuscì a non sgridarmi solamente perché vide la mia aria abbattuta. "Tutto bene, Noah?" 

"Piove." sospirai salendo in camera mia per asciugarmi e mettermi qualcosa di asciutto, lasciando dietro di me una scia di leggere impronte di fango. Avrei voluto arrabbiarmi e sbattere la porta, urlare, andare da Adaline, ma non feci niente di tutto ciò, perché sarebbe sembrata folle una reazione così solo per un temporale. Erano quasi le otto di sera e si avvicinava l'ora del nostro incontro, rassegnato presi un libro qualunque dallo scaffale sopra al letto, mi avvolsi in una coperta e scesi in veranda a leggere. Da lì potevo vedere il retro della casa di Adaline, ma non vi badai affatto perché nei trascorsi due giorni non la vidi nemmeno di sfuggita, intenta ad andare a fare la spesa o a chiacchierare con la madre. Mi misi in uno dei due divanetti in vimini sul portico, più precisamente a quello che mi permetteva di guardare dentro casa mia e mi isolava dal resto del mondo circostante. Dalla finestra del salotto ben illuminata davanti a me potevo vedere i miei genitori parlare tra loro sorridendo e scherzando. 

Erano sposati da ben 24 anni e continuavano ad amarsi ogni giorno nonostante tutto, nonostante il trascorrere del tempo, l'invecchiare, i figli, i problemi economici e di salute. Si amavano davvero, da quando 30 anni prima mia madre, assistendo i feriti di guerra all'ospedale locale, non si trovò a badare a un perfetto sconosciuto che la fece innamorare perdutamente. Il giorno seguente alla dimissione dall'ambulatorio di mio padre, lui si presentò di nuovo lì in una sgargiante auto rossa decappottabile, presa in prestito da mio nonno a sua insaputa e attese fiducioso che mia madre uscisse. Da quel giorno rimasero sempre insieme, anche se questi erano i pochi dettagli che io e i miei fratelli eravamo riusciti ad estorcere sulla loro storia d'amore, visto che i miei si rifiutavano di raccontarci di più. 

Il suono dei tuoni sopra di me sembravano schernirmi, dicendomi che non avrei mai trovato nulla di simile nella mia vita, quindi mi immersi nella lettura per evitare di pensarci. Due braccia calde e allo stesso tempo umide mi cinsero il collo da dietro, capelli lunghi e al profumo di fiori mi solleticarono le orecchie e nella mia pancia si creò di nuovo quella strana sensazione. Mi basai su essa per capire chi fosse. La afferrai da sotto le cosce e la portai a sedere sulle mie gambe, trovando di fronte a me il viso sorridente che avevo aspettato di vedere per due giorni.

"Che ci fai qui?" chiesi contento, assicurandomi che la coperta marrone che avevo avvolto sulle mie spalle coprisse anche lei, lei sorrise di quel gesto e perché coprisse entrambi si appoggiò al mio petto e incastrando la testa sotto al mio collo. Prese cautamente le mie mani e le portò timidamente ad allacciarsi davanti alla sua pancia. Mi presi un momento per memorizzarci così, seduti in veranda, lei stretta nel mio abbraccio, il suo profumo di fiori tutt'intorno a me.

"Avevamo un appuntamento, no?" bisbigliò, incastrando meglio la fronte contro il mio collo. Vidi mia madre passare davanti alla finestra e guardarci visibilmente soddisfatta, pensai che l'indomani mi avrebbe riempito di domande.

"Pensavo che con la pioggia non ci fossero le stelle.." scherzai e lei mi guardò seria per un attimo, poi rise: "Forse per te sarà una notizia sconcertante, ma anche in Europa quando piove non ci sono le stelle."

Sciolse le mie dita intrecciate posate sulle sue cosce e si alzò velocemente, tanto velocemente che pensai volesse scappare da me, poi si voltò mordendosi il labbro in concentrazione: "Ma questo non ci fermerà, ti fidi di me?" esplose in un sorriso e mi porse la mano. Sollevato mi alzai e l'afferrai. 

"Te l'ho detto, con te verrei ovunque." 

"Questo non dovevi proprio dirlo." rise, scese i tre scalini che ci separavano dal vialetto di casa tenendomi per mano e cominciò a correre sotto la pioggia, trascinando dietro di sé un Noah preso alla sprovvista che cercava di non inciamparsi mentre cominciava a correre, verso una meta sconosciuta. Mi chiesi più volte come aveva fatto a non cadere con i tacchi che aveva, ma ricevetti mai una risposta.

Si fermò solo quando raggiunse la piccola piazzola deserta in fondo al quartiere, una musica leggera in sottofondo proveniente dal bar all'angolo poco distante rendeva il tutto più surreale, ormai eravamo fradici, ma non ci importava.

"Con la pioggia è ancora più divertente, vero?" sorrise, mi teneva ancora la mano, anche se eravamo fermi. Smise di parlare per ascoltare la nuova canzone e disse eccitata: "Balla con me."

Inizialmente pensai che scherzasse, ma quando posò la mia mano che teneva ancora stretta sul suo fiancobagnato , capii che era seria. La portai più vicina a me e cominciammo a muoverci scompostamente, improvvisando un piccolo liscio. Aveva i capelli schiacciati sul capo che gocciolavano e il trucco leggermente sbavato, ma pensai comunque che fosse più bella che mai.

Ballammo, ballammo e continuammo a ballare per tutta la sera, ma quando cominciò a fare troppo freddo le dissi che era ora di tornare a casa, perché non avrei mai voluto che si ammalasse. Protestò pigramente, ma infine si arrese e la riaccompagnai fino alla porta di casa. 

"Grazie Noah, credo che tu sia l'unico disposto a ballare con me sotto la pioggia." mi sorrise per un attimo, poi si avvicinò e mi lasciò un bacio sulla mandibola. "E comunque sei l'unico con cui vorrei farlo." bisbigliò al mio orecchio prima di allontanarsi. La sensazione che aveva tormentato il mio stomaco per tutta la sera si intensificò.

In quel momento il portone di casa si aprì e ne uscì un uomo con un'espressione molto seria, quasi di disdegno nel vedere la figlia ridotta così con uno come me. 

"Papà, lui è Noah." gli disse e lui fece un veloce sorriso di circostanza increspando leggermente gli angoli della bocca, che sparirono dietro i folti baffi neri. Sorrisi e gli porsi la mano, "E' un piacere, signore." la strinse intimidatoriamente e si ritrasse.

"Ora va ad asciugarti Adaline, prima che tu ti prenda un malanno." sentenziò nuovamente serio. Lei annuì e si voltò verso di me, mi rivolse un ultimo caloroso sorriso e mi lasciò la mano che aveva stretto fino a quel momento per sparire dentro casa, fuori dalla mia vista. Ma non mi importò perché per un momento io fui davvero felice. Mi allontanai sotto le ultime gocce di pioggia che cadevano silenziose dal cielo pensando a quello che era successo quella sera con un sorriso stampato in volto. 

Era davvero riuscita a farmi ballare per ore sotto la pioggia? Sì, e non sarebbe nemmeno stata l'unica cosa fuori dal comune che sarebbe riuscita a farmi fare, eppure da quel momento in avanti, ogni singola goccia di pioggia che avrei visto mi avrebbe fatto pensare a lei.

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