Ch. 3

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La mia camicia azzurra da lavoro piegata in fondo al letto mi suggeriva che il mio giorno di riposo era finito e che dovevo tornare alla solita routine, anche se l'avrei fatto aspettando impazientemente per tutta la giornata che la sera del giorno seguente arrivasse, perché sarei andato a vedere le stelle con Adaline e il pensiero bastò a darmi la carica necessaria per alzarmi dal letto e prepararmi. Scesi al piano di sotto dove trovai il caffè fumante nella mia solita tazza rossa, mia madre girata di schiena ai fornelli. Camminai molto lentamente verso di lei per non farmi sentire e quando fui abbastanza vicino per urlarle un bel 'Bu!', da uomo di 20 qual'ero, lei mi salutò, sempre senza voltarsi. "Noah."

"Ma come diavolo.." mi sedetti al tavolo titubante e sconsolato a causa dello scherzo non riuscito.

"Il linguaggio, Noah. E sono tua madre, ti conosco." disse scuotendomi davanti al viso la spatola di legno con cui stava girando la pancetta nella padella, come se fosse una minaccia scherzosa. "Com'è andata ieri la fiera, caro? Daphne Turner mi ha raccontato di averti visto con una ragazza molto bella, ho immaginato fosse Adaline. Vi siete divertiti?"

"Non avrai nessun particolare, mamma." dissi bevendo l'ultimo sorso di caffè e poggiando la tazza sporca nel lavello, "però sì, è andato tutto bene."

"Cosa avete fatto di bello?" tentò lei.

"Nessun particolare ho detto. E poi non sei tu ad avermi detto che le storie d'amore devono rimanere segreti sulle labbra degli innamorati? Ce lo ripetevi in continuazione quando eravamo bambini e vi chiedevamo come vi siete conosciuti tu e papà." sentenziai soddisfatto, sapendo che non avrebbe più ribattuto. 

"Storia d'amore, Noah?" sorrise ampiamente lei, con gli occhi che luccicavano dall'emozione. 

Sentii le guance avvampare e scossi debolmente la testa imbarazzato, aprii la porta e la salutai con un cenno della mano. 

"A sta sera, tesoro." disse lei per tutta risposta, ancora visibilmente contenta dalla mia precedente affermazione. Cercai di levarmi il pensiero del termine che avevo appena usato, innamorati, non appena sentii la porta d'ingresso sbattere dietro di me, ma non ci riuscii.

Il resto della giornata a lavoro passò tranquillamente come sempre, la fabbrica del paese in cui lavoravo produceva e assemblava i motori destinati alla fabbrica automobilistica del paese accanto, in cui tutti i miei colleghi volevano lavorare per far progredire la loro carriera lavorativa, "per allontanarsi da Silverstone" dicevano a mo' di spiegazione e io avrei continuato a chiedermi per tutta la vita come lavorare nel paese confinante alla propria cittadina natale potesse significare allontanarsene. Fino a qualche giorno prima desideravo lo stesso, ma non più dall'arrivo di Adaline nella mia vita. Anche se aveva fatto parte della mia vita solo per ventiquattrore aveva risvegliato in me una curiosità rispetto al mondo circostante che non sapevo di avere. Con i suoi racconti stravaganti sull'Europa mi aveva fatto desiderare di saperne ancora e ancora, per poi un giorno poterci andare. Mi sentivo come quando da bambino si vuole sapere di più sulla vita e si catturano gli insetti per studiarli, quella curiosità impacciata che non si sa bene come gestire. 

Dalla mattina e per tutta la sera non feci altro che pensare ad Adaline, senza caprine perché e la cosa cominciò a turbarmi al punto che quando Mike, il mio amico giostraio, mi chiese di uscire con lui quella sera accettai; cosa che solitamente non avrei mai fatto dovendo lavorare il giorno seguente, ma avevo bisogno di distrarmi. Mi chiese di andare a casa sua e di aspettarlo sul portico e quando uscì aveva tutt'altro che un bell'aspetto. Gli occhi rossi e gonfi mi suggerirono che le cose per lui non andavano affatto bene, ma quando aprii la bocca per chiedergli il motivo lui mi ammutolì con uno sguardo, "non qui." bisbigliò stancamente e si incamminò lungo il viale, dritto verso il bosco. 

NORTH STARDove le storie prendono vita. Scoprilo ora