L 'INIZIO

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Viola, bambina mia, un giorno forse leggerai queste pagine, scoprendo dentro le mie parole tutte le debolezze e le paure che ho cercato di celare dietro un fragile sorriso, tutti i tormenti inconfessabili e ciò che spesso avrei voluto dirti, ma che invece soffocavo dentro di me.

La mia necessità di trovare qualcuno pronto ad ascoltare in silenzio, senza risposte, senza giudizi, senza consigli, mi ha portato su questi fogli bianchi, che si stanno riempiendo di tutto quello che improvvisamente ha stravolto la mia vita.

Tutto è cominciato in un caldo pomeriggio di fine agosto, quando io e papà, soli, nel silenzio di un luogo lontano da ogni disturbo cittadino, passeggiavamo, assaporando il lento trascorrere del tempo, ancora leggeri, ignari del fatto che stavamo andando incontro a un'inarrestabile susseguirsi di eventi.

Io e tuo padre... innamorati da sempre, innamorati per sempre, fuori dal tempo, dai consueti schemi coniugali appiattiti dall'abitudine, sposi uniti da vent'anni ma ancora appassionati e senza età, forti della nostra unione esclusiva e sofferta nel tempo.

Ti ha sempre divertito la nostra soffocante dipendenza reciproca, le emozioni quasi adolescenziali fissate in una necessaria vicinanza fisica; hai sempre partecipato con gioia a questo amore vivo, vero e sentito.

Il tuo papà mi teneva per mano quel pomeriggio afoso, mentre passeggiavamo ancora ignari di ciò che stava per accadere, insospettiti solo da qualche remoto timore.

«Ci chiamano loro quando hanno i risultati?» mi ha chiesto all'improvviso, continuando a tenere lo sguardo fisso verso l'orizzonte.

Io non ho risposto subito, ho dovuto prima soffocare la paura che mi ha assalito.

«Sì, ma ho bisogno di credere che andrà tutto bene! Non posso pensare che tutto questo accada a Viola e ci sono presupposti che mi rendono fiduciosa».

Non era vero! In realtà io sapevo che qualcosa nel tuo corpo aveva perso il suo equilibrio, ma volevo attaccarmi alla remota speranza di aver sbagliato, che per una volta il mio istinto materno avesse fallito, così come mi aggrappavo in quel momento alla sua mano.

Poi il telefonino ha squillato. Per un attimo siamo rimasti immobili, come se quel suono non ci appartenesse.

«Mi dispiace, le analisi hanno evidenziato la presenza di Diabete Mellito. Dovete correre subito in ospedale perché i valori sono molto alti» mi disse una voce desolata per lo sgradito compito.

Guardavo gli occhi di papà mentre il dottore mi parlava; le lacrime scendevano silenziose e quella frase s'imprimeva indelebile nella mia vita. Quasi non riuscivo ad ascoltare e capire quelle parole lontane, poco conosciute, ma allarmanti. Annegavo nella paura, sentivo crescere in me una disperazione che non trovava appigli, disarmata di fronte a qualcosa di cui distrattamente avevo sentito parlare, che in fondo non conoscevo affatto.

Quella telefonata aveva reso il nostro sospetto una realtà, quella paura, che abitava in fondo a noi stessi e che istintivamente cacciavamo, si era materializzata. Avevi solo undici anni e da quel momento e per sempre avresti avuto il Diabete.

Il tuo papà mi ha stretto forte a sé, non c'è stato bisogno di parole, ambedue sapevamo che il senso di pace dell'anima, la leggerezza del sentire, l'armonia delle emozioni, le certezze e il privilegio inconsapevole di godere di tutto ciò, si erano in quel momento bruscamente spezzate.

In un attimo la nostra vita ha avuto un altro inizio, senza nemmeno la percezione chiara che quella vissuta fino a quel momento si era interrotta.

Noi due, impotenti, incapaci, soli in quella strada vuota come le nostre menti svuotate da ogni pensiero e da ogni energia, senza nessuna via di scampo, eravamo costretti a guardare quella realtà soffocante e affrontarla, schiacciati da un'infinita quantità di emozioni e pensieri che si accavallavano in conflitto tra loro e non lasciavano spazio alla ragione: senso di colpa, terrore, impotenza, smarrimento, dolore, fallimento per l'incapacità di esprimere l'istinto di protezione innato di un genitore.

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