Sul pullman non vidi né l'uomo che mi fissava, né Eloisa.
Ma io non mi ero svegliato male come il giorno prima e fu un bene. Certo non sprizzavo gioia per andare a scuola alle otto, ma nemmeno avrei ucciso qualcuno.
Quel giorno avevo delle materie abbastanza piacevoli quindi anche la giornata scolastica passò in fretta. Poi era sabato e il giorno dopo sarebbe stato una placida e molle domenica di ottobre.
Per tutta la giornata non avevo rivolto la parola a Tesla per colpa di quell'arrivederci.
Alla fine della lezione mi dissi che dovevo assicurarle che non volevo davvero dire così. Mi sarei inventato qualche scusa del tipo, 'perdonami mi ero appena drogato' o 'sto prendendo degli antibiotici' o 'il mio cervello era ostaggio di qualche alieno'.
La cercai alla fermata e la trovai separata da tutti gli altri.
Stavo andando a parlarle, quando mi accorsi che stava litigando con il suo ragazzo.
Mi spostai dietro una macchina nel parcheggio vicino alla fermata e continuai a guardarli da lì: gesticolavano e alzavano la voce, ad un tratto lui le tirò uno schiaffo e a lei morirono le parole in bocca.
Una lacrima le rigò la guancia e poi si allontanò da lui correndo.
Provai l'istinto irrefrenabile di andare da lui e smontargli la testa con un pugno.
Ma Tesla mi avrebbe odiato se mi fossi impicciato nei suoi affari. Era fatta così.
E poi era arrivato l'autobus.
Quando feci per andare alle porte mi accorsi di essere dentro una pozzanghera.
Ero sicuro di non esserci entrato da solo, di mia volontà, e anzi ero quasi certo che non ci fosse nemmeno, prima.
Purtroppo rimanendo a pensare a questa cosa fui praticamente l'ultimo a salire sul pullman e rimasi in piedi accanto alle porte d'entrata. Ogni volta che ripensavo alla scena a cui avevo assistito mi fremevano le mani e mi sembrava quasi che l'aria diventasse più umida e calda.
A casa mangiai nuovamente un po' di avanzi riscaldati nel microonde.
Con lo stomaco pieno mi buttai sul divano e cominciai a leggere un vecchio libro di Hemingway.
Verso le quattro dissi a mia madre, che stava dando da mangiare alla mia sorellina, che sarei uscito a far fare una passeggiata al mio cane.
Tolsi i quaderni dallo zaino di scuola e me lo misi in spalla.
-Bolbo? - chiamai, ma non ce n'era bisogno perché era già arrivato allo sferragliare del guinzaglio.
Glielo agganciai con non poca difficoltà, perché continuava a muoversi per l'agitazione.
-ciao- dissi mentre chiudevo la porta alle spalle.
Mia mamma mi sorrise e Il Signor Emerald, così si chiamava il mio gatto, miagolò.
Mollai il guinzaglio al mio cane, un pastore maremmano bianchissimo ed enorme.
Me lo avevano preso i mei quando avevo circa dieci anni e lo avevo adorato subito. Il pelo così morbido e lungo, il volto sorridente e simpatico.
Avevo tentato di salirgli in groppa qualche volta perché lo avevo visto fare in un film ma lui si accasciava a terra e rendeva tutto inutile.
Non so perché lo chiamai Bolbo. Non è nemmeno un vero nome.
Credo mi piacesse come suonava. Mi dava un senso di 'grassoccio e molle' come era lui a quel tempo. Così, Bolbo.
Bolbo afferrò il suo guinzaglio con la bocca e scese le scale trasportandosi da solo.
Uscimmo in giardino e ci dirigemmo verso il parco.
Feci una strada più lunga per passare davanti alla casa di Eloisa.
Attraversammo diverse stradine schiacciate tra vecchie case e passammo per la tangenziale.
Bolbo mi seguiva poco più indietro, guinzaglio tra i denti, distratto dai mille odori che incontrava.
Quando eravamo a un centinaio di metri dalla casa di Eloisa la sua porta si aprì e lei uscì arrabbiata. Uno zaino sulle spalle.
- brava va via- ruggì qualcuno da dentro.
-sta zitto- urlò lei e lui sbattè la porta.
Diventai bordeaux e pensai di fuggire indietro, ma lei mi vide e disse.
- ah, ciao che ci fai da queste parti?
-porto, porto a spasso il cane. – indicai Bolbo che era a venti metri di distanza, intento a chiacchierare con un altro cane.
- o almeno lo accompagno. – aggiunsi. –tu? -
-me ne vado-
-dove vai?
-via-
-perché?
-mi sono stancata-
-di cosa?
Non rispose.
- non credo sia una buona idea.
Lei si girò –non importa.
Stetti zitto un attimo –ti accompagno.
Tesla accarezzò il mio cane tra le orecchie e io la raggiunsi.
Senza che nessuno avesse detto niente ci dirigemmo verso il parco. Scendemmo le lunghe e ripide scalette e raggiungemmo una panchina.
Era molto vecchia e scrostata ma nessuno di noi ci fece caso. Lei si sedette nella sua tipica posizione.
- mi dispiace. - dissi e liberai Bolbo dalla stretta del guinzaglio.
-non c'è nulla di cui dispiacersi... a volte viviamo con dei demoni di cui non conoscevamo l'esistenza.
Abbassai lo sguardo.
-ti saresti arrabbiata se avessi dato un pugno a Thomas?
-si. Non voglio vendicarmi. Non sono un barbaro.
Risi. -la sua stessa inutile esistenza è già una punizione.
Questa volta rise lei.
Si girò e mi guardo negli occhi.
Il tempo sembrò dilatarsi, come i pochi secondi seguenti sembrarono durare in eterno.
Mentre Eloisa mi guardava qualcosa mi colpì sulla nuca e dei pallini colorati mi balenarono davanti agli occhi.
Caddi dalla panchina stringendomi la testa.
Caddi sul terriccio pieno di foglie secche quasi al rallentatore. Polvere e terra si spostarono all'impatto.
Il rosso arancio autunnale che ci circondava sembrò diventare tutto grigio per un attimo.
Riacquisii del tutto la vista giusto in tempo per vedere un uomo trattenere un'Eloisa scalpitante, chiuderle la bocca con una mano e scomparire in un incendio che dilaniò per un istante tutto il freddo del parco. Mentre uno prendeva i nostri zaini e si librava in aria, un uomo si buttò sopra di me, mi bloccò le mani dietro la schiena con una delle sue e mi posò l'altra sulla testa spingendomela sul tappeto di foglie. Disse qualcosa di incomprensibile e poi cominciò la sensazione più strana che avessi mai provato.
Fu come se il mio corpo si sciogliesse. Sentii le braccia farsi molli, perdere l'integrità del mio busto. Percepii le molecole che mi costituivano allontanarsi rendendomi liquido. Vidi pian piano tutto più nero, mentre si liquefacevano anche i miei occhi e fui assorbito dal terreno.
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ELEMENTS: DOMINIUM
Fantasy"Ognuno custodisce dentro di se un elemento. Come una paura recondita, rimane nascosto finché non giunge il momento adatto. Immaginati gli elementi base che conserviamo, come delle pietre, c'è chi come me sa lavorarlo, plasmarlo, c'è chi osa dire di...