CAPITOLO 7

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Per la terza volta nell'arena scoppiarono le urla. Io invece rimasi paralizzato.

Cosa intendeva con 'elementi'?

Pensai subito ad un cartone animato che guardavo da piccolo. Era impossibile. Eppure mi balenarono in mente i rapitori che scomparivano nelle fiamme.

Non ci potevo credere.

Mi dimenticai di Eloisa e caddi a sedere.

Il mondo parve muoversi vorticosamente intorno alla mia testa.

Un uomo affianco a me aveva la mia stessa espressione, uno sguardo incredulo, perso nel vuoto.

Alzai gli occhi, molti altri erano nelle nostre stesse condizioni. Una donna aveva cominciato ad urlare.

- mantenete la calma. - la voce di Ernest sembrava ovattata –fra pochi minuti dovrete ripartire, come vi avevo promesso.

Mi girai allora verso la mia amica, l'espressione frastornata, e lei la ricambiò.

Mi misi in piedi ma ricaddi subito.

Dominare gli elementi.

Perché? Perché non mettevo in dubbio questa cosa? Perché la stavo prendendo come realtà indiscutibile?

Cercai di rialzarmi appoggiandomi alle seggioline di pietra. La terra dondolava pesantemente sotto i miei piedi.

-Tesla? - sussurrai.

Lei si avvicinò con passo malfermo e io feci lo stesso, ci abbracciammo, quasi più per reggerci a vicenda.

Avevo i suoi capelli in faccia ma non me ne accorsi,

- Eloisa cosa cristo sta succedendo? - sussurrai lasciando scivolare le parole attraverso il groviglio biondo.

Quando Ernest parlò nuovamente per dire che era giunto il momento di partire quella sensazione mi travolse un'altra volta.

Come poteva parlare così tranquillamente dopo quanto stava succedendo? Lo odiavo. Lo odiavo con tutto me stesso.

-ragazzi? - disse una voce scontrosa alle mie spalle.

Strinsi i pugni dietro la schiena di Eloisa.

-ehi piccioncini è ora di muoversi- mi mise una mano sulla spalla.

Mi girai con una velocità che non credevo di avere e il mio pugno stretto sferzò l'aria colpendolo in volto, e mandandolo a terra più in dietro di un metro e mezzo.

Sia io che tesla trattenemmo il respiro. Non avevo mai avuto molta forza, anzi, spesso ero quello che le prendeva. Mi guardai la mano, completamente fradicia di quello che pensai fosse sudore.

L'uomo si rialzò a fatica, ma senza nemmeno l'ombra del sangue che avrebbe dovuto avere dopo un colpo del genere.

Quando fu in piedi si avvicinò a me e prima che potessi reagire qualcuno mi bloccò le braccia dietro la schiena.

Qualcun'altro prese anche la mia amica, e la scena che seguì sembrò essere al rallentatore: vidi l'uomo che avevo colpito caricare il pugno, scorsi Tesla urlare, e poi passai in rassegna di tutte le informazioni che avevo su come ricevere un pugno, e, in un quarto di secondo, irrigidii gli addominali e curvai le spalle.

L'urto mi mozzò il fiato ma almeno non mi danneggiò nulla.

Mi calarono un cappuccio in testa per la seconda volta in quella giornata e mi legarono le mani sotto lo zaino.

Venni poi spintonato giù dalle gradinate, mi fecero girare su me stesso un paio di volte per farmi perdere l'orientamento, e venni sospinto nella direzione che avrebbe dovuto tirarmi fuori da quel posto maledetto.

Dopo essere entrato in una minuscola porticina mi fecero camminare curvo, schiacciato dal soffitto dello stretto corridoio che stavamo percorrendo.

Dal cappuccio si vedeva il buio più totale, gli unici suoni che si percepivano erano lo sfregare sul soffitto e il rumore dei miei passi. Dei miei?

Mi fermai in ascolto. Sì, ero solo.

Provai a chiedere qualcosa a vuoto per confermare, e la silenziosa eco fu l'unica risposta.

Così mi sedetti e provai a far passare le mani legate sotto i piedi per avercele libere. Con non poca fatica ci riuscii, e le usai subito per togliermi il cappuccio che mi mozzava il respiro.

Il corridoio era buio anche con gli occhi scoperti, ma almeno avrei saputo se mi fossi schiantato da qualche parte.

A tentoni riuscii ad attraversare tutto il corridoio, fino a che non mi imbattei in un'altra piccola porta con un chiavistello pesantissimo.

Lo tirai con forza verso sinistra spaccando la ruggine nei punti di scorrimento, e la luce esterna, anche se era sera mi ferì gli occhi: estremamente luminosa rispetto alle tenebre dense del cunicolo.

Non appena uscii, qualcuno mi spinse a terra mi tenne fermo. Non mi ribellai, ma mi guardai intorno.

Davanti a me correva una strada che sembrava inutilizzata da anni. Tra questa e il muro alle mie spalle c'era una lingua di erba e alberi, e una sua gemella era dall'altro lato della carreggiata.

Le piante prima sparse, cresciute senza un apparente senso logico, man mano che la strada proseguiva, si ordinavano in un viale aranciato dalle chiome.

Sull'asfalto rovinato era stanziato un furgone squadrato.

Fui fatto alzare e venni accompagnato al suo interno.

Mi sedetti sul metallo del cassone e per l'ennesima volta la luce mi fu strappata dagli occhi, quando le porte vennero chiuse.

Presto il camioncino prese a partire con qualche colpo di tosse della marmitta e mi trovai solo, di nuovo, con miliardi di pensieri che mi brulicavano nel cervello.

Pensai ai miei genitori, pensai che probabilmente si stavano chiedendo perché non tornassi a cena.

Pensai che dovevo avere il telefono pieno di chiamate perse, non sentite per la mia stupida mania di tenere il telefono in silenzioso.

Li avrei chiamati se le mani legate non mi avessero impedito di sfilarmi lo zaino.

Pensai ad Eloisa, alla ragazza con i capelli rossi. Alle persone rapite come me.

Magari alcuni di loro erano stati presi durante una cena in famiglia, o mentre erano con la moglie, il marito o i figli.

Poi ritornai all'ultima frase del presentatore.

Quel chiodo fisso, un porto sicuro a cui la nave della mia mente aveva attraccato spesso negli ultimi minuti.

Dominare gli elementi.

Stava sicuramente scherzando. Eppure...

Continuai a nuotare nelle mie riflessioni per un'ora buona, quando il furgone si fermò e mi destò dal mio sonno di pensieri.

Attesi qualche istante il petto ricolmo di ansia, finché le porte non si aprirono.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 23, 2017 ⏰

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