Fifth

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"La bestia si nasconde dentro me, dentro tutti
Le uniche certezze sono i dubbi
Fa male
Cercare di scappare
Fa male
Quando la luce sale
E vedo l'animale
dentro me"

Luce.
Fu questa la prima sensazione percepita da Camille appena riaperti gli occhi.
Nonostante la lampadina emanasse una luce fioca, Camille si sentiva come accecata.
Non era un buon segno.

La ragazza cercò di sollevare il busto, ma crollò miseramente a terra in seguito a un giramento di testa. Sconfitta, alzò gli occhi al cielo, maledicendosi mentalmente. 
Dopo vari tentativi finalmente riuscì a mettersi seduta, ma era talmente confusa che pensava di essere ancora sdraiata.

I suoi occhi iniziarono a tradirla, sfarfallando continuamente e offuscandole la vista.
La testa le pesava come un'incudine, innumerevoli pensieri le martellavano la mente, mentre il suo senso dell'equilibrio era ancora un po' scombussolato.
Come il suo cervello. 
Si sentiva debole e stanca, ma dopo aver perso tutto quel sangue doveva essere normale.

Ancora non troppo cosciente Camille rivolse il viso scarno al braccio sinistro: tante piccole cicatrici le confondevano la vista, tutte allineate come soldatini, impossibili da contare.

L'unico taglio che riuscì a distinguere chiaramente fu quello fatto il pomeriggio stesso: più grande e profondo se ne stava comodo comodo quasi a metà avambraccio, là in mezzo spiccava come un diamante tra la cenere. 

Le dita lunghe e affusolate della ragazza ripercorsero lentamente quel taglio, assaporandone ogni millimetro, mentre gli occhi attenti scrutavano prudentemente quel gesto.

Camille non si pentì di essersi tagliata ancora. Oramai faceva parte di sé, era un vero e proprio marchio di fabbrica, grazie al quale riusciva a sentirsi completa.
E una volta iniziato, non riusciva più a fermarsi.

Lentamente, come una bambina che sta imparando a camminare, raccolse le sue gambe al petto, per poi circondarle con le braccia e nasconderci la testa, impaurita.

Aveva paura di sé stessa, della bestia che portava dentro.
E prima o poi quella bestia l'avrebbe divorata.

Rimase in quella posizione per un tempo indefinito, cullandosi avanti e indietro, avanti e indietro, mentre sussurrava parole incomprensibili.
Pazzia.

Alla fine decise di mettersi in piedi: le gambe tremavano pericolosamente, mentre le sue piccole mani cercavano appiglio al muro, con le ughie che graffiavano la liscia parete.
Camille stava per uscire dal bagno con passo incerto, quando scorse una strana figura alla sua destra che la fece rabbrividire.

Terrorizzata, si ritrasse malamente, per poi rendersi conto che alla sua destra c'era solo uno specchio.
Lucido quanto lei, ma pur sempre uno specchio.

Poggió i polpastrelli su quella lucida lastra di vetro, fredda come la sua anima. 
I polpastrelli iniziarono a colpirla, intonando il ritmo di una triste marcia. 

Gli spenti occhi della ragazza si specchiarono in quella distesa completa e omogenea: allo specchio Camille ammiró le sue guance scavate, la sua espressione indecifrabile e il suo corpo, smagrito e debole.

Un singhiozzo più forte degli altri le fece perdere il controllo del suo corpo. Un colpo di grazia.

 Un colpo di grazia

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